mercoledì 25 luglio 2012

Pensare positivo



Un altro atteggiamento tipico per la maggioranza della gente, è quello che temendo le negatività, spera di evitarle, invece di sperare nelle positività e non pensare alle negatività.

Per esempio, per molti è più facile affermare:
“Sono debole, spero di farcela”, anziché, 
“Spero si essere forte abbastanza, ci riuscirò”.

Il concetto presente nelle due frasi e simile non considerando, però, che la prima porta con sé una giustificazione per la prevedibile sconfitta, mentre la seconda, un incoraggiamento per una concreta possibilità di vittoria.

Il corpo, stupido, traduce letteralmente ciò che la mente gli propone e comanda la biologia ad attenersi alle istruzioni ricevute. 

Qualora si trattasse di una corsa, nel primo caso il motore biologico rimarrebbe acceso al minimo, esattamente per il tempo necessario per concretizzare la sconfitta. 

Nel secondo caso, il motore si preparerebbe per stabilire un nouvo record da consegnare alla mente.       

Per dirla in termini chiari, quasi tutti pensiamo a ciò che non voliamo perché temiamo le conseguenze prevedibili e tenendole presente in mente, usiamo un modo scaramantico per allontanarle. 

Non immaginiamo, invece, che tenendole in primo piano, offriamo l’obiettivo chiaro al corpo stupido per organizzarsi a ottenerle. Il corpo sa che tutto ciò che è nella nostra mente ci fa piacere, e di conseguenza, aiuta se stesso a sopravvivere.

Dovremmo abituarci a pensare in positivo, sforzandoci di cercare la luce anche quando tutto intorno è buio.

Se riuscissimo ad abituarci in questo modo di pensare, il nostro atteggiamento nei confronti della vita interiore e della società, cambierebbe radicalmente. 

Saremmo sempre meno predisposti ad arrabbiarci, selezioneremmo inconsapevolmente le compagnie riscontrando affinità con persone buone e propositive, e rallenteremo il tempo facendoci apparire sempre giovani.

Una piccola nozione scolastica ti aiuterebbe a capire il concetto nascosto tra le mie parole.  La prima legge della dinamica, in fisica, afferma che 

Un corpo rimane fermo o in moto rettilineo uniforme fino a quando una causa esterna (forza) non interviene per modificare il suo stato”. 

Lo stato di fermo di un corpo lo potremmo ricondurre per analogia alla morte e in questo caso, non serve nessuna energia. Lo stato di moto rettilineo uniforme è la vita che si sviluppa felice eternamente, senza soluzione di continuità e senza sforzo. 

La causa esterna perturbatrice è il pensiero che, se fosse negativo rallenterebbe la corsa del corpo fino a fermarlo, ma se fosse positivo accelererebbe la sua corsa costantemente fino a portare il corpo a una velocità costante corrispondente a un livello superiore. 

Per chi crede nell’universo organizzato a livelli di perfezione crescente, sarà lieto di far coincidere l’ultimo livello con il Creatore.   

martedì 24 luglio 2012

Comunicazioni silenziose


 

Le esperienze di vita sono intrinsecamente non comunicabili. 

Possono certamente essere scritte e raccontate, ma non trasmettono il profondo vero senso. Arrivano al lettore o all’ascoltatore con parole ordinate in frasi che hanno un accurato senso logico, ma prive di peso.

Il protagonista potrebbe infuocarle con la sua foga, il suo calore e il tono di voce, ma otterrebbe solo attenzione e vaga interpretazione di un vissuto non suo.

Alcuni rimangono impressionati dall’enfasi, dallo stato di agitazione, dalle reazioni straordinarie del comunicatore, ma difficilmente, il senso dei contenuti tocca l’anima nella direzione giusta.

Una situazione simile è riscontrabile vedendo un film. Dimenticando se stessi nel buio della sala cinematografica, entriamo nella trama, nella sensibilità degli attori e siamo condizionati dalle loro esternazioni, ma è necessario attendere la fine del film, per ricomporre a freddo tutti gli elementi psicologici che danno il contenuto alla trama.

Nel momento in cui si vuol comunicare un’esperienza vissuta, l’ascoltatore promette e non manterrà la promessa, che comprenderà il senso dopo, mentre subito offre la sua solidarietà e consolazione.

