Nella fredda stagione
invernale a Cosimino piaceva uscire di casa per andare a lavoro quando la luce
dell’alba pian pianino prendeva il sopravvento sul buio cupo della notte. 
L’orario scolastico non
glielo imponeva ma lui preferiva fare tutto con calma e godersi i momenti
tranquilli per iniziare una nuova giornata cogliendo, nelle piccole cose, la
bellezza del suo lavoro.
Quando apriva il portone
dell’Istituto, aule e corridoi dormivano ancora. Nel silenzio che regnava gli
faceva compagnia il cinguettio dei passeri e, dopo pochissimi minuti, l’odore
inebriante del caffè appena pronto nella moka. 
Subito dopo toglieva cappotto e
cappello, indossava il camice color blu scuro, si sfregava le mani per
riscaldarle un poco, beveva la sua tazzina di caffè e si accingeva a
controllare scrupolosamente che tutte le aule fossero pulite, ordinate,
arieggiate e pronte ad accogliere gli alunni.
Poi, per non prendere freddo,
indossava una pesante giacca di felpa, avvolgeva la sciarpa intorno al collo e
dava una bella spazzata all’atrio della scuola che di notte il vento ricopriva spesso
di foglie e cartacce.
Una bandiera tricolore primeggiava in
alto accanto alla grande targa in alluminio che riportava a caratteri
cubitali  il nome della scuola, lo stemma
della Repubblica Italiana e la bandiera Europea. 
Cosimino alzava gli occhi ogni
mattina  e, guardando il simbolo
dell’Italia,  si sentiva molto orgoglioso
di far parte della istituzione scolastica.
Lui, che aveva appena sfiorato la
crudeltà della guerra e avuto la fortuna di rivedere il padre tornare sano e
salvo dal fronte, nutriva un forte spirito di patriottismo tanto da piangere
commosso anche alla sola intonazione dell’inno nazionale.
Il ruolo di “bidello” non era
certamente quello che aveva sperato da piccolo, quando sognava di diventare ufficiale
dell’esercito, ma ormai alla veneranda età di 62 anni, si era rassegnato serenamente
a compiere in modo diverso il suo dovere per la Patria.
Perché lui così lo concepiva. 
Pensava (e non a torto): “il mio
lavoro dà supporto agli insegnanti, al Ministero, alle famiglie e soprattutto
ai piccoli alunni che da grandi frequenteranno le migliori Università del paese
e diventeranno medici, ingegneri, avvocati, imprenditori che faranno il
progresso dell’Italia.”
Spesso i pochi amici che aveva  lo prendevano in giro, facendogli notare che
il suo era un mestiere quasi inutile; così Cosimino li aveva un po’ allontanati
e si limitava a salutarli quando passava davanti al bar. 
I veri amici erano, sembrava strano
pensarlo, proprio gli alunni e gli insegnanti della scuola, con i quali quotidianamente
scambiava pareri e  discorreva del più e
del meno sempre nel rispetto dei ruoli e solo e soltanto quando non era impegnato
in commissioni inerenti il suo lavoro.
Qualche volta faceva confusione con
le materie insegnate dai docenti perché il sistema di insegnamento era cambiato
da un po’ di tempo e invece lui si ostinava a pensare alla scuola elementare
come a quella della  sua epoca.
Tuttavia conosceva alla perfezione i
nomi di tutti i bambini che frequentavano le lezioni, la  provenienza, il mestiere dei genitori e,
senza impicciarsi dei fatti loro, osservandoli si faceva un’idea di come
fossero e si comportassero al di là della recinzione dell’istituto.
Raramente si sbagliava. 
Aveva una capacità innata di cogliere
il loro umore, la loro tristezza o la presenza di piccoli e grandi problemi, ma
sempre con discrezione. Talvolta, i bambini più spigliati si confidavano con
lui, cercando conforto da un adulto.
Cosimino sempre attento a non
sconfinare nel pettegolezzo, elargiva consigli validi ma leggeri tanto da far
diventare quasi un gioco o una piccola sfida ciò che all’età di nove/dieci anni
poteva apparire un ostacolo insormontabile.
Il lunedì era poi il giorno dedicato
alle “chiacchiere” sul campionato di calcio che coinvolgeva la maggior parte
degli alunni di quarta e di quinta classe; ed infine in ogni ricorrenza
nazionale e prima dei giorni di vacanza, che fosse Natale, Carnevale o Pasqua,
era sempre contento di trascorrere quelle giornate speciali in armonia con la
comunità scolastica prima di rientrare nella sua piccola dimora che lo
accoglieva silenziosamente.
Insomma Cosimino amava la scuola e
non solo perché gli permetteva di avere uno stipendio fisso: ormai per lui era
diventata la vera casa e chi ci apparteneva la sua vera e unica famiglia.
Non si era mai assentato dal lavoro,
tranne il giorno del funerale dei suoi genitori. 
Perciò quella mattina quando il
direttore arrivò a scuola prima del solito e trovò il cancello chiuso, rimase
un po’ sorpreso ma non preoccupato.
