giovedì 23 agosto 2012

Didattica per le competenze: un nuovo modo di fare scuola



La mente si riposa esercitandola, vi sembrerà strano, ma è proprio così!

Provate a leggere un articolo che vi interessa, che vi tocca da vicino, ed ecco, addio stanchezza!

In qualità di insegnante vagabondo su Internet e oziante tra i commenti di facebook, leggendo la notizia che vi riporto integralmente in coda all’articolo, dimentico la stanchezza per commentarla.

Non scommetto sul numero di lettori che si avventureranno alla lettura, perché il documento è prolisso, però, una sbirciatina potrebbe bastare per capire di che cosa si tratta e per poter convenire o dissentire con la mia disamina.

Per prima cosa, io sono convinto che chi ha scritto quell'articolo non insegna; usa frasi fatte, umide di retorica ed è interessato a fornire in modo di pensare preconfezionato da presentare come “modello magico” per il futuro del sistema scolastico italiano.

Il mio modesto parere nasce dalla considerazione che una nuova scuola deve tener conto di importanti fattori, tra i quali, i moderni strumenti che si sono affermati con la tecnologia, la mutata psicologia della società e la finalità concreta su cui costruire il percorso educativo.

La certezza del funzionamento del sistema si deve basare sull’interesse e la passione da indurre nelle attività didattiche. 

Per gli studenti la chiave è da ricercare nell’applicazione immediata di ciò che imparano, dando ampio spazio allo spirito creativo e valorizzandolo, favorendo le naturali inclinazioni. 

Fondamentale, deve risultare la certezza dello sbocco occupazionale.

Alcune correnti di pensiero assicurano la presenza nella psicologia inconscia umana, di un “demone”, forse come quello idealizzato da Platone per bocca di Socrate, quasi sempre dormiente, motivo per cui ogni individuo si riscopre a fare ciò che non vorrebbe ma è costretto per motivi diversi, tra cui, anche quello economico. 

L’inattività del demone comporta una rinuncia alla creatività individuale la quale è sempre molto personale ed è eccezionale per qualità.

Non esistono individui uguali perché ognuno possiede un proprio originalissimo demone. Mantenendolo dormiente, non si mostrano abilità e non nascono passioni.

Fortunatamente, il demone dormiente si desta periodicamente e verifica la nostra disponibilità a dargli spazio e attenzione.

Per questo motivo, riscopriamo piaceri e virtù di cui ignoravamo la forza e i loro benefici effetti.

Riprendendo l’analisi sulla scuola ideale, io credo che il legislatore si debba ispirare ai sistemi per cui l’individualità dei ragazzi in formazione sia esaltata e che faccia emergere quel demone interno capace di ingigantire la forza interiore e incanalarla nei settori dove sfoga la sua essenza.

Per analogia, il legislatore dovrebbe operare come il progettista di una rete di treni ad alta velocità: deve assicurare un’infrastruttura capace di far correre ogni treno alla massima velocità possibile, pur non conoscendone i limiti.

Per gli insegnanti, invece, la strada da percorrere imbocca la gratificazione del lavoro, rilevandola, oltre che dal trattamento economico dignitoso, anche dalla presenza di infrastrutture culturali e produttive interagenti. 

In altre parole, lo stato deve crederci nell’importanza del settore educativo e investire consistenti mezzi e attenzione continua. 


La mancanza di mezzi potrebbe essere l’alibi per una qualità dell’insegnamento scadente, accompagnata da labili controlli ed inesistenti sistemi di valutazione.

Non so darmi ragione per cui per intraprendere la carriera militare ci voglia il benestare dello psicologo mentre per conseguire l’abilitazione all’insegnamento bastino un paio di prove ricolme di nozionismo.


Richiamando nuovamente Platone nella sua "città stato ideale", da oltre duemila anni sappiamo che ogni persona è diversa e non a tutti il demone spinge per rivelarsi un ottimo insegnante.  