Non intendo dichiarare un’ipocrisia diffusa, che in alcuni casi potrebbe anche esserci, ma di un modo di rispondere all’esperienza del prossimo, “naturale”.

Ho sperimentato l’impossibilità di camminare e di manifestare in pubblico l’handicap. 

Vi assicuro che si è protagonisti di una comunicazione silenziosa molto articolata e presente nella maggioranza delle persone, indipendentemente se si è conosciuti o no.

La malattia o l’handicap, è “visto” inconsciamente come un male che si vuole esorcizzare e si tenta un’emarginazione sotterranea della persona colpita.

A livello di coscienza, poiché l’emarginazione non è una virtù, si reagisce con atti esteriori formali di solidarietà.

Questa interpretazione “cattiva” delle reazioni del prossimo, le riscontriamo in modo palese (assenza di coscienza) anche tra gli animali, i quali addirittura, minacciano l’esemplare menomato che chiede sostegno dal gruppo.

Se ci fate caso, le occhiate che vogliono apparire fugaci o casuali, le pause di colloquio che si notano alla vista di una persona menomata, sono momenti intensi di comunicazione senza parole.

I contenuti del colloquio nascosto sono chiarissimi e fanno molto male a chi, oltre al danno, riceve la beffa. 

lunedì 23 luglio 2012

Premio per una vita d'amore


Non posso sapere a quanti di voi è successo di rimanere immobili e impotenti davanti a un genitore sofferente, debole e arreso alle offese di un corpo invecchiato. 

Il gigante morale, il binario che ti guidava, in quel momento sembra appartenere alla storia. 

Effettivamente, si ha l’impressione di aprire un libro antico e attraverso i ricordi rivedere le scene dei bei momenti affettivi, le temute reazioni educative, le dolcissime premure di una mamma. 

Non riesco a evitare di inumidirmi gli occhi, quando il pensiero, come un ologramma, mi stampa la sua foto davanti e con un meccanismo automatico inizia a girare scene di un film che conosco molto bene.

So benissimo che tutti attraverseremo quella coda scomoda della vita, ora però, sono convinto che qualunque realtà che il destino potrà riservare, si ricorderà che il silenzio di chi vuol bene o la stretta di una mano giovane, è il premio per una vita consumata nell’amore. 

Verità camaleontiche




Si racconta di una donna che era convinta di avere un angelo custode che l’accompagnava ovunque e le dava conforto e protezione. 

In ogni occasione di incertezza o di paura, il suo pensiero si rivolgeva al suo angelo e miracolosamente tutto sembrava semplificarsi con la massima serenità. 

Con il procedere degli anni, nuove idee scaturite da una filosofia di vita mutata, minarono la fede in questo angelo. 

Gli atteggiamenti della donna cambiarono radicalmente e la presunzione unita con l’arroganza costituiva il tratto più evidente di questo suo nuovo profilo. 

Il tempo, che passa per tutti, le pose davanti alla sua consapevolezza i primi problemi legati all’età matura e capitò quindi che si ammalasse. 

La nuova filosofia di vita che aveva adottato non le dava nessun riferimento per ricavar conforto mentre la malattia che la colse si aggravava. 

La povera donna finì in coma e nel tempo dell’abbandono momentaneo della nostra vita, rivide l’angelo. 

Piangendo, si rivolse a lui chiedendo perdono per la volubilità della sua fede. 

Nella frenesia della supplica gli chiese: 

“Perché ti sei adeguato alla mia meschinità?” –
“Sei stato sempre presente nei miei momenti difficili!” –
“Perché mi hai abbandonata?” -

L’angelo, irradiando serenità, rassicurò la donna rispondendo:

“Non ti ho mai abbandonata.” -
“Nei momenti in cui non mi vedevi, io ero dentro di te mentre tu guardavi fuori”.

La storia di questa donna è molto comune e mette in risalto che la vita è sempre un processo di consapevolezza che passa attraverso innumerevoli verità fortemente condizionate dall’esperienza del dolore.  

 

sabato 21 luglio 2012

Non posso ignorarti



Bimbo mio, non posso ignorarti.

Il tuo tenero cuoricino rende morbido anche quel rude, polveroso giaciglio.

Ignaro della cattiveria degli uomini, trovi pace solo nel sonno.

Schivo all’indifferenza dei grandi uomini della terra, li rendi ridicoli, svuoti le loro parole e smascheri la loro ipocrisia.

