Ci sono dei momenti in cui vorresti ribellarti alla
pioggia che cade, desidereresti chiuderti dentro di te e lasciarti trasportare attraverso
un vortice di sensazioni verso mondi che non conosci.
Non lo fai per protesta
verso qualcuno o qualcosa, ma per chiedere qualcosa di meglio alla tua anima.
La materialità che ti circonda è monotona, fredda e
muta.
Ogni secondo perso per portare avanti la routine di
tutti giorni sono attimi tolti al respirare della tua anima.
Qualcuno, più fortunato, riesce a bloccare il
meccanismo del “ciclo inutile”, ma lo fa per brevi intervalli di tempo,
lasciando alla nostalgia il compito di allungare virtualmente questo
intervallo.
Altri si consolano idealizzando soddisfazioni e
piaceri legati più all’assenza di dolori e preoccupazioni che a reali attività
dell’anima.
Questi ultimi, come raschiare il fondo di un barile
vuoto, si procurano il dolore per pregustare il momento della sua assenza.
Esiste un’altra categoria di persone che credono
fermamente in un piacere legato al divenire.
Aspettano senza darsi pensiero.
Chissà, un giorno qualcosa succederà.
Un contadino, instancabile nel lavoro, coltivava
enormi aree di terreno per produrre la miglior frutta della zona.
Spediva i
suoi prodotti anche in paesi che non conosceva. Aveva passato gran parte della
sua vita nei solitari e silenziosi tratti della sua campagna.
Aveva imparato a
capire la natura e conosceva le intenzioni di un albero rigoglioso e la pena di
qualche altro che faticava a portar frutti.
Si poteva dire che gli alberi
parlassero con lui, anzi, che lo avessero inglobato nel loro mondo.
Un giorno decise di coltivare solo per sé un tipo di
uva dolcissima.
Conosceva i segreti della natura e raccogliendo tutto il suo
sapere si mise all’opera.
Fu puntuale negli appuntamenti con tutti i bisogni
della sua uva, regina su tutte.
Ogni giorno la visitava, verificava l’assenza di
parassiti o qualunque altra minaccia che non consentisse all’uva di crescere
nel miglior modo possibile.
Mentre la guardava si raffigurava il momento di
massimo splendore della sua uva.
Immaginava grappoli da favola che davano spettacolo
alla vista e che inducevano un piacere unico per assaporare l’aureo acino.
Aveva previsto ogni sorta di minaccia proveniente da
qualsiasi parte. Temporali, siccità, insetti, uccelli, furti erano tutti tenuti
in considerazione dal contadino.
Quella sua impresa doveva in ogni modo
giungere a compimento.
Finì l’estate e la vendemmia si apprestò.
Il contadino, purtroppo, tutto aveva previsto, tranne
il fatto che potesse ammalarsi.
Non ci aveva mai pensato perché, sebbene
curvato dall’alto dei suoi settanta anni, non aveva mai avuto problemi con la
sua salute.
La sua uva, invidiata da tutti, era pronta per essere
colta, ma non c’era più chi avrebbe dovuto gustarla.
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