sabato 22 novembre 2025

Una tenera storia d'amore



Valeria, una ragazza di città introversa e timida, concentrata sullo studio. Per Valeria, l'amore non era nei suoi piani. Eppure il destino, la tenacia e una cerchia di amici avevano altri piani per lei. Il mondo universitario di Valeria ruotava attorno ad Anna, la sua migliore amica giocosa e schietta; Rosa, silenziosa e riflessiva come lei; e Carlo, il suo confidente protettivo le cui battute spesso mascheravano sentimenti più profondi.

Andrea, il suo amico più grande, era costante, attento e completamente ignaro di quanto avesse già catturato l'attenzione di Valeria.

Poi c'era Aldo, carismatico e civettuolo, le cui buffonate giocose suscitavano sentimenti che lui a malapena capiva.

Arrivò un evento universitario. L'auditorium dell'università pulsava di energia. Valeria aveva accettato con riluttanza di partecipare all'evento universitario, trascinata da Anna e Carlo. Musica, luci, risate, tanti concorsi e premi. Era travolgente, ma seguì le sue amiche, nascondendosi dietro il nervosismo.

Quando fu annunciato il Premio per il Miglior Sorriso, fu il nome di Valeria a emergere tra le chiacchiere. Lei si bloccò a metà respiro mentre la sala esplodeva, con applausi che si gonfiavano, mani che battevano, sedie che strisciavano mentre la gente si alzava ad applaudire.

Ma tutto quel rumore si dissolse nel momento in cui i suoi occhi incontrarono Andrea. Non stava semplicemente applaudendo educatamente come tutti gli altri. Aveva la macchina fotografica alzata, ferma e decisa, catturando l'esatto momento in cui il suo shock le balenò sul viso. La sua attenzione non vacillò; il suo sguardo era quasi troppo intimo per una stanza così affollata.

Qualcosa dentro di lei si irrigidì. Il suo respiro si fece affannoso. Il suo battito cardiaco si fermò. Per un attimo, sospeso, la festa intorno a lei si offuscò, come se l'intero evento si fosse ridotto allo spazio tra il suo obiettivo e il suo sorriso tremante.

Rosa, in piedi in silenzio lì vicino, osservava Andrea. La sua ammirazione per lui rimaneva inespressa, nascosta agli angoli dei suoi occhi attenti. Carlo, sorridendo al rossore di Valeria, provò una fitta di desiderio. L'aveva sempre protetta, e ora temeva che l'attenzione che riceveva potesse condurla altrove.

Nei giorni seguenti, Valeria si ritrovò a volte a gravitare verso Andrea, a volte a ritirarsi da lui, senza capirne il motivo. Negli angoli delle biblioteche, nei corridoi silenziosi, nei gruppi di studio o alle feste di compleanno, faceva "domande" solo per sentire la sua voce, ascoltare le sue spiegazioni o stare con lui. E in altre occasioni, lo ignorava completamente, come se fosse invisibile. Le piaceva la sua compagnia, ma non ne capiva il motivo, e questo era uno dei motivi principali per cui voleva evitarlo.

Le prese in giro giocose di Aldo continuavano incessanti, rivolte sia a Valeria che ad Anna. Valeria non prendeva mai sul serio Aldo e lo tollerava solo per via di Anna. Tentò molte volte di impedire ad Anna di stare con Aldo. Ma niente funzionò per lei. Aldo spinse Valeria a unirsi ai circoli di studio e sussurrò qualche battuta ad Anna. Valeria si sentì agitata ma curiosa; Anna rise ma in segreto si sentì addolorata.

Rosa osservava in silenzio, senza mai entrare nella mischia, mentre Carlo rimaneva vicino a Valeria, protettivo e vigile, consapevole del fascino di Aldo e della silenziosa pazienza di Andrea.

Un pomeriggio piovoso, il gruppo si riunì sotto una tettoia semidiroccata dopo le lezioni. Andrea rimase a pochi passi di distanza, osservando in silenzio le sottili reazioni di Valeria, in attesa del momento giusto per entrare in sintonia.

Il caos giocoso finalmente terminò quando tutti corsero avanti a prendere qualcosa da mangiare. Valeria e Andrea rimasero soli.

"Valeria," iniziò Andrea dolcemente, "non sono qui per distrarti. Mi... importa solo."

Valeria sentì un calore che la fece esitare, poi si sporse leggermente in avanti. "Lo so... Ma non credo che funzionerà", sussurrò, una confessione semplice ma carica di significato e confusione.

Nel frattempo, Carlo osservava da lontano, con il cuore stretto. Gli era sempre piaciuta Valeria, ma si rese conto che lei era attratta da Andrea. Anna, con il cuore che batteva forte, notò le occhiate casuali di Aldo a Valeria, suscitando un misto di confusione e gelosia. E Rosa, silenziosa come sempre, osservava semplicemente Andrea e Valeria, con emozioni stratificate ma inespresse.

