Le distanze diventano virtuali quando sono
affidate alla consapevolezza del trascorrere del tempo.
Il tempo trascorso in
volo rapisce emozioni e consegna alla fantasia il compito di cercare
spiegazioni.
Anche gli stimoli della fame rientrano tra i
problemi di secondo ordine quando l’eccitazione per il nuovo conquista l’anima.
Il vivace atterraggio a Praga e la successiva
attesa all’esterno dell’aeroporto ci offrono l’occasione per ambientarci al
clima fresco con cui la capitale Ceca ci accoglie.
La permanenza ai bordi dell’aeroporto per più
di un’ora ci consente anche di “godere” della disorganizzazione dell’agenzia di
viaggio.
Innumerevoli telefonate partono verso un numero estero letto su un
programma accartocciato nelle mani condivise tra il cellulare e il bagaglio.
Dall’altro capo del telefono si alternano voci in lingua ceca e infine riconosco la
mia amata lingua inglese.
Nel dialogo che segue, le pochissime notizie
disponibili impongono l’uso di monosillabi.
Un laconico “OK” è l’elemento
chiave per comprendere il compimento della missione.
Intanto il tempo passava e
più telefonate senza risposte partivano.
La certezza finale giunse con un brevissimo
SMS, giunto sul cellulare di uno dei miei studenti, che annunciava l’arrivo del
bus nei successivi cinque minuti.
La pronuncia in lingua spagnola del testo
scritto in inglese, sorprendeva l’alunno, ormai abituato a studiare l’inglese
dall’età della pubertà.
All’arrivo dell’agognato Bus, la comitiva partì
per raggiungere l’albergo a quattro
stelle promesso.
Il breve viaggio nel
carrozzone ci portò alla vista di una mega struttura di accoglienza. Il nome
dell’albergo era “Olympik”.
In esso era tutto smisurato, comprese le sorprese
che ci attendevano.
La prima di queste era il clima freddo degli
ospitanti, fatto di poche e necessarie parole utili alla pratica amministrativa
per l’assegnazione delle stanze.
La seconda riguardava la sistemazione da “last
minute” di studenti a gruppi di tre in stanze, trasformate in triple semplicemente
aggiungendo letti negli spazi angusti di camere solitamente singole.
Non
importava se asciugamani e suppellettili vari erano adeguati al numero di
ospiti per stanza.
Tutto questo poco importava a ragazzi vivaci che
sperimentavo una vita diversa dal solito e soprattutto lontana dai propri
genitori.
La terza sorpresa della serata riguardava la
qualità del cibo serale.
Ovviamente non si trattava di cibo italiano!
Però qualcosa che potesse rispondere sommariamente
alle esigenze alimentari di ragazzi affamati era possibile attendersi.
Salse condite da indecifrabili additivi,
retrogusti di difficili individuazioni, carni di non individuabili animali
erano esposte su un buffet preso d’assalto da innumerevoli ospiti.
Erano vietate giare piene d’acqua.
La sete
andava sedata tramite piccoli bicchieri riempiti con pendolari escursioni tra i
banchi e verso distributori automatici a bottoni.
Capitava che si formasse la
fila d’attesa, poiché alcuni “furbi” riempivano più bicchieri per volta.
A causa del grande afflusso di ospiti e con
lo scopo di liberare posti a sedere, era consuetudine che tra i banchi della
mensa si aggirassero inservienti pronti a toglierti il piatto da sotto appena (per
distrazione) fossero deposte le posate.
Con un falso sorriso questi camerieri giungevano
improvvisamente come falchi e premettendo la parola “Finished?” attendevano il forzato
consenso per l’asporto coatto del miserevole piatto sotto il tuo sguardo sorpreso.
Una delle scoperte fondamentali che si fecero
subito, riguardò quella della presenza di un supermercato accanto all’albergo.
La notizia si sparse subito e in meno che non si dica, tanti ragazzi si trasformarono
in mosche intorno al cibo all’interno di quel punto di vendita.
Si acquistava
di tutto, dall’acqua alle patatine e tutto fatto in modo divertente praticando
la matematica del cambio valuta.
Dopo cena, sazi ma non troppo, eccitati nella
giusta dose, la comitiva si preparava alla escursione nella città di Kafka.
La
posizione decentrata dell’albergo imponeva l’uso della metropolitana, così, 45
persone strariparono verso il punto d’accesso più vicino denominato “Invalidovna“.
Per giungere in centro era una questione di
minuti ma per ottenere un biglietto della metropolitana serviva almeno un’ora.
Il punto metro
era dotato di un distributore automatico di biglietti che accettava soltanto
monete.
Moltiplicando 45 persone per 3 monete (nel caso migliore, 2 da 50 kr e una
da 10) si ottenevano 45 biglietti con 135 monete.
In altre parole, serviva oltre un chilogrammo di metallo per far viaggiare 45 persone nella metropolitana
di Praga.
Tra chiacchiere e spiritosaggini, infine, si
riuscì a completare l’operazione di approvvigionamento dei biglietti e nell’arco
di pochi minuti, fummo in una delle piazze più famose di Praga: “Václavské
náměstí”.
(continua nel prossimo articolo)
Come e bello rileggere il prosa l'inizio della gita a Praga e della prima cena presso un hotel a due stelle superiore, talmente buono che la maggior parte dei discenti non la toccato per non volerlo confrontare con un cibo italiano
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