martedì 16 agosto 2016

La passeggiata delle idee


Dipinto di Silla Campanini






Nella vita nulla è chiaro, definito, stabile fino in fondo. 

Qualsiasi cosa, materiale o fantastica, è mutevole, esattamente come la nostra biologia. 

Sembrerebbe che tutto lo scibile umano sia contaminato dal concetto di invecchiamento. 

Invecchiare non significa diventare imbecilli e decrepiti, significa anche cambiamento continuo.

Idee ferme, bloccate dalle convinzioni o, ancor peggio, fissate da tabù ideologici, diventano inevitabilmente idee “malate”. 

Non intendo affermare che dovremmo rinunciare alle certezze. 

Dovremmo solo considerarle dotate di un tempo vita!!  

 Esattamente quel tempo necessario che l’invecchiamento richiede.

Una forma elegante di questo mio concetto si potrebbe esprimere con la parola “Rinnovamento”.

Rinnovarsi, in pratica, significa sostituire vecchie idee a quelle nuove, semplicemente perché il processo di invecchiamento ha avuto corso.

Non so se invidiare o compatire coloro che non cambiano idea nel tempo.

Potrei invidiarli perché hanno trovato un modo per non invecchiare e rimanere bloccati ad una certa età di pensiero.   

D’altro verso, mi dispiacerebbe etichettarli come stupidi o rinunciatari del bene più grande offerto all’essere umano: l’intelligenza.

Qualcuno potrebbe capire che bisognerebbe rinunciare alla coerenza.

Vi assicuro che non è così!

La coerenza è ben altra cosa rispetto alla rigida volontà di affermare le proprie idee ad ogni costo.

La coerenza non è comandabile, è una semplice ed istintiva modalità di rispetto delle proprie idee; cioè, di far seguire le azioni che le sostengono. 

La coerenza vive nell’idea e cambia padrone se questa fosse sostituita, ma i suoi servizi rimangono gli stessi.

Concludendo, le nostre idee passeggiano nel tempo, cambiano vestiti per adeguarsi al “look” del momento ed infine, per esercitare i poveri, mortali, esseri umani, a pratiche divinatorie e quindi, a comportarci come Dei.

 







martedì 12 luglio 2016

Esame di Stato 2016


La vita è una ripetizione di eventi interpretati da sentimenti mascherati con stati d’animo volubili.
Non ci rendiamo conto, ma sono innumerevoli le azioni ripetute che ci ritroviamo a compiere. Perfino le speranze entrano in questo strano gioco. 

Abbiamo preso la buona abitudine di rinnovarle in continuazione.

Per fortuna che non hanno scadenza, altrimenti saremmo stati costretti al riciclo per non deturpare l’ambiente psicologico.  
Se facessimo un conto sommario, sottraendo dal totale tempo vita, quanto ne consumiamo a rifare le stesse cose, la durata della nostra esistenza si ridurrebbe all’infanzia. 
Forse questo è uno dei motivi per cui è difficile crescere e diventare adulti ... in tutti i sensi.
L’esame di Stato è una delle occasioni in cui la monotonia dell’essere prende il sopravvento. 
In queste occasioni, una serie di azioni formali si ripetono fino alla completa rassegnazione dell’intelligenza.
Ovviamente, il punto di vista in questione è quello di un docente che non crede più sull’utilità dell’opera in cui si cimenta.  
Non credo di sbagliarmi molto, e non è necessario essere grandi osservatori per notare l’aria noiosa che si addensa intorno alla commissione mentre è nel pieno svolgimento del suo mandato.

Se non avente ancora capito a che cosa mi riferisco, vi offro un aiutino.
Ogni anno, alla fine di giugno, 8 o 9 persone si radunano per giudicare la “maturità” di un gruppo di alunni.
Questi signori devono marcare con un voto la qualità di ogni esaminando.
Si tratta di una specie di etichetta che i futuri maturandi si porteranno al collo in ricordo di una esperienza quinquennale.
Ma non illudetevi, perché i poveri commissari non possono smentire il “giudizio” espresso dal consiglio di classe. Questo è il biglietto da visita con il quale ogni studente si presenta agli esami di stato. 
Allora? Quale funzione hanno i commissari?
Se volete capirci qualcosa (di più o meno serio) dovreste girovagare fra le carte ministeriali esplicative che giungono soltanto al presidente di commissione. 
Si tratta di un mondo di norme costruite per disciplinare i possibili futuri ricorsi legali.
La vera realtà, invece, è possibile trovarla negli stati d’animo degli alunni. 
In quella riposa il lavoro dei docenti; qui ci sono i risultati (positivi o negativi) di quei professori che hanno tentato di dare il meglio di se stessi. 
Certamente, i professori non lo avranno fatto per lo stipendio, né per paura di un improbabile controllo e ancor meno, per un’ambizione riposta in altre direzioni.
Gli studenti, per fortuna, sentono ancora l’importanza di questa tappa della loro vita. 
Quest’ardore, queste emozioni, sono i flutti di vita che vengono inalati nell’entusiasmo calante dei commissari d’esame per rimanere vivi intellettualmente e non abbandonarsi completamente al passo lento della noia.

Per evitare di non aver chiaro in mente il senso che mi coglie quando mi sento inutile, mi rileggo la definizione di noia: 

La noia è uno stato di insoddisfazione, temporanea o duratura, nata dall'assenza di azione, dall'ozio o dall'essere impegnato in un'attività sostenuta da stimoli che si recepiscono come ripetitivi o monotoni o, comunque, contrari a quelli che si reputano più confacenti alle proprie inclinazioni e capacità. 
Quando la noia assume le proporzioni di una sensazione più accentuata e dolorosa si parla di tedio.”     

Purtroppo, anche quest’anno la pantomima degli esami di Stato si è ripetuta!
Non fraintendetemi però, non voglio trasmettere un messaggio negativo, magari legato alla scarsa professionalità dei docenti. 
L’intendimento vuole muovere la coscienza per una presa di consapevolezza su un principio d’esistenza che ritengo importante.

La natura umana se non riforma se stessa continuamente tende a perdere quelle prerogative che le sono proprie. 

Mi riferisco alla creatività, alla gioia di esistere e in fondo, a quella sottile non dichiarata fede di voler rappresentare la propria individualità in termini di unicità universale.

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