Le dinamiche rendevano ogni incontro un delicato equilibrio: risate mescolate a tensione, amicizia intrecciata a sentimenti inespressi, amore che sbocciava nel silenzio.

Una settimana dopo, durante una sessione di studio pomeridiana in biblioteca, Valeria finalmente si concesse di soffermarsi vicino a Andrea. La loro discussione sugli orari delle lezioni e sugli insegnanti fluì senza sforzo. Lui la guardò dall'altra parte del tavolo e disse, dolcemente: "Voglio saperne di più su di te".

Il cuore di Valeria batteva all'impazzata. Voleva negarlo, ma la verità era innegabile. "E tu sei un mistero per me", ammise.

Fuori, Carlo chiuse silenziosamente il suo portatile, fingendo di controllare i messaggi, mentre Anna si allontanava per prendere dell'acqua, fingendo indifferenza. Aldo era distratto da un altro progetto nell'angolo, ignaro della sottile tempesta di sentimenti che lo circondava.

La loro storia non è esplosa da un giorno all'altro. È cresciuta attraverso piccoli gesti, come bigliettini ed email condivisi, tranquille sessioni di studio, passeggiate sotto gli alberi del campus e incontri discreti. La timidezza di Valeria ha lentamente lasciato il posto alla fiducia; la presenza costante di Andrea è diventata la sua ancora.

Nel frattempo, le amicizie sono durate: la lealtà di Carlo, l'amore segreto di Anna, la silenziosa ammirazione di Rosa, l'energia giocosa di Aldo, creando una delicata rete emotiva che ha incorniciato le loro vite nel campus.

Alcune storie d'amore sono forti e veloci. Altre, come quelle di Valeria e Andrea, si sviluppano in silenzio e sono persistenti, pazienti e, in definitiva, indimenticabili.

venerdì 21 novembre 2025

Nuova intervista a Fabio Squeo per la recente pubblicazione

 

È appena uscito il nuovo libro del saggista e poeta, di origini molfettesi, Fabio Squeo.

Da alcuni giorni è disponibile sulla piattaforma Amazon il suo ultimo lavoro, “Lo sguardo nel tempo della filosofia” – Secondo Volume.

In esclusiva per la nostra testata, Fabio Squeo presenta il suo ultimo lavoro.

Essendo questo il Secondo Volume viene spontaneo pensare che questo rappresenta l’inizio di un progetto che mira a formare una collana. Perché e quanti volumi sono previsti in totale?

Si, l’intenzione è proprio quella di realizzare una collana articolata in dieci volumi” – esordisce Fabio Squeo – “Il motivo è quello di offrire una visione vasta, ampia fino a sembrare sterminata, quasi infinita, degli autori che popolano la scena filosofica. L’obiettivo non è solo quello di presentare i pensatori più noti, ma far emergere anche quelle voci meno celebrate, meno conosciute, ma non per questo meno importati. Si tratta di autori che, pur rimanendo spesso ai margini dei manuali tradizionali, hanno apportato contributi importanti e decisivi alla costruzione del pensiero filosofico e meritano, a mio avviso, di essere riscoperti e valorizzati. Probabilmente avrò elevato al rango di “filosofo” anche qualche autore che, in fondo, sapeva di rimanere confinato nel quadro di una produzione più propriamente letteraria. Tuttavia, l’audacia di certe pagine, la profondità delle intuizioni o la capacità di toccare temi concreti e universali mi hanno spinto a considerarli, almeno in parte, come autentici protagonisti del pensiero”.

La Filosofia sempre protagonista dei tuoi libri. La tua sembra quasi una scommessa... Far innamorare i lettori del pensiero filosofico espresso da nomi noti ma anche da nomi poco conosciuti.


Più che una scommessa - magari lo è, in parte - mi sembra una promessa che faccio prima a me stesso” – sottolinea Fabio Squeo – “quella di provare a far innamorare, o quanto meno a suscitare curiosità dei lettori, verso il pensiero filosofico, anche quando si tratta di nomi poco conosciuti e spesso mai sentiti prima. Il mio intento è mostrare che la filosofia, indipendentemente dai manuali o dal grado di istruzione, può sorprendere chiunque, rivelando il suo fascino anche dove meno ce lo si aspetterebbe”.

Ricordiamo che nel primo volume, tra i nomi noti, c’è anche l’amato Vescovo don Tonino Bello con un riferimento all’attualità della filosofia del grembiule. Un’anticipazione del secondo volume ... qualche nome del nostro territorio, a noi conosciuto?


Nel secondo volume ho semplicemente proseguito l’analisi degli autori, ampliando ulteriormente lo sguardo” – rivela Fabio Squeo – “E tra le figure legate alla nostra Puglia, compare Giovanni Bovio, nato a Trani, una personalità di straordinaria forza intellettuale: colto, rigoroso, filosofo e politico insieme. La sua coerenza morale e conoscitiva lo rende un esempio raro nel panorama italiano. A volte mi chiedo perché la politica attuale non riesca a esprimere personalità di questa statura, in grado di unire profondità di pensiero e impegno politico. Bovio dimostra che è possibile”.