Sebbene tu sia nato sullo stesso mio pianeta, la logica divina non ha trovato un miglior posto per accoglierti.

Non ti occorre molto per dormir sereno,
se non un cencio che ti ripara da mosche e zanzare,
se non la tua pelle nera che ti ripara dal sole africano.

Dormi bambino mio e lascia che il mio cuore pianga in silenzio.
Non vorrei svegliarti per ricordarti di avere fame.

Il mio letto questa sera sarà più duro.

venerdì 20 luglio 2012

Tristezza, malattia contagiosa




Vorrei soffermarmi con te su un particolare atteggiamento dell’essere umano in generale. 

Le nostre limitazioni, le nostre paure intervengono pesantemente sulla qualità della vita a causa di un dettame insito nell’istinto che va oltre l’uomo stesso e lo rende molto simile ad ogni essere vivente sul nostro pianeta. 

Si tratta dell’istinto di sopravvivenza che prescinde da qualunque legge “umana” regolatrice delle relazioni sociali. 

Qualora una minaccia dovesse presentarsi alla consapevolezza, qualunque essere vivente utilizza tutti i sistemi a sua disposizione per proteggersi e  scongiurare il pericolo. 

Le tecniche di “sopravvivenza” sono diverse e commisurate con la specie. 

Nel caso di umani, si deve tener conto di una doppia consapevolezza. 

La prima è riferibile al corpo come componente fisico, staccato dalla psicologia ed estraneo alla razionalità. 

Il corpo quando si sente minacciato mette in opera l’esperienza accumulata nella vita corrente e, forse, anche in quelle precedenti. 

Esso, essendo privo di razionalità, applica la tecnica con la sola condizione che in passato una modalità simile di reagire ha prodotto ottimi risultati, a prescindere della precisione mediante la quale esso decide la similitudine degli eventi.

Per esempio, immagina di ferirti ad una mano. Il processo di guarigione scatta con una serie di attività che interessano la biologia. 

Queste attività assumono una grinta funzionale legata al contenuto di una guida operativa che il corpo ha formato con gli anni trascorsi.

Nella giovane età la guida attinge dal carattere ereditario della persona, mentre con l’età adulta, tale guida è contaminata dall’esperienza individuale. 

Ovviamente, il processo di guarigione è più veloce ed efficiente se meno notizie disturbatrici e cause di inefficienza ci sono nella guida. 

La guida, utilizzata dal corpo, è in continuo aggiornamento fino dal primo istante di vita. Essa registra anche le convinzioni provenienti dal secondo livello di consapevolezza. 

Frasi come “Ormai sono diventata vecchia”, vengono codificate in simboli che rallentano il processo di guarigione. 

Altri esempi sono: “Sono abituata al dolore”, “Ho perso la speranza”, “E’ impossibile che possa verificarsi!”, “Mi sono rassegnata”, “Non ho più vent’anni”, e così l'elenco potrebbe continuare.

Il corpo memorizza questi segnali provenienti dal livello superiore e si adegua per tenerne conto come verità assolute da attendere.     

Ripetere continuamente nel dirsi “vecchio” significa far partire quel processo di convincimento che giungerà al corpo sotto forma di dettame. 

In questo caso, esso produrrà stimoli per cui i movimenti si rallenteranno, la pelle tenderà ad aggrinzirsi, i dolori reumatici si instaureranno, la vista si accorcerà, l’udito diminuirà, l’appetito scomparirà e, per effetto cascata, tutto procederà verso la definizione del “vecchio”, come era stato anticipato dal desiderio di livello superiore.

Naturalmente, il processo è favorito dalla psicologia che ordina alle parti del corpo a disporsi in accordo con il significato e l’idea che esterniamo.

Se ci lamentiamo, è impossibile non manifestare posizioni corporali di disappunto e di tristezza. 

La testa china e il tono di voce basso si accorda benissimo con la tristezza e la sconfitta. Addirittura la depressione suggerisce l’immobilità tipica del corpo morto. 

Mentre la corsa, il canto, il sorriso sono caratteri del corpo vivo, appartenente a chi mostra gioia, felicità, entusiasmo per la vita. 

Il fatto importante da capire a fondo, è che questi stati sono comandati da convinzioni che non hanno nessun legame col giudizio oggettivo di “vero” o “falso”. 

