martedì 7 gennaio 2025

Complici per sempre


 

Il bagliore dello schermo del portatile era l'unica luce nella stanza, proiettando lunghe ombre sulla scrivania. Era passata da un pezzo la mezzanotte, ma i pensieri di Andrea si rifiutavano di riposare. Le parole scorrevano sulla tastiera più veloci di quanto le dita potessero digitare. Eppure, in mezzo a questo ritmo familiare, un piccolo ma persistente pensiero continuava a insinuarsi nella mente dello scrittore: Comprenderà il motivo per cui mi attardo ad andare a letto?

Clelia era la donna che aveva sempre desiderato: arguta, bella con quei modi spontanei e abbastanza gentili da ammorbidire i suoi spigoli. Ma aveva anche questo modo esasperante di sospirare ogni volta che Andrea portava il portatile a letto o sentiva il telefono vibrare per le notifiche.

Una sera, Clelia era seduta rannicchiata sul divano, con gli occhi fissi su un libro tascabile che in realtà non stava leggendo. Si poteva sentire la tensione giungere fin nello studio.

"Notte lunga?” chiese senza alzare lo sguardo.

“Sai che il tempo mi vola”, rispose Andrea, lanciandole un'occhiata.

“Lo so.” Il tono di voce era neutro, ma portava quel peso: il peso di ciò che non veniva detto.

Allora Andrea chiuse il portatile, non perché avesse finito, ma perché non sopportava più quel silenzio intimidatorio. “Okay, sentiamo. Cosa ti passa per la testa?”

Clelia esitò a rispondere, poi chiuse il libro di scatto. “Non voglio litigare, ma mi sento come se fossi in competizione con la tua scrittura. Capisco che è importante per te, ma a volte... mi sento come se fossi al secondo posto.”

Le parole della donna giunsero come frecciate. “Non sei al secondo posto”, rispose rapidamente Andrea, “Scrivere per è ... un essere. Non è qualcosa che posso disattivare.”

“Non ti sto chiedendo di disattivarlo”, disse Clelia. “Ti sto chiedendo dove mi collochi nella scala dei tuoi interessi.”

Quella domanda aleggiava nell'aria, più pesante di quanto si potesse aspettare. Scrivere non era solo un hobby per Andrea, era la sua identità, il suo modo di elaborare il mondo. Ma la moglie non aveva torto.

“Sai perché scrivo?” chiese.

Clelia sollevò un sopracciglio, chiaramente scettica. “Perché sei bravo?”

Scosse la testa. “Perché è l'unico modo che conosco per dare un senso alle cose. Il mondo, i miei sentimenti... persino noi. Ho scritto decine di cose ispirate da te. Quando sono bloccato, è pensare a te che mi fa ripartire.”

Clelia si addolcì, ma non sembrava ancora convinta. “Allora perché mi sembra di essere fuori dai tuoi interessi costretta a guardarti impegnato?”

Quella domanda svuotò di pensieri la mente di Andrea. Non si era reso conto di quanto avesse tenuta a distanza la moglie, non per negligenza ma per un malriposto senso di protezione dal caos del suo processo creativo.

“Vuoi partecipare ai miei lavori?” chiese Andrea, sporgendosi in avanti.

Clelia si accigliò. “Cosa significa?”

“Significa... siediti con me mentre scrivo. Leggi le bozze, anche quelle disordinate. Aiutami a fare brainstorming quando sono bloccato. Facciamo nostro il lavoro invece che solo mio”.

I suoi occhi si spalancarono e per un momento non disse nulla. Poi rise piano. “Mi faresti davvero entrare in quella parte del tuo mondo?”

“Mi piacerebbe molto”, rispose Andrea, pensandoci. “Ma solo se vuoi. Nessuna pressione”.

Clelia fissò il suo uomo per qualche attimo, poi annuì. “Okay. Ma devi promettermi una cosa”.

“Dimmi”.

“Non porterai più il portatile a letto. Quello sarà il nostro momento”.

Andre sorrise, prendendole la mano. “Affare fatto”.

Quella sera fu stretto un patto, non solo sulle abitudini di scrittura, ma anche su come sarebbe stata gestita questa attività condivisa. Da allora, Andrea continuò a far tardi, a scrivere frasi e a interagire con i follower, ma ora, lei ne faceva parte, la sua risata riempiva la stanza mentre scopriva gli errori di battitura. In più, offriva il suo contributo suggerendo colpi di scena impensati dal marito scrittore.

Il letto non era solo un posto dove dormire. Era un posto dove i due coniugi si riconnettevano per parlare dei mondi che costruivano e della vita che creavano insieme.

