lunedì 29 settembre 2025

Neutralità, una maschera di velluto per codardia

 

Non è forse la più assoluta negligenza del dovere quando, di fronte a voci che invocano la pena di morte, la violenza, l'odio, il resto del Paese scrolla le spalle e acconsente alla loro richiesta? Confondere questo con "equilibrio" o "ascolto di entrambe le parti" non è compromesso; è una resa mascherata da civiltà.

L'altra parte non invoca la violenza, eppure trattiamo questa equazione ineguale come se i due pesi sulla bilancia fossero uguali.

L’approccio accondiscente non placa l'appetito della bestia, ma la ingrassa. La logica è spietata: se le minacce di violenza vengono premiate, ci saranno più minacce; Se alle folle viene data ascolto, ci saranno altre richieste. Questa non è una profezia; è aritmetica.

Pensate, se volete, a quante volte la storia ha messo in scena questo spettacolo. Quando Salman Rushdie fu condannato a morte tramite per un romanzo, alcuni che avrebbero dovuto saperlo criticarono non il fanatismo dell'ayatollah, ma l'audacia di Rushdie. Quando il fascismo si diffuse per la prima volta in Europa, voci autorevoli insistevano sul fatto che Hitler avesse le sue ragioni e che Mussolini facesse arrivare i treni in orario. Quando l'Inquisizione trascinava le persone nei tribunali del fuoco e della paura, non furono solo i religiosi a condannarle, ma anche i vicini a sussurrare che il silenzio fosse la soluzione più sicura.

Eppure, noi – e con questo intendo la cittadinanza liberale, democratica e istruita del cosiddetto mondo libero – continuiamo a ripetere lo stesso schema. Incrociamo le mani. Ci diciamo che la moderazione richiede acquiescenza. Scambiamo la neutralità per virtù, quando in realtà è una maschera di velluto per codardia. Si può quasi sentire il coro della storia che mormora: Non di nuovo. Non di nuovo, e ancora di nuovo.

Ma permettetemi una riflessione. Guardate in alto. Siamo una specie scagliata su un granello di roccia, in orbita attorno a una stella mediocre ai margini di una galassia ordinaria. Possiamo mappare la filigrana di galassie distanti milioni di anni luce, decodificare i deboli sussurri della radiazione cosmica di fondo e tracciare la nascita delle stelle. Eppure, con tutta questa conoscenza, tutta questa prospettiva, rimaniamo tribali, superstiziosi e timidi di fronte a coloro che gridano più forte e colpiscono più duramente. Sullo sfondo del cosmo, questo non è solo vergognoso, è ridicolmente insignificante.

Quindi la domanda diventa inevitabile: quando sentiamo il richiamo del sangue, quando sentiamo il canto della violenza, quando vediamo i pugni alzati non in segno di protesta ma in promessa di danno, cosa dobbiamo fare? Stare dalla parte della ragione, della legge e della compassione? O andare alla deriva, come polvere nel vento solare, finché la gravità dell'odio non ci trascina nell'abisso?

La storia è spietata con chi si nasconde. Ci ripete continuamente che il silenzio dei perbene è pericoloso quanto le grida dei malvagi. Perché il male non trionfa solo grazie alla propria forza; trionfa perché è permesso, scusato, assecondato e infine normalizzato da coloro che avrebbero dovuto saperlo. 

L'indifferenza degli uomini buoni non è neutralità. È tradimento. È collaborazione sotto un altro nome. E se non possiamo nemmeno dire questo senza scuse o esitazioni, allora possiamo anche ammettere che il futuro non apparterrà ai coraggiosi, ma ai codardi che hanno scambiato l'abdicazione per pace.

Eppure, poiché gli esseri umani non sono mai solo codardi, dovremmo ricordare anche un'altra cosa. C'è in noi una vena di ostinazione, un rifiuto di lasciare che la crudeltà scriva l'ultima parola. Per ogni capitolazione, c'è stato chi si è alzato in piedi, spesso a caro prezzo, e ha detto: "No. Non qui. Non ora".

Stephen Fry ci ricorderebbe, forse con un ammiccamento, che la serietà non significa necessariamente cupezza, che la sfida può essere gioiosa e che la risata stessa è nota per aver rovesciato i tiranni o almeno averli resi ridicoli. Non è cosa da poco insistere sulla gentilezza, sulla decenza, sulla bellezza, anche nei momenti bui. Anche questi sono atti di resistenza, forse più silenziosi, ma non meno duraturi.

Quindi, prendiamo coraggio. Se la storia ci insegna i pericoli del silenzio, ci insegna anche la resistenza del coraggio. E nel grande teatro cosmico, dove la nostra specie, sul suo pallido puntino azzurro, mette in scena il suo breve e sconcertante dramma, c'è ancora tempo, e ancora speranza, perché gli uomini e le donne buoni non solo rifiutino l'indifferenza, ma lo facciano con grazia, con dignità e persino, quando ci riescono, con gioia.

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