In altre parole, indipendentemente se il merito della convinzione è vero o è falso, il corpo agisce in relazione al suo contenuto. 

Se tentassimo di mentire sul giudizio della nostra convinzione, daremmo segnali contrastanti al corpo che, per nostra fortuna, insistendo con questa incongruenza, lo faremmo propendere a favore dei segnali mentitori provenienti dal secondo livello. 

In questo senso, essere tristi per abitudine è una maledizione, poiché oltre a far danni a noi stessi, si epande per imitazione su chi ci sta vicino, esattamente come una malattia contagiosa.

giovedì 19 luglio 2012

AFFONDA NEL TUO CUORE


 
Prova ad affondare nell’angolo più profondo del cuore,
a scavare i segreti dell’anima.

Polvere d’orata di emozioni solleverai.

Il respiro potrà farsi pesante,
perché non è aria che ti giunge.

Gli occhi tenderanno a chiudersi per non dar motivo alla ragione.

Le orecchie si predisporranno a nuovi suoni.

Ogni altro senso ti abbandonerà.

Si rivelerà il processo inverso a quello che ti ha portato a nascere.

Non si manifesta con il pianto dell’abbandono,
ma con la gioia del rientro.

Sì! 
Perché tu sei parte dell’universo
e l’amore è la colla di ogni sua parte,
che tutto tinge di dolcezza, 
che cavalca la consapevolezza dell’esistere.

In omaggio a Colui che è il più grande di tutti.

martedì 17 luglio 2012

La falsa libertà


Esiste una corrente di pensiero per la quale le disgrazie che ci capitano, sembrano attirate dal modo con cui ci raffiguriamo la realtà. 

In altre parole, se ci fossilizzassimo nella tristezza, nel prevedere l’arrivo di brutte notizie o nell'acquisire il convincimento che non sia possibile mutare una situazione che ci rende infelice, allora sistematicamente tutto si predisporrebbe nel confermare le attese negative del nostro animo. 

A lungo andare, si crea una spirale infelice che ci raggomitola nella disperazione, troncando così, il rapporto con l’esterno e rendendo impossibile qualsiasi possibilità di ripresa. 

La depressione momentanea tende ad assumere il carattere di una malattia mentale come atto iniziale verso la completa indifferenza.

Il pensare negativo produrrebbe una tristezza stazionaria, immobilizzante che, in accordo con una legge della natura non scritta e non motivata, tenderebbe ad estinguere quella specie vivente che non fa nulla in prospettiva di un universo in espansione. 

Questa espansione non è da intendere nel senso di occupazione di spazi, ma di una crescita ottimistica, vista alla luce dei valori riferibili all’uomo, come consapevolezza dell’esistere e, sconfinando oltre il razionale, come legge massima nell’Amore.

L’infanzia infelice ci abitua alla tristezza, lavora per un convincimento inconsapevole per il quale si è perdenti, rinunciatari, sconfitti senza aver battagliato. 

Frasi “tranciatrici” molto comuni ci ricordano questa tristezza che si calcifica nelle ossa fino a rallentarne i movimenti: 

“La vita è difficile; è un continuo combattimento”, 
“le persone sono cattive ed egoiste”, 
“fidarsi e bene, non fidarsi è meglio”, 
”umiltà è sinonimo di stupidità”, eccetera.

L’infanzia infelice e menomata, sposta l’attenzione dell’individuo sulla necessità di colmare lo svantaggio psicologico o fisico, costringendolo a consumare attenzione ed energia viva che andrebbero diversamente destinate. 

Il conseguente ritardo causato dallo sviluppo non armonioso dell’anima, trasforma lo sfortunato in una semplice apparenza di esistenza, elemosinando, ove è possibile, comprensione dal prossimo. 

Nei casi fortunati in cui la cultura ha fornito difese più sofisticate, ritroviamo persone introverse, molto sensibili, in eterna allerta contro tutti pericoli che minaccino la sua delicata sensibilità interiore.  

In questo senso non si è più liberi, si è condizionati dal vestire una corazza tanto spessa da rallentare idee e movimenti, fino ad apparire distaccati, asociali e a volte anche stupidi. 

Lo stile di vita che si conduce, in questi casi, è corrispondente al castello interiore costruito negli anni. 

Gli atti, le decisioni, le implicazioni, sono tutte condizionate dal modo di essere in conflitto con il desiderio di apparire.