Non fu raggiunto un equilibrio, bensì si trattava di inclusione. E con lei a fianco, l’abilità di scrittore di Andrea si esaltava, trovava parole più piene, più vive.

lunedì 6 gennaio 2025

Tra neutralità e promessa di infinito (Vladimir Jankélévitch)

Vladimir Jankélévitch (1903-1985)


A Mosè non fu mai concesso di vedere Dio in volto, ma solo di spalle. Quindi scorgerlo nel Quasi, nella neutralità degli accadimenti non è stato un trionfo. Mosè fu molto sfortunato. Ma quella neutralità metafisica, sperimentata prima da Mosè, poi da Jankélévitch, ha totalmente immerso l’uomo nel regime dell’Impasse (metafisico): in altre parole, l’uomo, della sua esistenza, non c’ha raccapezzato più niente. 

Il filosofo francese, russo di origini, Vladimir Jankélévitch teorizzerà così: L’esistente non è mai localizzabile tra due estremità (nascita e morte), con un chiaro riferimento a Nietzsche. 

Non si può uscire da questo limbo aporetico, ad avviso di Jankélévitch.  A tale proposito: “la vertigine metafisica che si impadronisce dell’uomo in presenza del mistero senza nome, non contempla né domande né risposte”. 

È chiaro che rimanendo ancorati alla abitudinaria sequenzialità filosofica non si può far uscire la filosofia da questa Impasse. L’esistenza neutrale di Jankélévitch è una metafisica che contiene (a parole mie) una sorta di forza della/nella ambiguità. 

La neutralità è ambiguità, incertezza, ma è altresì “un linguaggio che può dire tutto” ad avviso di Jankélévitch. Questa neutralità si carica di tutti i possibili scenari per l’uomo.  Persino l’innamorato non sa se colei che ama pensa a lui o se è indifferente al suo amore; cerca così di stabilire un contatto seppure in via “neutrale”, pensandola/lo. 

Questo Mutismo, questa imparzialità sottolinea Jankélévitch resta «una promessa, una speranza per l’avvenire, l’annuncio della primavera, breve occasione primaverile»

Si tratta di una promessa che non si può dire, o anticipare, che mi induce all’infinito e mi ricollega a quel mondo non tanto lontano dalla verità. 

 Articolo di Fabio Squeo


domenica 5 gennaio 2025

Il senso della lettura

 

Per molto tempo mi sono perso nella lettura. Leggere è sempre stato semplicemente un mio piacere; è qualcosa che faccio quando il mondo mi sembra troppo rumoroso o la vita troppo opprimente, e così sento il bisogno di viaggiare con la mente e vivere un po’ in vite che non sono le mie.

Ho iniziato a leggere quando un amico, più grande di me, mi regalò il libro “Cuore”. Fu un dono che ha segnato il percorso alla mia vita; ha determinato il mio carattere. Avevo quindici anni, pochissimi amici e nessuna possibilità di spendere soldi. Ricevere un libro, peraltro colorato, con immagini che rievocavano eroi e sentimenti teneri e semplici, fu la cosa più bella che mi capitò.

Dopo quella prima lettura, ogni mio soldino che mi arrivava era destinato a comprare altri libri dalle bancarelle di mercato. Trovai di tutto. Mi fissai subito su libri d’avventura. Ricordo vivamente tuttora le emozioni che provavo nella lettura dei libri di Giulio Verne. Tra le sue numerosissime opere ho veramente viaggiato con la fantasia. Uno dopo l’altro ho letto: Viaggio al centro della Terra, Dalla Terra alla Luna, L'isola misteriosa, Ventimila leghe sotto i mari e Il giro del mondo in 80 giorni.

Appena più grandicello, la mia curiosità si spostò nella geografia e storia. Allora, sapere dove vivevo, quanto è grande il mondo, e le origini delle civiltà diventò un’esigenza irrinunciabile. Certamente, andavo a scuola e quegli argomenti erano oggetto di studio, ma non mi bastava ciò che leggevo dai libri scolastici. Anzi, mi sorprendevo per come i miei compagni si annoiavano ad ascoltare i professori. Oltre a storia e geografia, mi appassionavo a Scienze. Ogni volta c’era qualcosa di nuovo da scoprire.

Nel mezzo del percorso universitario (studiavo ingegneria ma non per mia scelta, ma soltanto per opportunità di lavoro) emerse dall’anima come una sirena ammaliatrice, la passione per la filosofia e poi a seguire, la psicologia. Furono gli anni di Platone e Socrate, accompagnati dalle dilettevoli storie di Luciano De Crescenzo. Seguirono Herman Hess, Nietzsche, Freud, Altman, Jung e tanti altri autori ancora. La distrazione per la lettura fu causa del dilungarsi oltre il tempo necessario del conseguimento della laurea.

