Quadro di Silla Campanini
Si
parla di Pascal come di un talento esploso sin dalla tenera età, poiché la sua
vivacità e l’oculata osservazione per le piccole cose della realtà lo
condizionavano fino a “domandare sino alla noia”.
Ci
informa la sorella Gilberte Périer:
“Appena
mio fratello raggiunse l’età della ragione, diede segni di straordinaria
intelligenza, e non tanto per le risposte quanto per le domande”.
Questa
è la caratteristica di un bimbo prodigio il quale, piuttosto che vivere “l’ebbrezza
continua di gioventù” [François de la Rochefoucauld] (… prendere a calci
il pallone o gettare un urlo “Tana scopro tutti! ” - gioco del nascondino
-) annuncia (… è lo stesso Pascal a confidarcelo): “Gli uomini si
dedicano ad inseguire una palla o una lepre; è il piacere persino dei re” .
Ma
egli preferiva di gran lunga l’armonioso potere del silenzio, quale
motore che muove l’universo delle creature; quindi decide, per sempre, di
rannicchiarsi ai piedi di un ciliegio al fine di contemplare le bellezze del
creato, i suoi rigogli vegetativi, e raccogliere i frutti nei tempi delle prime
allegagioni.
Si
pensi che a soli 19 anni scoprì il primo computer della storia, conosciuto come
Pascalina.
“La
sua curiosità era inarrestabile” - scrive Gilberte - e col passar del tempo, l’acuta
osservazione e la passione per la vita non bastarono a delineare il suo
temperamento, ma “crebbe in lui la forza del ragionamento”.
Un
ragionamento costellato di logica-matematica, che ben presto gli riserverà
notevoli sbalzi di umore, soprattutto per la complessa condizione umana di cui
egli era un protagonista all’interno di uno scenario di precarietà e di
miseria.
Pascal scrive: “Un albero non sa di essere miserabile, ma essere
grande significa conoscere di essere miserabile” .
Il
sentimento di precarietà della condizione umana è un dato intrinseco alla
natura umana, che le conferisce il negativo presagio di essere corpo finito o
finitezza nella sostanzialità.
Un ragionamento, che nel tempo gli
solleticherà la consapevole conferma di un concetto di vita fondamentale,
peraltro coincidente col percorso in cammino verso la verità: cioè la
possibilità di sfatare, dopo accurate analisi geometico-matematiche, infinite
realtà, sempre ancora da scoprire, e nonostante il sistematico impegno compiuto,
esse aumentano sistematicamente a dismisura.
Secondo Pascal, l’attività della
mente umana è talmente infinita che non basterebbe una vita biologica in grado
di raccogliere gli infiniti limiti imposti dalla natura; questo, però, non
significa porre sotto scacco il fine ultimo dell’uomo e marchiarlo
dell’impossibilità ontologica alla ricerca del vero, anzi, egli crede nell’uomo
ed è convinto dei suoi valori più intimi che fanno leva sulla condotta
dell’agire morale.
“L’uomo
non è mai semplicemente una cosa tra le tante cose” [Martin Heidegger].
Secondo
Pascal, l’uomo è “una canna, ma pur sempre pensante” : certo fragile,
dinnanzi alle intemperie dell’universo dei limiti, ma pur sempre pensante e
sussistente, cioè in grado di trovare la strategia più conveniente alla propria
auto-conservazione fisica e morale. Egli scrive: “tutta la dignità dell’uomo è
nel suo pensiero” .
L’uomo
deve prendere in mano la propria condizione morale-esistenziale e accettare
filosoficamente la propria limitatezza, e magari, con una spolverata d’ironia ,
burlarsi ogni tanto delle proprie “scoperte dell’acqua calda” se si vuole
scavalcare il muro delle imperfezioni.
Egli
scrive nei suoi frammenti: “L’ultimo passo della ragione umana è di
riconoscere che ci sono infinite cose che la sorpassano”.
L’uomo
non deve demotivarsi dal suo progetto originario che porta alla luce
universale, perché tra gli infiniti sogni e le infinite notti insonne passate a
realizzare il suo autentico progetto di vita, deve rendersi conto che a
breve sarà possibile per l’umanità intera “toccare il cielo con un dito”,
pur restano con i piedi saldi in terra.
Questa
è la sua scommessa più grande.
Le
leggi dettate dalla fisica e dalla matematica, regolano certamente il mondo
dei/nei limiti, esse però non vanno assolutizzate; devono fungere soprattutto
da trampolino di lancio per carpire le vere problematiche escatologiche, che
non interdicano l’uomo dalla comunicazione con Dio.
Il
riconoscimento dei limiti della ragione deve mirare a dimostrare la “necessità
della Fede” come unica e sola strada attraverso la quale arrivare
all’individuazione di principi valevoli universalmente.
“Perché
la fede abbia un qualche valore, deve saper sopravvivere alle prove più dure”.
[Gandhi]
Le
prove ontologiche, anche le più dure, non vanno superate secondo procedure
schematiche e/o macchinose né dimostrate razionalmente ma devono risultare vere
alla luce di una “intuizione” o “voce interiore”. Il che non ha niente a che
vedere con l’edificio logico-deterministico definito da Cartesio (il quale
attribuiva - alle scienze geometriche-matematiche – la sola conferma di una
struttura profonda in grado di comprendere e interpretare la realtà).
Pascal
non era interessato a pervenire ad una dimostrazione dell’esistenza di Dio,
quanto piuttosto voleva assicurarsi - stando alle leggi della phyusis -
se vale la pena o no riflettere “sul sentiero che porta nella direzione di Dio,
ovvero nella direzione della sua immagine”.
“La
fede, essendo un dono di Dio, non va dimostrata” …Ecco che Pascal obietterà e
dirà ancora: “Il cuore conosce ragioni, che la ragione stessa non conosce”.
Non
smettere mai di ricercare le leggi e i principi, unici motori dell’universo
fisico. Esse sono eccellenti ingredienti per un piatto succulento.
L’uomo
deve essere in grado di muovere - facendo appello al suo buon senso – la
propria ragione in termini di scelte morali e di comprensione della cultura del
senso civico.
Attraverso
l’appello al buon senso, l’umanità avvertirà sul proprio corpo il fruscio dell’eternità,
e con le proprie orecchie saprà udire gli echi evanescenti cosparsi
nell’universo.
Il
cuore rappresenta, primariamente, la comprensione che porta nella traiettoria
di Dio, a riconoscersi come parte di universo infallibile.
E’ certamente interessante
fare esperienza delle leggi della natura ma sarebbe ancor più conveniente “riflettere
sulle esperienze stesse” stando alle antiche memorie aristoteliche.