Solo utilizzando molta concentrazione si riesce a confezionare un'immagine dotata di qualità estranee alla propria natura, puramente convenzionali, necessarie in determinati ambiti.

In ultima analisi, un’infanzia infelice ci procura una falsa libertà che condiziona il resto della vita in un progressivo decadimento.

Il miracolo che alcuni assicurano, consiste nel pensare forzatamente in positivo e abituare il nostro animo a "vedere" la luce e la gioia anche dove tutti vedono buio e tristezza.

La magia del vivere sta proprio in questo piccolo segreto!

Mi capita di incontrare persone che "chiedono" al mondo e mi rendo conto che lo fanno con tristezza, denunciando ingiustizie, abusi, prevaricazioni.

I miei sentimenti sono di solidarietà ma contemporaneamente si rabbuia il mio animo, le forze sembrano abbandonarmi rivelando tutta la mia impotenza.

Il processo di annichilimento interiore prende corso e i pochi individui presenti tra i sette miliardi di brave persone, sembrano assumere il ruolo dominante, rallentando così, quel famoso processo di espansione della consapevolezza di esistere nell'universo.

Invece, non avremmo tempo per parlare di tutte le realtà belle, simpatiche e divertenti che silenziosamente la maggioranza assoluta degli abitanti della terra mette in atto e che rappresentano il motore positivo del vivere insieme.

Se ci concentrassimo su questo aspetto, cadrebbero tutti gli egoistici individualismi, poichè non ci sarebbe più spazio per loro.

Aimè, mi rendo conto che sto idealizzando in po' troppo!

Sì, è vero! 

Mi piacerebbe remare in questo mare ... fino a spezzare i remi.

  
   

lunedì 16 luglio 2012

Esame di stato 2012 (racconto completo)



La grande nuvola che ha oscurato il cielo dei maturandi 2012 si è dissolta! Essa ha lasciato un vuoto nel cielo, subito occupato dal caldo di Minosse.

Le preoccupazioni che hanno dominato la scena prima e durante l’esame sono state le stesse di ogni anno, mascherate alla vista dei protagonisti soltanto dal birbante del tempo.

Solitamente, al termine di ogni evento straordinario, il mio ETT (extraterrestre) mi onora della sua visita in accordo con la sua missione di studiare gli umani e in particolare il nostro sistema educativo. Mi trovavo sdraiato su una traballante sedia da spiaggia e semiaddormentato dal torpore del sole quando ETT, con suo speciale modo di presentarsi, mi dice:

ETT: Luigi, Non oziare più di quanto non serva! Sono tornato per essere aggiornato sulle vicende di quest’anno scolastico. Come è andato l’esame di Stato?

LUIGI: Bentornato ETT, torni nel momento meno opportuno! Le mie idee, ballerine per questo sole di luglio, potrebbero essere corrotte dall’inerzia di un corpo ben disposto alla stasi completa.

ETT: Non nasconderti Luigi! Ti conosco troppo bene. Quando sei invitato in una discussione dove si parla di anima e filosofia, i quaranta gradi sulla spiaggia diventano venticinque nella tua mente.

LUIGI: Non voglio contrariarti ETT, anche perché i miei ragazzi vogliono conoscere le mie impressioni e parlando con te, non avrei nessuna remora né di farmi bello ai loro occhi, né di vendicarmi, parlandone male, del sistema scolastico.  
ETT: Avanti, sono tutto orecchie (senza nessuna metafora!).

LUIGI: Quest’anno avevo diciassette angeli, qualcuno con ali di cartone, ma sempre angeli. Tutti figli di una società che cambia e, volendo essere ottimisti a tutti i costi, che si trascina problemi collaterali da sopportare a compensazione di un’evoluzione positiva nella speranza.

Mi riferisco al fatto che i ragazzi appaiano un po’ più superficiali, allentati dalla morsa della responsabilità e, infine, un po’ meno lungimiranti sui loro destini.

D’altro canto, I miei ometti appaiono più teneri e meglio predisposti per segnare la loro vita su valori più umani.

E’ vero che con i telefonini, computer, internet sembrano distrarli ma, osservandoli bene, utilizzano i mezzi a loro disposizione per sentirsi più originali, direi che utilizzano la tecnologia per esaltare il loro DNA.

ETT: Non stai cercando di glorificarli troppo?  