Aprì il pesante uscio di ferro, poi
il portone di legno, entrò in direzione 
e dopo aver tirato su la tenda (cosa che faceva ogni mattina il ligio
Cosimino) cercò il numero di telefono per chiamarlo. 
Provò più volte ma dall’altra parte
non ci fu risposta. 
Intanto erano arrivati gli altri due
collaboratori scolastici, due arzille signore che ormai da tempo tardavano
sapendo che Cosimino le precedeva sempre. 
L’attività scolastica entrò nel vivo della giornata con il suono della
campanella e durante la ricreazione tutti si accorsero dell’assenza di Cosimino
chiedendosi come mai non fosse presente.
Alle ore dodici inoltrate, appena
riavuto un momento libero, il direttore compose ancora il numero di telefono,
certo che Cosimino avrebbe risposto alla chiamata.
Invece nulla. Addirittura l’utente
non risultava più raggiungibile.
Provò ancora tre quattro volte
finché, ormai preoccupato, decise di andare a cercarlo a casa per assicurarsi
che stesse bene.
Le finestre dell’appartamento a
pianoterra erano aperte.
“Meno male” – pensò il direttore
sospirando – “non sarà successo nulla di grave. Però almeno poteva avvisare che
oggi non sarebbe venuto al lavoro”. 
E suonò il campanello un po’
infastidito.
Cosimino aprì dopo pochi secondi ma
non riconobbe l’uomo.
“Chi è lei? Chi desidera? Mia madre
non è in casa e io sto studiando. Non so se posso farla entrare” – disse con
voce ferma quasi scusandosi educatamente.
Il direttore restò per un istante
ammutolito e pensò di aver sbagliato indirizzo. Ma l’uomo che gli aveva aperto
la porta era proprio Cosimino, lo conosceva benissimo. 
Per sicurezza, e con sguardo
interrogativo sconcertato, gli chiese: “Sto cercando Cosimo Lazzari, so che
abita qui. Sei tu Cosimino, non mi riconosci?”
“Non ti conosco affatto, chi sei?” –
si sentì dire il direttore basito dall’incresciosa conversazione.
“Sono il direttore dell’Istituto.
Sono qui per aiutarti” – incalzò sperando in una risposta positiva.
“Ah ecco. Allora entra pure, così
puoi aiutarmi a risolvere il problema di geometria che mi sta tormentando da
stamattina.”
Il direttore entrò nell’appartamento
modesto ma ordinato e pulito e Cosimino lo invitò a sedersi.
Sul tavolo erano sparsi fogli e
quaderni un po’ ingialliti dal tempo e un mucchio di vecchi libri era posato
sulla sedia di legno.
“Allora” – continuò  fiducioso il bidello -  “se mi dai qualche suggerimento su come calcolare
l’altezza di questo odioso trapezio, io continuo il problema che mi serve per
prepararmi al concorso”.
Il direttore continuava sbalordito a
non capirci nulla, e per assecondarlo, gettò lo sguardo sul foglio contenente  i dati del problema.
Poi vide in mezzo al libro di
matematica una lettera sgualcita con un timbro postale di 40 anni prima e in un
attimo capì cosa stava succedendo all’uomo accanto a lui.
Probabilmente all’improvviso Cosimino
stava accusando il sintomo più comune del morbo di Alzheimer . 
In quel momento credeva di avere 21
anni e di dover sostenere l’esame per entrare nell’esercito. Perciò non lo
aveva riconosciuto, perché non si rendeva conto della sua età e di essere impiegato
come collaboratore scolastico da moltissimi anni.
Pochi giorni dopo, il medico
specialista purtroppo confermò quella diagnosi ipotizzata dal direttore.
Non era però un caso grave. 
Cosimino aveva dei vuoti di memoria
abbastanza brevi anche se repentini e, soprattutto se si recava come di consuetudine
al lavoro, tutto sembrava tornare alla normalità.
Seppure a malincuore il direttore
aveva informato chi di dovere e aveva chiesto, in base alla legge in vigore, di
valutare l’integrazione lavorativa di Cosimino con un opportuno programma di sostegno
e collocamento mirato.
Il bidello non lo sapeva, ma giorno
dopo giorno l’assistente sociale 
osservava attentamente i suoi comportamenti. 
Dopo un mese di attenta sorveglianza
e vari test neurologici, l’uomo poté essere riammesso al lavoro a tutti gli
effetti con una leggera riduzione delle ore lavorative.
Cosimino continuò a indossare ogni
mattina il suo devoto camice blu scuro, ad ammirare la bandiera italiana,  a salutare gli insegnanti e  i piccoli benvoluti alunni anche perché ormai
la comunità scolastica non poteva più fare a meno di lui.
Quella diagnosi così spaventosa che
cambia la vita non aveva assolutamente disciolto l’amore di Cosimino per la
scuola: anzi, a detta degli esperti, si era rivelato forse la migliore medicina
per convivere con un morbo che può colpire chiunque senza preavviso.