Per concludere, oggi si parla tanto di pace, per quello che sta succedendo nel mondo, con le varie guerre in atto. Ma il concetto di pace come si lega col pensiero filosofico?


La pace, in natura, non esiste come la intendiamo noi. Due animali che si scontrano non fanno ‘pace’: seguono semplicemente i loro istinti, senza rancore né cattiveria consapevole” – conclude Fabio Squeo – “La pace diventa necessaria proprio perché l’uomo è capace di cattiveria consapevole: non agisce solo d’istinto, ma può scegliere di fare del male. In questo senso, la pace è l’antidoto alla violenza e alla malvagità umana. L’uomo, a differenza dell’animale, si trova al vertice della natura, con la capacità di riflettere su se stesso e sulle proprie azioni. È questa consapevolezza che ci insegna quanto la pace sia non solo importante, ma essenziale: non solo per il vivere insieme, ma per mantenere l’equilibrio interiore e sociale, per garantire che la nostra coscienza e la nostra umanità non vengano sopraffatte dalla violenza”.

Ricordiamo che il libro è già disponibile sulla piattaforma Amazon al seguente link: https://www.amazon.it/dp/B0G2MGJJ69


di Sabino Pisani

giovedì 20 novembre 2025

La filosofia del dialogo di Martin Buber



Martin Buber (1878–1965) è stato un filosofo e scrittore austriaco-israeliano, noto per la sua filosofia del dialogo. Questa forma di esistenzialismo era incentrata sui concetti di Io-Tu e Io-Esso, che per lui rappresentano i due modi fondamentali in cui gli esseri umani si relazionano al mondo. Considerava il dialogo non solo linguistico, ma ontologico, ed esplorò questa relazione in modo particolare nel 1923, nel suo libro Io e Tu (Ich und Du).

Per Buber, l'incontro diretto e il coinvolgimento tra le persone costituiscono la relazione Io-Tu, in cui l'altro è visto come un essere unico e completo, in cui esiste una presenza e un'apertura reciproche. D'altra parte, Io-Esso è un modo emotivamente distaccato, oggettivo e utilitaristico di relazionarsi al mondo, in cui l'altro è visto come un insieme di caratteristiche. Questa relazione monologica e unilaterale si verifica spesso tra persone e oggetti.

Tuttavia, una trasposizione delle relazioni corrompe sia la persona che l'oggetto, poiché la società si rivolge al culto materiale e riduce l'individuo a un essere computazionale. Buber concentra la sua preoccupazione su quest'ultimo aspetto, l'erosione delle autentiche relazioni interpersonali.

Sostiene che trattare gli altri come Io-Esso cancella il significato, ostacolando il nostro cammino verso l'incontro con il divino e l'esperienza di un più profondo senso di connessione con tutto il creato (causato dall'Io-Tu). Prevedeva che la società moderna sarebbe precipitata in questa spirale, portando all'alienazione e alla disumanizzazione se fosse diventata dominante, nonostante l'Io-Esso sia necessario per la vita pratica, la scienza e la sopravvivenza.

L'analisi di Buber sulla natura dell'esperienza del mondo è ampia ma ben fondata. Dobbiamo infatti stabilire relazioni con gli oggetti che siano distaccate dalle emozioni, trattandoli come strumenti per servire i nostri scopi, massimizzare la produttività, orientare i progressi scientifici e quindi migliorare sia economicamente che socialmente.

Si potrebbe persino dire che le relazioni Io-Esso (con gli oggetti) migliorano le nostre relazioni Io-Tu (con le persone). Sociologicamente, più un paese è ricco, più la sua popolazione è interessata alla filosofia: moralità, ontologia, epistemologia, ecc. Ad esempio, coltivare amore ed empatia migliora il modo in cui ci comprendiamo e ci prendiamo cura gli uni degli altri, il che crea una collettività più coesa.

Ma trattare le persone come Io-Esso è una conseguenza dei tratti oscuri della personalità presenti nella società: psicopatia, machiavellismo, narcisismo e sadismo. Siamo assetati di manipolazione impulsiva e motivata dal potere e di edonismo.

È una discesa in ciò che Kant criticava: trattare le persone come mezzi per raggiungere fini piuttosto che come fini in sé, disintegrando l'essenza unificante e la dignità della società. Il rimedio di Kant era di riflettere su quanto segue prima di intraprendere un'azione: il mondo sarebbe migliore se tutti facessero questo?