LUIGI: Anche se lo facessi, spezzerei una lancia a loro favore, dopo averli bastonati con le continue esortazioni a studiare e minacce a interrogarli.

Ritornando a parlare degli esami di Stato, devo ammettere che erano molto preoccupati. I nomi dei commissari esterni evocavano paure per i possibili cattivi risultati preventivabili.

Terrorizzava il nome del presidente, commissario di ELETTRONICA e TELECOMUNICAZIONI: un mostro del sapere!
La lista dei commissari esterni includeva:

CAMPANIELLO ERMINA: richiamava vecchie paure della mitologia greca, dove gli Dei del sapere scaricavano saette verso i fedeli inadempienti.

LEOCE VITO PAOLO: la fossa del leone pronta a intrappolare le vittime scampate dalla morsa del presidente.

DI SCHIENA MARIA ANTONIA: la paura atavica della matematica si combinava mortalmente con le sirene dell’informatica.
Uno scenario di questo tipo non può non trasformare ex-arroganti, ex-disinteressati, ex-spavaldi, in devoti, responsabili e timidi studenti.

Come succede in natura che le prede osservano i predatori per capire l’entità della fame e valutare il grado del rischio, così gli esaminandi con sguardi occasionali miravano sui componenti cattivi della commissione, pronti a rilevare il più piccolo segnale di pericolo e allertare i compagni.

Le prime impressioni ricavate durante le prove scritte, invece, furono tranquillizzanti; i predatori non avevano fame. 

Le prede saltellavano davanti ai predatori; mini fotocopie salvagente si diffondevano, colloqui a testa rigida direzionata in senso opposto alla provenienza dell’aiuto verbale si instauravano.

I commissari interni mostravano in pieno i loro problemi di vista: le diottrie non si contavano più!  

Qualche commissario, persino interno, richiamato dall’istinto non gli riusciva di non vedere.

Ragazzi, provate a immaginare che cosa frulla nella mente di un leone quando si vede saltellare provocatoriamente una tenera gazzella davanti ai suoi occhi!

Il leone, pur se non ha fame, è sempre un leone e i suoi cromosomi gli dicono: “Dai! Fatti un boccone!”. 

Quindi, sappiate che il rischio di sentire l’alito del leone vicino è sempre stato altissimo.

ETT: Luigi, non divagare! Ti ricordo che stai parlando con me. I tuoi ragazzi ormai sono diplomati e ciò di cui parli ora è nel loro passato.

LUIGI: Scusami ETT, parlando con te, sento intorno a me i diciassette angioletti e permettimi un minimo di megalomania per la quale penso di aver lasciato qualche segno in loro.

Qualcuno mi ha fatto penare ma, a posteriori, posso dire che non è stato doloroso. Mi spiego con una metafora.

Mi sento come colui che ha faticato tanto a spingere una barca arenata sulla spiaggia e appena la vede libera di galleggiare sull’acqua, assapora il senso di potenza e il piacere di aver contribuito che la barchetta possa esplorare la sconfinata bellezza del mare. 

Nell’attimo di incantata ammirazione, si dimentica la fatica patita e ci si carica di un nuovo spirito pronto a ripetere l’esperienza.

ETT: Ok Luigi, sei perdonato. Raccontami dei commissari, sei rimasto contento di loro?

LUIGI: ETT, come potrei parlar male di loro! Quest’anno mi è difficile stabilire a chi dare il primato di bontà. Prima di tutto perché sei su otto sono donne e tu sai che ho una grande debolezza per le donne! Aggiungi il fatto che con qualcuna lavoro gomito a gomito, per cui non sarei nemmeno obiettivo.

Comunque, non mi sottraggo nel commentare eventi in cui particolari tratti caratteristici si sono evidenziati.

Anche i ragazzi, con le loro inventive, hanno contribuito a rendere simpatico il periodo solenne dell’esame.

Le qualità caratteriali dei commissari, interagendo con le tipicità degli studenti, miscelano uno spirito sociale che spesso abbandona il carattere formativo per trasformarsi in manifestazioni comiche.

ETT: Ecco, vorrei che mi descrivessi questi avvenimenti.

LUIGI: I protagonisti di questi eventi mi perdoneranno il tono ironico del racconto. Il mio piacere consiste proprio nell’apprezzare in pieno l’ingenuità che emerge nella psicologia dei giovani e ciò, a dimostrazione delle qualità fondamentalmente buone dei giovani.

