Se dovessi eleggere universale una parola il cui significato
è assolutamente chiaro e tacitamente accettato, questa sarebbe “ipocrisia”.
Ipocrisia è un fiume che scorre nelle valli della
formalità, attraversa luoghi pubblici, alimenta campi coltivati col
qualunquismo e sfocia nel mare della povertà dei valori.
Chissà quante volte vi sarà capitato di chiedervi:
“Devo essere sincero e presentare la mia la verità o essere
diplomatico, apparire simpatico ed elegante, raccontando ciò che il mio
interlocutore vorrebbe sentire?”.
Se non vi siete mai posti questo quesito, allora o
siete una persona speciale, un avventuriero, un cacciatore di guai.
Essere ipocrita è facile, conveniente e salutare.
L’ipocrita ha molte “amicizie” e spesso, fa carriera;
conosce l’arte della diplomazia, della mediazione ed è un grande parlatore.
Gli striscianti, silenziosi, vigliacchi ipocriti, ricordano
molto i sofisti dell’antica Grecia.
I sofisti erano maestri delle virtù apparenti per le
quali si facevano pagare per i propri servizi. Furono chiamati offensivamente “prostituiti
della cultura”.
Argomento centrale del loro insegnamento era la retorica,
mediante la quale si esercitava l’allievo con il tipo di morale utile a
conseguire specifici scopi.
Insegnavano a essere avvocati, ricostruttori e
giustificatori di eventi riferiti, quindi, erano ottimi insegnanti per
diventare cittadini attivi, militanti politici, persuasori professionisti.
Nella società moderna assumerebbero la funzione
“public relation”.
In questa attività è fatto obbligo l’uso del vestito
elegante, meglio se firmato; ambienti lussuosi, e sorriso foto-stampato sul
viso.
L’ipocrita è la mummia che vive nel presente; è
cosciente di operare in un modo fraudolento ma non desiste. Molte volte il
tornaconto è modesto in termini di valore, ma per inerzia o per ozio mentale,
continua a mantenere lo stesso costume.
Quando l’ipocrita viene scoperto il suo atteggiamento
è gelatinoso, cioè adduce spiegazioni puerili sostenute da nobili sentimenti e
valori universali.
Esattamente come la gelatina fra le mani, ti sporca tutto e
non hai nulla di solido da afferrare e pulirsi diventa anche un problema.
In un’occasione, chiesi al malcapitato ipocrita, che
cosa lo spingesse a comportarsi in quel modo. La risposta era facilmente
pronosticabile:
“Il mio modo di fare è come quello di molti di noi. Ci
adeguiamo alle circostanze e facciamo buon viso a cattivo gioco.
Arrabbiarci è
del tutto inutile, mentre agitarci per cambiare l’ordine degli eventi è come
svuotare il mare con il secchio: c’è sempre qualcuno che potrebbe sostituirti!
Se
vuoi consolarti, puoi sempre lamentarti per ciò che gli altri non fanno o che si
comportano male”.
Sarei stato anch’io ipocrita se non gli avessi così
risposto:
“Caro amico, spontaneamente mi sorge la voglia di far
risuonare una bella pernacchia, ma ho troppa stima di me stesso per scendere a
questi bassi livelli.
Sono convito che adeguarsi, è un po’ morire e mi va bene
apparire ingenuo o anche matto, nell’affermare la mia convinzione di essere
pensante dotato di sentimenti.
Mi piace prodigarmi per procurare un vantaggio,
anche piccolo, al mio prossimo: avrò in regalo il suo sorriso.
Non diventerò ricco, ma in quei pochi minuti, mi
sentirò bene”.