Avevo bisogno di sollevarmi
dal suolo e godere della panoramica del paese con tutti i suoi abitanti affannati
a risolvere i “grandi” problemi dell’esistenza.
Mi
piaceva ridere di colui che si mostrava “importante”, perché lo rivedevo
piccolo, lontano da me e la cosa più importante, incapace di poter volare come
facevo io.
Ridevo
di lui!
Urlando, sapendo benissimo che non poteva ascoltarmi, gli rimandavo
le stesse parole che usava per auto proclamarsi importante.
Il
fatto che non mi potesse sentire, non era una condizione che favoriva la mia vigliaccheria,
ma era la certezza che anche se mi avesse sentito non avrebbe potuto capire il
mio sfogo.
Dentro
di me, sottoforma di rivalsa, riecheggiavano frasi come:
“Guardami,
sono capace di volare!”
“Riesco
a fare il tuo impossibile!”
“Senza
nessuna difficoltà!”
“Gli
uccelli sono miei amici!”
“Posso
fare ciò che voglio, anche giocare con il tuo stupore!”
Questo
mio sogno, allora sempre ricorrente, è quello del classico brutto anatroccolo
che si sente diverso e poco apprezzato nel gruppo.
La scarsa autostima, sancita
dagli psicologi, si denotava nella forma di una protesta rivolta alla società e
verso quale nutrivo paura.
Disegni
e presentazioni incomprensibili, legati alla durezza della vita e alle
battaglie per affermarsi, mi avevano tranciato le ali dell’ottimismo, della
motivazione, della gioia di scoprire tutti gli aspetti dell’imminente età adulta.
Ora,
volo veramente, ma con il cuore!
La
consapevolezza del “dopo” mi è come miele.
Comprendo profondamente la famosa
frase di Einstein:
”L’importanza dei problemi che siamo chiamati
a risolvere non è possibile comprenderla fino a quando rimaniamo nello stesso stato
emotivo in cui gli stessi problemi si sono posti”.
(continua)