Pertanto, la visione di Buber del progresso sociale si fonda sulla convinzione che il vero progresso umano dipenda dal ripristino del rapporto Io-Tu a ogni livello della gerarchia sociale, fino al divino. Senza di esso, diventiamo efficienti ma vuoti. Con esso, la vita acquista valore. Se Dostoevskij dovesse commentare il rapporto Io-Esso, direbbe:

"Ricopritelo di ogni benedizione, annegatelo in un mare di felicità, dategli una prosperità economica tale che non abbia altro da fare che dormire, mangiare dolci e occuparsi della continuazione della specie, e anche allora, per pura ingratitudine, per puro rancore, l'uomo vi giocherà qualche brutto tiro." (Dostoevskij, 1993)

martedì 18 novembre 2025

Filosofia: imprescindibile spazio nell'animo

 

È da oggi disponibile sulla piattaforma di Amazon, il secondo volume della collana “Lo sguardo nel tempo della filosofia”.

È la naturale evoluzione di un progetto, tanto ambizioso quanto umile, che vuole “guardare” alla filosofia come un ponte del sapere, steso tra il piacere del pensare astratto e la vita reale, fatta di scelte, decisioni ed azioni. Si tratta di un ponte che non unirà definitivamente le due sponde, ma si propone per un attraversamento sempre in promessa, in compagnia delle migliori e originarie idee nate nelle grandi menti del passato antico e contemporaneo.

Fabio Squeo prende per mano il lettore appassionato della vita e lo accompagna per le vie del pensiero, così da mostrargli come questo mondo sia fantastico, vario, non confinabile, sorprendentemente bello. 

Nell’armonia della presentazione delle teorie dei diversi pensatori, l’autore non pretende di sviluppare i loro trattati teorici in modalità accademica, esaustiva (cosa riservata ai dizionari filosofici), vuole semplicemente aprire squarci, solleticare la curiosità, contagiare la passione, trasmettere il piacere del sapere. 

Il proposito dell'opera non mira a fornire notizie come se si provvedesse ad accumulare conoscenze o a riempire vuoti culturali finalizzati all’esposizione narcissica, ma a favorire una trasformazione spirituale umana, intima, necessaria, utile ad aggiungere senso e valore alla vita di tutti i giorni. 

L’essere umano vive e si esprime nelle relazioni con i suoi simili e nell’incontro con l’altro che l’animo umano scopre il piacere di esistere. Non ci sono strumenti migliori di quelli forniti dalla filosofia per far emergere l’emozione dell’essere.

Nella lettura incontrerete filosofi razionali, concreti, speranzosi, disillusi, tragici, tutti però convinti che “qualcosa” si possa fare per vivere su questa terra in pace, libertà e amore.

lunedì 17 novembre 2025

La storia di Nadil



(continuazione del post precedente) 

Nadil aveva assunto la forma del neutrino, dell’elettrone, dell’atomo, della molecola e del complesso strutturato che la trasformazione determinava.

Si verificava l’assurdo per cui uno stesso soggetto diventava componente e derivato di sé stesso. Questo concetto è difficile da accettare nell’ordine delle idee dettate da una logica separatista, mediante la quale due oggetti sono tali perché divisi oppure un oggetto diviso non può essere contenuto da una delle sue parti.

In matematica, attribuiamo il nome di “infinito” a un oggetto rilegato nella fantasia, capace di contenere una sua parte grande quanto sé stesso.

La netta separazione di un elemento da una sua parte, ci mette in difficoltà, ci costringe a pensare per parti e a giustificare l’osservazione con un sistema di riferimento “truccato” dall’illusione di essere autosufficienti e indipendenti dai protagonisti della scena osservata.

Guardando la figura, noterete come osservatore e osservati si includono reciprocamente influenzandosi tra loro.


Come non è possibile cedere all’illusione di considerarsi parti isolate?

Come non è possibile riferirsi a schemi interni per giudicare?

Senza l’illusione, nessuno conterrebbe tutto, ne potrebbe giustificare completamente la sua esistenza indipendentemente dagl’altri.

Esisteva, quindi, un flusso universale che tutto racchiudeva e che non poteva essere desunto dalle singole parti, se non attraverso una forma di “percezione” derivata dalla consapevolezza; accettatrice quest’ultima della presenza di mutevoli forme astratte e inquadrate nelle teorie ricavate dai singoli modi di osservazione.

Il fantastico flusso del divenire comprendeva ciò che oggi ci sembra assolutamente separato e inconciliabile: mente e materia.

I due soggetti, tanto diversi ai nostri occhi, erano gli stessi oggetti osservati, presenti nella magica onda universale cavalcata dalla consapevolezza.

Mente e materia, così come intuito da Aristotele, diverse nella forma, nella sostanza e nella logica agente, dovevano entrambe essere guidate dalla causa finale, direttrice dell’onda globale trasformatrice.

La definizione di strutture autonome sempre più complesse aveva fondato mondi separati, incapaci di giustificare anche la propria esistenza, e ciò che sembrava più triste, era la crescente cecità nel riguardo degli altri mondi.

Sarebbe come se un progettista disegnasse una grande città e affidasse a specialisti diversi ogni edificio e le strutture accessorie per i servizi comuni. All’inizio dell’opera globale, nessun osservatore esterno potrà capire che cosa si stia facendo, anche se potrà più facilmente comprendere l’obiettivo dei singoli lavori in corso. 