Credo di poter rispondere a chi mi chiedesse della utilità della lettura, così: "Leggere, conoscere, imparare, ti rende seriamente un essere umano; dà senso profondo al tuo pensare. Aggiunge valori per i quali vivere ha un significato … quel significato che ognuno rincorre, scegliendo molte volte strade senza uscite."

sabato 4 gennaio 2025

Come essere intelligenti

 

Durante la mia carriera di insegnante ero restio a mettere voti oltre 8. Mi rendevo conto che deludevo le aspettative di molti miei studenti. A maggior ragione quando nello stesso consiglio di classe c’erano colleghi che facevano fioccare i 9 e 10 come se fossero noccioline sul tavolo.

Ovviamente, io apparivo come il guastafeste di turno mentre quei generosi colleghi erano alfieri dell’insegnamento, vantandosi della simpatia degli studenti.

Vi confesso che spesso restavo senza parole quando al mio umile 6 si affiancava il 10 di un’altra materia. In quell’occasione il preside, rivolgendosi verso di me, poneva la classica domanda: “Professore, il suo 6 e proprio un 6?”.

Capite da soli perché quella stessa domanda non veniva fatta al collega che aveva messo il 10!

Poiché la valutazione generosa del mio collega non era un caso isolato, il mio collega giustificò il criterio che seguiva per assegnare il 10: “Io non ho nessun problema ad assegnare il 10 se il ragazzo risponde a tutte le mie domande, d'altronde se è ammissibile la valutazione massima, perché non usarla!”

Il dirigente, come anche io, non poteva andare altre alla sua domanda, anche perché tutto andava a vantaggio dello studente ed era salva la formalità della libertà di giudizio del docente.

Il problema ero io!

Nella mia valutazione facevo entrare un altro parametro poco istituzionale ma molto umano. Il 9 o 10 lo assegnavo anche quando l’allievo non rispondeva perfettamente a tutte le mie domande, ma mostrava una dedizione particolare allo studio e una sensibilità all’incoraggiamento che poteva aiutarlo a superare le residue difficoltà per migliorarsi ed emergere come intelligenza viva e rispettosa. 

Lo studente che studiava in modo forzoso (probabilmente lo faceva per accontentare i genitori), acquisiva il risultato dei suoi sforzi che alla fine si riassumeva nella memorizzazione di ciò che studiava. In realtà i concetti studiati erano pronti ad evaporare appena trascorso qualche giorno. Assegnavo voti esattamente in base alla completezza e chiarezza dei concetti studiati.

Mi capitò un caso di una ragazza che aveva copiato il compito dalla sua amica di banco. Lei tutta ansiosa di mostrarsi brava, chiese la verifica del suo lavoro. In quell’occasione, poiché il lavoro fu completo e corretto, assegnai un 10 che le fece brillare di gioia i suoi occhi. Mi fu chiaro che quella ragazza fino ad allora non aveva creduto in se stessa ma per cercare una gratificazione aveva copiato il lavoro della sua modesta, generosa e silenziosa compagna. Dopo qualche mese, quella stessa ragazza divenne una delle intelligenze più belle della classe.

È intelligente chi capisce tutto e in fretta, chi coglie significati, trova soluzioni, mostra una mente vivace e perspicace?

Siamo certi che questo tipo di intelligenza sia un merito?

Oppure è un dono della natura o dalla fortunata combinazione educativa e biologica?

Complimenti, se hai occhi azzurri da Angelo!

Complimenti, se sei bella come il sole!

Complimenti, se il tuo cuore riesce a battere per cento anni!

Ma quali sono i tuoi meriti?

Se sei più intelligente di me magari puoi pensare per me.

Però, se sfrutti questo tuo vantaggio a favore dei tuoi egoismi o per soggiogarmi, credo che la tua intelligenza sia sprecata e ancora peggio, sia di poco valore.

Tecnicamente, l’intelligenza è quella capacità di acquisire informazioni dall’esterno (input), ricordare (memoria), riflettere (elaborare) per produrre un pensiero utile e buono per sé e per il mondo intorno a te (output).

Umanamente, invece, intelligente è chi esplora nuovi percorsi, chi sa coniugare il senso umano con la ragion pratica; chi apre nuovi orizzonti per il bene di tutti.

Ognuno, nel proprio piccolo, può mostrare intelligenza … ed è qui che ci sono i meriti.

In generale, l'uomo intelligente deve sapersi relazionare con il suo prossimo, per contribuire con il proprio pensiero critico e con l'aiuto della memoria storica a migliorare la condizione umana.

 

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