Mi rendo conto che dal punto di vista di una soluzione concreta, la mia proposta sembri soltanto un frutto della fantasia ma sono sicuro che non è impossibile includere tra le risorse da gestire anche quella dell’animo umano.

Non basta sbandierare novità e buoni propositi ricoperti da titoli "didattica per competenze" che come gocce d'acqua cadenti in un pozzo vuoto fanno solo eco.

Affido agli esperti economisti, dottori, manager, politici l’incarico di costruire un castello a dimensione più umana.

Per mio conto, attualmente io sento di essere una piccola trave malmessa, che contribuisce a non far crollare l’intero edificio di cui tutti dicono che è vecchio, non funzionale, criticando gratuitamente e standone comodamente fuori.   

--- se vi siete stancati di leggere, andate pure oltre, non perdete nulla! ---

Espressioni sconsolate, sguardi assorti ad ammirare le meraviglie di mondi lontani, bocche spalancate in sbadigli che sembrano non finire mai: è questa l’atmosfera che si respira durante una tipica lezione in un qualsiasi istituto di scuola superiore. 

Sia chiaro, l’intenzione non è quella di generalizzare, inserendo nel contesto da coma sopra descritto quei docenti che nelle loro lezioni ci mettono passione cercando di coinvolgere i propri alunni al fine di instaurare un clima ottimale all’apprendimento. 

Al contrario, il proponimento qui consiste nel valorizzare questi docenti, facendo emergere ed analizzando quello che è il (giustificato) pensiero comune, tra i professori e i ragazzi, quando si parla di didattica applicata nella scuola secondaria di secondo grado. 

Cosa è cambiato dalla non così lontana epoca, in cui il modello scolastico consisteva in un insegnante dal temperamento quasi dittatoriale e in studenti timorosi della punizione da parte del sergente, più che docente, nel caso in cui avessero trasgredito anche di poco le ferree regole? E’ variata la flessibilità, certo. 

Ora è più facile sentir parlare di ragazzi che soggiogano il loro professore, più che il contrario. 

E quest’ultima è la conseguenza, nemmeno poi così imprevedibile, di una mancata evoluzione nell’impostazione di insegnamento. Siamo nel 2012, e il modello scolastico ancora vigente è quello dell’oziosa lezione frontale, in cui l’insegnante parla e gli alunni ascoltano. Sembra quasi che il mondo della scuola da quando è nato si sia arroccato all’interno delle proprie mura, rifiutando qualsiasi stimolo all’innovazione. 

Eppure là fuori gli stimoli ci sono, eccome. Uno stimolo interessante è rappresentato da quella chi si chiama didattica per le competenze. Introdotta dalla Comunità Europea, la didattica per le competenze prevede la presenza di un curriculum composto da diversi compiti, ovvero “missioni” significative che ogni studente porterà a termine con lo stesso spirito di partecipazione che esibisce nel compimento di attività a lui più gradite, come il gioco con la consolle preferita, la partita di calcetto con gli amici, l’uscita al sabato sera ecc., e che interessano gli aspetti più entusiasmanti della vita privata del ragazzo. 

I compiti somministrati possono interessare anche più di una materia: in questo caso si parla di Unità di Apprendimento, attività costruttive atte ad incrementare la capacità dello studente di collegare sfere d’interesse apparentemente discordanti tra di loro. 

E’ quest’ultima una competenza sempre più richiesta all’interno del mondo del lavoro: basti pensare a grandi aziende internazionali come Google, Amazon o Apple, realtà che cavalcano il dinamismo dei nostri tempi, coniugando i valori aziendali con le capacità di ogni singolo dipendente, che in modo creativo le applica al fine di svolgere il proprio lavoro in modo ricco e innovativo. 

Restringendo il focus geografico, questa nuova tipologia di didattica trova efficienza anche a livello europeo, concordandosi con quelle che sono le competenze chiave stilate dalla Comunità Europea. 