Inizio a parlarti delle incertezze culturali evidenziate in italiano e storia. Il commissario di Italiano era solito assumere posture corporali e in particolare facciali, consone per l’aspetto umanistico della disciplina. Non si riusciva a capire chiaramente se sorridesse o se, invece, solfeggiasse una corrente letteraria o una motivazione storica.  Per questo motivo, il mal capitato incerto studente era costretto a proferire in modo esitante e ad ammettere che Wilson fosse stato presidente dell’Inghilterra. 

In questi casi, poco sono serviti i monosillabi trattenuti in gola dal docente, vertenti a suggerire una risposta che allo studente appariva impossibile da confezionare. Devo confessare che anch’io mi sono sorpreso in questo generoso tentativo di suggerire e invece, mi sono ritrovato con parole tra i denti emesse senza suoni. Ricordate Ulisse con le sirene?

Tutta la costa biancheggiava d'ossa portate dal mare. Era il canto delle sirene! Ulisse l’udì e, per non morire, si fece legare all'albero maestro della nave e turò le orecchie dei suoi compagni con la cera. Solo lui le sentì e avrebbe dato la vita per seguirle, supplicò, si divincolò ma nessuno gli diede ascolto: così si salvò”.

 Bene! Ulisse legato all’albero maestro della nave, ero io!

ETT: Noto con piacere come la tua autostima sia migliorata!

LUIGI: Con te, che sei un extraterrestre, certamente posso sfoggiare tutta la mia vanità con estrema nonchalance.

ETT: Continua il tuo racconto, ti prego.

LUIGI: La cultura per definizione è gentile, discreta e rispettosa dell’animo umano. Questa caratterista indossata dal commissario di italiano e storia, irradia rispetto, timore e questo è anche uno dei motivi per cui gli sgraziati studenti dell’industriale non sono scrittori o poeti. 

Purtroppo anche le genialità nell’ambito tecnico devono ridimensionarsi e ubbidire alle regole della grammatica italiana se voglio ingigantire l’alone di grandezza avvolgente la loro figura.

Il commissario di matematica, quest’anno, ha assunto un volto anomalo, si pensava all’arcigno, austero, lento e rigoroso esponente della scienza esatta e invece, ci si trova di fronte un’amabile, premurosa mamma che discute qualche formula del percorso d’esame e scambia vedute ideologiche su aleatori teoremi sparsi sui lugubri programmi svolti. 

Lo shock per tanta grazia ricevuta, gli studenti interrogati lo rivelano zittendo religiosamente alle esortanti domande. Può succedere quindi che si dimentichino certe figure geometriche, si confondano i trapezi con i rettangoli. Per fortuna che la durata delle interrogazioni era comparabile al tempo di una puntura indolore.

ETT: Luigi, ricordati che sono extraterrestre! Che cosa è una puntura indolore?

LUIGI: Si tratta di una tecnica usata dagli umani per perforare la pelle e inoculare del liquido tra i muscoli. Solitamente si fa per fornire della medicina al corpo, utilizzando un ago con un serbatoio annesso. La piccola arma di medicina prende il nome di siringa. I bambini sono terrorizzati da questa pratica.

Come al solito, noi umani inventiamo dei modi per nascondere la paura e il dolore e, se ci va bene, tentiamo di ricavarci anche denaro. Questo è il caso di “PIC indolor”, la siringa pubblicizzata in tv con la presunta gioia dei bambini a sottoporsi volentieri all’iniezione.

Il supplizio aggiuntivo o l’ultimo fio da pagare alla propria esistenza per abbandonare l’interrogazione di matematica, costituisce la disciplina “Calcolo”. Questa materia, giudicata atipica dallo stato italiano, per fortuna dei futuri periti informatici, sarà fagocitata dalla matematica e si spera che in un prossimo futuro scompaia dal menù delle interrogazioni.

Il commissario di calcolo è interno, anche se è difficile capirlo subito!  Il docente è una donna che si conosce dal primo anno delle superiori e molti hanno ancora nelle orecchie l’eco dei suoi richiami. Si potrebbe definire una seconda mamma, cioè “rompi<<.......>>”. 

In seduta d’esame non si smentisce e cede spesso alla sua bontà quando, notando la lentezza delle probabili risposte esatte, solleva l’anima dell’interrogato con la famosa frase “lascia perdere, vai avanti!”.