L’osservatore potrà intuire il grande disegno attraverso le differenti attività che si svolgono freneticamente. I singoli esperti cureranno la costruzione del proprio edificio ignorando tutti gli altri. Il progettista, invece, osserverà l’avanzamento generale di tutti i lavori e sarà condizionato dalle singole parti osservate, poiché dovrà assicurarsi che si rispettino le direttive di progetto. 

Qualora dovesse rilevare incongruenze o ritardi, sarà costretto a intervenire e imporre il cambiamento alle parti coinvolte.

Il singolo edificio non deve essere considerato come qualcosa di indipendente dal progetto globale ma come un elemento che si è determinato per comporre il progetto. Come, poi, esso è strutturato e come risolve i suoi problemi interni, dipende della funzione assegnata nell’ambito del quadro globale. 

Per esempio, se il progetto prevede la costruzione di una chiesa, questa attività non deve considerarsi parte autonoma nel progetto in sviluppo, ma dovrà tener conto della zona in cui il progettista ha deciso di costruirla e che si tratta di una chiesa e non un albergo. Come infine, l’esperto locale implementerà le sue tecniche, è una problematica confinata nell’ambito di quel particolare cantiere.

Il direttore dei lavori curerà la costruzione della chiesa riferendosi ai parametri imposti dal progettista della città poiché solo quest’ultimo disporrà di informazioni di livello superiore.

Se al capo cantiere si chiedesse perché deve costruire quella chiesa, la sua risposta sarebbe solo un’inutile opinione.

Immaginate che cosa succederebbe se intestardendosi assumesse decisioni autonome. Forse non costruirebbe più una chiesa qualora la ritenesse inutile o la costruirebbe con materiale scadente per aumentare i propri ricavi.

In definitiva, avrebbe danneggiato l’intera comunità.

Il pericolo di mondi chiusi in sé stessi, ciechi alla logica universale, cominciò a preoccupare seriamente Nadil. L’autocorrezione insita nel meccanismo evolutivo su cui egli fidava per il rientro nel disegno originale, tardava a manifestarsi. Le difficoltà crescenti causati dalla lentezza di propagazione dell’onda lunga, generata in seguito alla necessità di correggere il funzionamento dei sistemi autonomi nell’ambito della struttura universale, imposero interventi straordinari.

Si stavano verificando quegli effetti tipici causati nei sistemi controllati da una logica retroattiva positiva, per i quali, la stabilità interna è minacciata dalle azioni di controllo non sincronizzate con gli effetti prodotti delle stesse azioni.

Per una miglior comprensione di questo problema, noto con il nome di “retroazione positiva”, immaginate di essere alla guida di un’automobile e di percorrere un tratto di strada rettilineo trafficato. Supponendo che improvvisamente si verifichi un problema al meccanismo di accelerazione, nel senso che la risposta dell’auto, in termini di aumento della velocità rispetto alla pressione esercitata con il piede sulla leva di accelerazione, sia non lineare. 

Guidare in modo sicuro e veloce in mezzo al traffico, diventa difficilissimo, mentre la probabilità di tamponare i veicoli che precedono e che seguono, è elevatissima. Intuirete che accelerando, non avremo la risposta nel tempo utile per stabilire se la pressione del piede sull’acceleratore sia stata sufficiente o meno, per cui, potremo continuare ad accelerare fino a quando la risposta conseguente diventa incontrollabile con la frenata e mestamente ci rivediamo sotto forma di incompetenti piloti.

Interpretando romanticamente l’atteggiamento dei sistemi degeneranti, è dolce far risalire l’origine dei problemi alla reazione manifestata dall’energia racchiusa nella materia inerte e allo sconforto causato della libertà perduta. Essa, inespressa, mostra stanchezza, inconsueto disuso della sua brillantezza e vivacità; denuncia una condizione di malattia: l’isteresi (caratteristica intrinseca che impedisce al sistema di reagire con immediatezza alle sollecitazioni subite, tenendo memoria della sua storia precedente).

Il motivo per cui i sistemi in evoluzione fossero esposti alle degenerazioni era da ricercare nella natura stessa che l’evoluzione implicava. La capricciosa divisione dei discendenti di Nadil, aveva condotto nella realtà dell’essere la distinzione marcata da una strana aggettivazione: vivente e non vivente. La presenza nell’universo di qualcosa di vivente fu una novità dal punto di vista della caratterizzazione dell’esistere. 

Il significato legato alla parola “vivente”, rincorreva quello di “evoluzione”, ridotto in una scala temporale limitatissima e incentrato su infinitesimali punti di materia intrisi da un programma rudimentale per l’auto-mantenimento. Le fortissime limitazioni presenti in questi dispositivi dell’esistere, inevitabilmente divennero la fonte del complesso di degenerazioni da cui si intendeva cautelare.  

