domenica 11 maggio 2014

Gita a Praga


LUIGI: ETT, ci sei? Sono appena tornato da Praga. Voglio raccontarti tutto.

ETT: La tua euforia mi sorprende!

Non avevi giurato di non partecipare a nessun altro viaggio di istruzione?

LUIGI: Credo proprio di essere incoerente sotto questo aspetto.
ETT: Invece sì!  Tutti sanno che in fondo al tuo animo insiste ancora l’amore per i tuoi ragazzi.

LUIGI: Sei gentile, Ett, a dirmi questo! Comunque, nella vita di ogni uomo esistono momenti in cui sorgono domande per le quali trovare risposte convincenti sembra impossibile.
Il conflitto tra la razionalità delle azioni da compiere e i sentimenti che queste muovono, induce a chiedersi perché esistiamo.
La nostra vita è fatta di regole. Esse sono le linee guida nei rapporti interpersonali e contemporaneamente portano con sé limitazioni all’espansione dell’anima. Dall’altra parte ci sono i sentimenti che sono riservati, intimi e bisognosi di un ossigeno difficilmente reperibile in gran quantità. Questa dualità ci conduce ad assumere maschere ad essere attori nel film dell’esistenza.
ETT: Intendi dire che voi umani avete paura ad esporvi. Temete di non essere veri scienziati, bravi tecnici e preparati professori, se si mostrano i sentimenti. Temete di apparire infantili, deboli e forse anche inconsistenti, se vi commuovete pubblicamente oppure se si usano sorrisi, carezze, abbracci. Insomma, tutto ciò che è sentimento deve essere tenuto dentro, da mostrare solo nell’intimità della propria famiglia o all’interno della ristretta cerchia di amici veri.

LUIGI: Sì, è proprio così!

La gita scolastica è proprio una delle occasioni in cui il formalismo dell’aula scolastica subisce scossoni.

I ragazzi provano, esitanti, a rompere la breccia della formalità mentre i docenti accusano i colpi e lentamente la corazza dell’apparire mostra qualche crepa.
ETT: Dai, su! Abbandona momentaneamente le tue divagazioni filosofiche ed inizia a raccontarmi in dettaglio come è andata questa nuova escursione in terra straniera.

LUIGI: Devo subito dichiararti che ero comandato a sorvegliare dodici apostoli.
ETT: Così pochi?
LUIGI: Avrei molto da dire a tal riguardo. Finirei però per perdermi in ulteriori riflessioni che mi allontanerebbero del raccontare i fatti della gita scolastica.

Per inciso vorrei giustificare questo basso numero di partecipanti tirando in ballo il costo del biglietto di partecipazione e di una inesistente politica di integrazione della vita scolastica con quella esterna all’aula.
ETT: Cioè?
LUIGI: Credo che i ragazzi vedono un sipario che si alza entrando nella scuola e che si chiude uscendo. Sentono la scuola come un mondo separato dal loro habitat. Molti vi entrano costretti e non vendono l’ora di uscirne. In questo senso, ad alcuni la gita scolastica può apparire un prolungamento (sebbene ludico) della vita scolastica.
Riprendendo il racconto, devo informarti che eravamo in quarantacinque: 42 studenti e 3 docenti.
Il destino è un abile architetto quando disegna l’intreccio caratteriale di più persone costrette a condividere tempi e spazi di esistenza.
Solo un grande stratega è capace di combinare in una miscela perfetta tre profili d’anima così diversi.
Una prof di religione, tutto cuore e sincerità, insieme ad un ingegnere tanto pratico quanto satirico, erano i miei due compagni e colleghi di viaggio.
Armati di tanta disponibilità e bendati ai rischi che portavano legati al collo, i tre tranquilli docenti accompagnatori si sono fatti trovare in una mattina di maggio all’aeroporto di Bari, pronti per volare con 42 giovincelli verso il cielo di Praga.
Le parole check-in suonavano di pratica spaziale per i neo passeggeri volanti. Le raccomandazioni fornite in partenza dagli organizzatori della gita risuonavano lontane e forse incomprensibili, fino al punto da ripensare alle dimensioni del bagaglio a mano o agli oggetti vietati da portare insieme quando il mezzo di trasporto è un aereo.

Ultimate le pratiche di rito e cioè la distribuzione dei biglietti d’aereo e la raccolta dei recapiti telefonici, la comitiva si avvia al gate, per superare la barriera dei controlli per poi entrare nella gabbia d’acciaio pressurizzata e pesante di svariate tonnellate.

(continua nella prossima pubblicazione)

 

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