Tali competenze comprendono tra le altre: la comunicazione nella madre lingua e nelle lingue straniere, la dimestichezza nell’uso delle nuove tecnologie e degli strumenti digitali in generale, la collaborazione proficua con altre persone nel conteso aziendale, lo spirito di iniziativa e l’imprenditorialità, oltre ad una certa confidenza nell’interpretare la realtà confrontando epoche diverse e diverse aree geografiche e culturali. 

Insomma, la didattica per le competenze si presenta come il nuovo orizzonte dell’apprendimento scolastico, in grado di fornire gli strumenti per una partecipazione attiva e collaborativa da parte di studenti e professori, al fine di rendere lo studio un’esperienza appassionante e funzionale".


4 commenti:

  1. I professori? Soldati tra due fuochi incrociati ed anche disarmati. (prova di commento semiserio ma vero)

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  2. Nell'IMPIANTO MODULARE lo studente decide contenuti e tempi di fruizione modo autonomo. Può decidere di studiare in modo intensivo i tre moduli di CUCINA perchè intende mantenersi gli studi lavorando in un ristorante. Naturalmente per seguire CUCINA3 deve avere superato le prove di CUCINA 1 e 2. Le classi si chiamano GRUPPI DI LIVELLO : i componenti non hanno debiti formativi, hanno tutti lo stesso livello di preparazione (conoscenze/competenze/abilità). Gli studenti più costanti riescono a completare il pencorso nel tempo minimo : un anno prima rispetto a chi ripete 1/3 dei moduli totali. (continua)

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  3. L'IMPIANTO MODULARE prevede una accurata progettazione dei moduli.
    I docenti di MAT1 affrontano gli stessi argomenti, somministrano esercizi simili, utilizzano le stesse tecniche e tecnologie.
    Il modulo viene progettato da uno staff esperto e qualificato che in certo periodo potrebbe non insegnare. Insomma tutto quello che di buono si può pensare è stato sperimentato. Perchè non viene attuato? Pigrizia, timore della novità e della difficoltà organizzativa, ignoranza, burocrazia, ... I test INVALSI stimoleranno il cambiamento? Vedremo.

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  4. salve Luigi, sono capitata per caso su questo tuo blog, condivido parola per parola, anche se...
    Come dice Giuseppe la didattica delle competenze non è facile per vari motivi:
    1) si discute ancora sulla definizione:
    -sapere+saper fare= saper essere?
    -capacità di traslare l'apprendimento scolastico nella vita reale (ciò che in metacognizione viene detto "bridging")? "padronanza" delle argomentazioni con le dovute connessioni pluridisciplinari? (non è questa una buona declinazione di "cultura"?)
    2) se Hillman ci invita al dàimon, Gardner ci indica la pluralità degli apprendimenti, per cui il compito va individualizzato e allora i PROGRAMMI attuali risultano stentorei e limitanti
    3) le COMPETENZE (e qui la parola ci sta tutta) richieste al docente per elaborare e rendere fruibile un'Unità d'apprendimento (c'è ancora chi la confonde con il contenuto disciplinare o 1 lezione) sono talmente alte che necessita formazione continua sulle strategie d'apprendimento (attualmente completamente assente).
    4) la "certezza dello sbocco occupazionale" è più utopica della città del Sole.
    5) il tempo necessario a trasformare un sapere in competenza non corrisponde alla realtà scolastica, dove il consumo nozionistico prevale sulla didattica.
    Anch'io auspico la "scuola idelae" e, a modo mio, la attuo sul COME anziché sul QUANTO ovvero preparo, per quel che mi riesce, gli studenti a formarsi in modo autonomo, come direbbe Feuerstein, insegno ad apprendere.
    Penso che nel corso degli ultimi 20 anni i vari ministri che hanno poggiato i loro deliziosi deretani sulle poltrone hanno proposto sempre gli stessi argomenti cambiando loro di nome (nuclei fondanti, saperi, compentenze ecc.) e presentando via via come novità quella che potremmo definire "acqua calda": la scuola si fa sui banchi, meglio ancora in giardino, e lor signori ne parlano a tavolino delineando linee-guida scariche di quella relazione affettiva indispensabile alla formazione.
    con un sorriso
    alGaia

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