Nadil, nato nella coscienza dell’elettrone e diventato successivamente struttura complessa, ritrovandosi contemporaneamente sotto forma di spirito e materia, aveva consapevolezza della minaccia e perciò aveva bisogno di uno strumento che potesse utilizzare e che superasse le limitazioni connesse con i mondi in cui intervenire.    

Serviva un ultra-sistema, una causa prima alla quale ricondurre tutto e a cui affidare il suo messaggio, similmente al pensiero felice utilizzato da Peter Pan per volare, che potesse funzionare da catalizzatore positivo nell’onda lunga di correzione.

Il principio attivo perfetto avrebbe dovuto operare in una logica non lineare e che la sua non linearità si sarebbe dovuta sempre manifestare nel senso opposto a quello delle possibili degenerazioni.

In questo modo, ad ogni necessità di intervento si sarebbe generata una procedura di correzione dinamica insita nel principio perfetto, indipendentemente dalle azioni negative che eventualmente potessero insorgere.

Questo meccanismo ultra-fantastico avrebbe assicurato il successo dell’opera finale.

Da allora Nadil, in ossequio a colui che tutto dispone e tutto comprende, fungendo da mediatore, si è divertito a formare realtà e parvenze tali da raccogliere tutte in un giocattolo dalle infinite sfaccettature, in ogni modo divertenti e interessanti da morirne “dentro”. 

Non abbiamo tante parole per riferirci a questo complesso, però pensando all’universo come entità racchiudente qualunque elemento che possiamo immaginare, non resta che riferirci all’ultra universo come l’insieme di mondi che vanno oltre la nostra capacità di immaginarceli e che Nadil ne è un lontanissimo testimone.  

Nonostante sia passato molto tempo, visto con gli occhi degli uomini, il progetto di Nadil è tuttora allo stato primordiale. 

Egli dando seguito a quel capriccio che gli imponeva di essere un semplice elettrone, ha dato inizio a una spettacolare avventura sostenitrice di un ambizioso obiettivo. 

Ciò che noi separiamo e distinguiamo, lo facciamo perché usiamo gli strumenti di cui disponiamo e per i quali esistiamo. 

Qualsiasi elemento nel nostro mondo non può che essere una ridicola approssimazione dell’unica forma primaria e che questa, nelle nostre rappresentazioni non ha motivo d’esistere se non per far proseguire un processo di cui siamo apparenti protagonisti.

Questo obiettivo che ha la forza di un miracolo, dovrebbe svegliare la mente dell’uomo e acquistare la saggezza dello spettatore osservato. 

L’uomo in qualità di giudice e giudicato di sé stesso, non potrebbe mai pronunciarsi poiché per farlo, il codice delle leggi non dovrebbe essere scritto dalla sua mente. 

Lasciamo quindi, che egli si occupi dei problemi del suo modo per catalogare, definire e sentenziare, ma lasciamo la porta aperta, il giudizio eternamente sospeso per quanto riguarda il suo spirito.

Se questa idea diventasse concetto nella logica degli uomini, Nadil sarebbe felice per la sua primordiale disubbidienza.   

La storia di Nadil è la storia dell’universo rapportata a una umanità senza mezzi per comprenderla. Qualunque teoria, nascente rivoluzionaria, è stata e lo sarà, un ventaglio di possibilità basate su idee che quantunque ad ampio raggio (universali), e presunte oggettive (dimostrate), esse resteranno solo prodotti dell’uomo, evidentemente limitato per definizione.

domenica 16 novembre 2025

Nadil: genitore di Adamo ed Eva





Nell’infinito universo, un elettrone girava senza meta intorno ad un nucleo che occasionalmente gli dava un punto di riferimento. La sua vita monotona lo obbligava a spostarsi da un atomo a un altro. 

Non sapeva perché, però quella voglia matta di correre senza motivo lo coglieva e lo caricava di una felicità incredibile.

Attraversava corpi come se saltellasse da un punto all’altro di uno spazio senza confini. L’euforia dell’anonimo elettrone non sembrava mai spegnersi. In un’indefinibile combinazione del caso, giunse il momento in cui un evento straordinario doveva concretizzarsi.

Nadil era il nome dell’elettrone che, investito da una misteriosa forza impalpabile, subì una trasformazione rivoluzionaria. Egli era ancora un elettrone ma, oltre alla consueta carica che lo contraddistingueva, portava con sé un’esigenza strana. Sentiva di essere chiamato a un compito di cui non conosceva modi e motivi per perseguirlo. Manifestava sintomi che non avevano nessun legame con le leggi della fisica.

Nadil conosceva bene il mondo subatomico e non si dava pensiero su quando e come spostarsi all’interno della materia. Quello che gli stava per succedere era qualcosa di assolutamente speciale. La strana forza, che lo influenzava, intrigava il suo istinto provocandogli situazioni di stallo, molto simili a quelli situazioni in cui si è costretti ad agire contro la propria volontà e che contemporaneamente si ha la sensazione di agire per un fine più importante. 

Se non si trattasse di un elettrone, potremmo riferirci a una specie di vocazione che ti chiama in un mondo spirituale che stride con quello in cui si è abituati a vivere.

La forza sconosciuta induceva in Nadil il desiderio di cercare compagnia; un’inspiegabile volontà di comunione e tentazione di fare gruppo. Divenne, così, il primo obiettore di coscienza dell’universo; il primo oppositore alle leggi universali e fondatore di un movimento alternativo alle dinamiche esistenti.

A quel tempo, l’universo era governato da una specie di fredda anarchia. Ogni elemento dell’universo esisteva per sé stesso, separato da tutti e libero di esistere in una sua dimensione senza logica. Il luogo, lo spazio e il tempo, che accoglievano l’elemento, determinavano i limiti di ciò che era possibile o impossibile.

Per fornire un’idea concreta, pensate alla parola, quale elemento esistente nella sfera del linguaggio umano. La dimensione della sfera, che la ospita, conferisce il significato e il valore all’elemento, il quale non può sottrarsi alle stesse leggi per cui la sfera esiste. In altri termini, la parola deve attenersi alle regole sintattiche e grammaticali, se vuole assumere un ruolo significativo all’interno di una frase e, salendo di livello, all’interno di un discorso.

Immaginate, quindi, un’infinità di mondi di questo tipo, separati, non comunicanti e invisibili tra loro.

Nadil apparteneva a uno di questi mondi e quella strana forza corrompeva il suo naturale modo di esistere. Disobbedire a un istinto naturale non è una capacità di poco conto. Per disobbedire è necessario che si crei una volontà e questa è l’attributo dell’autodeterminazione. 

Nadil, allora, era stato contaminato dalla forza della consapevolezza e, per questo motivo, accusava i sintomi rivelatori di incertezze. La scelta tra soluzioni diverse e la novità di porsi domande, dimostravano la nascita della sua consapevolezza di esistere; la presa d’atto di essere presente; di poter diventare protagonista nel proprio mondo.  

Insieme a questi fattori di straordinario fascino, esistevano componenti negative. Per esempio, la solitudine, l’impotenza di non poter rispondere a tutti i bisogni, per non parlare dell’impossibilità di uscire dal proprio mondo. Nadil intuiva che l’unico modo per vincere le restrizioni, che egli non voleva, era quello di diffondere la forza trasformatrice in atto, coinvolgendo tutti gli abitanti del proprio mondo. 

Trascorse molto tempo prima che Nadil potesse coinvolgere i suoi simili in questa avventura trasformatrice. Essere afferrati dalla consapevolezza, sembrerebbe un evento usuale per l’essere intelligente, ma costituisce un miracolo per chi, immerso nel meccanismo delle leggi, non conosce il beneficio del dubbio e la benedizione della riflessione. Attraverso la riflessione si usa la consapevolezza che, vestita nella mente, non forniva a Nadil le risposte cercate. Egli aveva bisogno di compagnia per far partire quel processo che nel divenire avrebbe dettato la trasformazione di cui si sentiva messaggero. Il cammino che si stava intraprendendo doveva condurlo davanti a infiniti bivi dove decisioni erano da prendere secondo l’unico disegno racchiuso nella consapevolezza.

Nadil, influenzando altri elementi del mondo subatomico, compiva il miracolo di duplicare se stesso, per cui, nel corso della trasformazione, Nadil non fu solo elettrone, ma divenne atomo, poi molecola, poi agglomerato complesso, fino ad assumere strutture diversificate. Questo lavoro di trasformazione impose alla mente di Nadil di occuparsi pienamente dei problemi connessi con l’organizzazione e la perfetta funzionalità dell’entità composita che si affermava, trascurando così, l’aspetto più nobile del suo operato e motivo ispiratore del disegno originale. Egli, però, non volle preoccuparsi oltre, poiché la catena di trasformazione, prima o poi, si sarebbe chiusa e allora, si sarebbe potuto disporre di un meccanismo più evoluto per procedere verso l’obiettivo finale.  

Purtroppo, una minaccia si prospettava all’orizzonte di questo movimento trasformatore. La necessità di strutturare unità funzionali diverse, introduceva un concetto subdolo, disturbatore della linea di percorso del progetto. La logica direttrice assunta dai singoli complessi rappresentava il modo di pensare all’interno del complesso, traducendo ogni altra attività e presenza esterna, nella logica interna. In altre parole, il concetto di diversità assumeva il significato di scisso, sconosciuto, indipendente e pertanto, il complesso rischiava di allontanarsi dal quadro logico per cui si era formato.

Non so dirvi se tutto ciò fu un errore, perché il concetto di errore è tipico per l’uomo mentre è incomprensibile nella logica dell’universo.

Il risultato, conseguente alla direzione presa dall’evoluzione, fu che alcuni agglomerati “dimenticarono” il mondo esterno e altri, invece continuarono a interagire in perfetta sintonia con i propositi originari.

Si formò così la materia, distinta in vivente e inanimata.

(segue nel prossimo post)

sabato 15 novembre 2025

Il muro sbagliato



La maggior parte delle persone trascorre tutta la vita giocando al gioco sbagliato. Insegue qualcosa per anni, solo per rendersi conto di aver appoggiato la scala al muro sbagliato.

Il monaco e scrittore Thomas Merton una volta disse: "Le persone possono passare tutta la vita a salire la scala del successo solo per scoprire, una volta raggiunta la cima, che la scala è appoggiata al muro sbagliato".

Merton non si limita a chiederci cosa stiamo facendo; si chiede perché lo stiamo facendo. Siamo tutti su una scala, per lo più pre-impostata per noi. Prendi buoni voti, assicurati un lavoro di prestigio, compra quella macchina e ottieni il mutuo. E non dimenticare quella promozione. Siamo così impegnati nella scalata, terrorizzati di rimanere indietro, che non ci fermiamo mai a controllare quel maledetto muro. 

Diamo per scontato che il muro sia la "felicità" o la "realizzazione". Ma potrebbe essere "l'approvazione degli altri". O una vita che non era la nostra fin dall'inizio. Questo è il terrore. Puoi passare tutta la vita a costruire una versione perfetta del sogno di qualcun altro.

Si può notare che questo succede spesso e ovunque. L'avvocato che ha vinto ogni causa ma ha perso la famiglia. L'influencer con un milione di follower che non si è mai sentito così solo. Il pensionato con il prato perfetto e un'anima piena di silenziosa disperazione. Hanno raggiunto la cima. 

La scala era solida. La salita è stata impeccabile. Ma la destinazione non sembra giusta. La maggior parte di noi è allenata a salire. Scuola, lavoro, matrimonio, promozione, aumenti di stipendio e altro ancora. Non in quest'ordine per tutti. Ma la salita è sempre presente. E ogni scala sembra urgente, come se non iniziassi a salire ora, restassi indietro. O stessi fallendo.

Nessuno ti dice di fermarti e controllare il muro. La chiarezza arriva tardi.

Il filosofo stoico Seneca disse: "Se un uomo non sa verso quale porto salpare, nessun vento è favorevole". 

Puoi correre o affrettarti verso la vita che desideri. Ma se la destinazione non è buona, lo sforzo è uno spreco di vita.

Non è troppo tardi per ripensare alla scalata, però.

E sì, fa paura. Ma ciò che è ancora più spaventoso è svegliarsi a 70 anni e rendersi conto di aver giocato al gioco sbagliato per tutta la vita. E di non averne apprezzato nemmeno uno. Il muro sbagliato ti ruba la vita al rallentatore. Non sembra una crisi. Sembra un lavoro interminabile. Riunioni. Email. Impegni che non volevi nemmeno. E un giorno alzi lo sguardo e ti rendi conto di aver barattato decenni per un premio che non ti piace nemmeno.

Forse la tua scala è sul muro giusto e devi solo aggiustare la presa. Forse no. L'unico modo per saperlo è mettere alla prova il muro. Una vita esaminata può incendiarti l'anima. Una scala non esaminata può fare più male che bene. Non limitarti a essere un bravo scalatore. Appoggia la scala al tuo muro. Allora ogni passo difficile varrà la pena.

Assicurati che la vetta sia tua, la tua definizione, i tuoi valori.

Il tuo sogno strano, meraviglioso, unico.

Nel dubbio, trova il muro giusto, anche se significa restare fermo per un po'. Anche se significa che tutti gli altri guardano "avanti". Lasciali fare. Il tuo muro, la tua scalata. La maggior parte delle persone non controlla mai il muro. Continuano a salire. Preferiscono seguire con sicurezza le direzioni sbagliate piuttosto che fermarsi e cambiare percorso.

È più facile continuare a muoversi che ammettere di essersi persi. Ma il vuoto esistenziale non mente.

Potresti stare a scalare un muro in cui non credi nemmeno. 

È meglio apparire vuoti che rimpiangere le opportunità mancate. 

È meglio ripartire daccapo, piuttosto che essere celebrato in cima a un muro che non significa nulla per te. 

Non badare a ciò che raccontano di te. Se non stai dando fuoco alla tua anima, qualcosa non va. La gente ama gli scalatori. Gli imbroglioni. I cercatori di scale. Ma ciò che è degno di rispetto, sono le persone che hanno il coraggio di mettere in discussione la scala. Trovano la libertà senza limiti.

Il poeta e romanziere Charles Bukowski aveva ragione: "Se qualcosa ti brucia l'anima con uno scopo e un desiderio, è tuo dovere esserne ridotto in cenere. Qualsiasi altra forma di esistenza sarà l'ennesimo libro noioso nella biblioteca della vita".

Rimanere sul muro sbagliato solo per salvare la faccia è un tradimento di sé. Ci tornerai dopo qualche anno. E metterai in discussione le tue scelte. Scegli muri migliori. Quello giusto cambia tutto. La scalata potrebbe ancora fare male. Ma la vista dalla cima vale ogni passo.

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