Quando si giunge all’interrogazione di elettronica, se non è già tutto compromesso, si è comunque sull’orlo del baratro.

Il terrore si fa doppio perché alle minacce del commissario di elettronica bisogna aggiungere il pericolo concreto dell’intervento del presidente.

Immagina una leonessa sonnecchiare e che improvvisamente scopre di poter disporre di una preda alla distanza di una zampata, sicuramente capirai la posizione scomoda della preda.

La leonessa non ha fame ma non può ignorare il suo istinto nei confronti della preda. Con questa metafora vorrei darti il quadro psicologico dello studente che si approccia a iniziare l’interrogazione di elettronica con la consapevolezza che in ogni momento potrebbe intervenire il presidente e metterlo in difficoltà. 

La disciplina elettronica è complessa per la sua strutturazione e per la vastità del programma ministeriale, quindi, come succede anche per le altre discipline, il professore interno è costretto a ritagliare e selezionare parti del programma nella misura del tempo a disposizione e delle propensioni della classe. 

Succede, statisticamente provato, che il commissario esterno interroghi sempre sulle parti ritagliate escluse, le quali, non so per quale scherzo del destino, finiscono tra le righe del programma svolto.

Nonostante la sinteticità del percorso d'esame e le chiare linee guida del percorso d'esame, il presidente, ahimè, è stato sempre sfortunato poiché ha sempre pescato tra le parti assenti nel programma.

Tutto questo patema giustifica il timido, frastornato candidato che confonde Volt con Ampere. 

ETT: Devo ammettere che questo “esame di stato” è abbastanza curioso. Non penso che mi crederanno quando riferirò tutto alla mia gente. Prima di confidarti le bizzarrie che mi sembrano evidenti, attendo che tu esaurisca l’argomento.

LUIGI: In questo caso, devo continuare riferendo sulla parte finale dell’esame. Solitamente, nell’ordine di conferimento, la mia disciplina e la lingua inglese, vengono rilegate alla coda del colloquio.

Il mio dialogo con il candidato, oltre a formali domande, comprende sguardi ed induzioni che richiamano contenuti di un triennio trascorso insieme. 

Nei pochi minuti del colloquio si ripassano velocemente tutti momenti importanti del percorso scolastico. 

Conosco in anticipo le loro risposte e sono in grado di leggere nei loro occhi quanto si sono prodigati. 

Il piacere per lo studio e ritrovarsi appassionati nel condurlo, sono eventi straordinari, anzi, miracolosi se riferiti alla frenesia di quell’età e alle leggere distrazioni sociali dei nostri tempi. 

Per dirla con una metafora. 

Gli insegnanti portano acqua nel deserto e aiutano a non far morire di sete coloro che per sfortuna non vivono in un’oasi.  

L’esame di stato rimane una frontiera che separa due intervalli di vita separati dalla consapevolezza legata alla responsabilità individuale.

La seduta d’esame si conclude con la consueta domanda: “Che farai dopo? Continui a studiare o intendi proseguire gli studi?”.

Per molti, questi interrogativi suonano come beffa.

Non è necessario tanto acume per attendersi una risposta che per educazione non arriva mai:

”Professore, mi volete prendere in giro?"

"Sapete che risultato ho conseguito nello studio, sapete pure come sia maledettamente difficile trovar lavoro, che potrei fare?"

"Rigiro la domanda a voi!”.

Gli insegnanti non hanno la bacchetta magica. Occupano un ruolo nell’istituzione che persegue il fine di concretizzare il piano didattico stabilito dal legislatore. 

Gli insegnanti non potendo essere solo semplici esecutori, mostrano la loro immagine umana fatta di comprensione, stimolo e dedizione. Quest’ultime qualità, essi inconsapevolmente donano come strumenti aggiuntivi di vita, utili per superare difficoltà non presenti sui libri. 

ETT: Le bizzarrie a cui prima accennavo, sono proprio queste. 

Da ospite sulla vostra terra, trovo divertente vedere otto persone, “commissari”, che stanno per pochi giorni insieme con lo scopo di attribuire un numero ad ogni candidato. 

Questo numero che ricorda la discriminazione, l’etichettatura del “buono” e “cattivo” e che in ultimo, non serve alla causa.

LUIGI: ETT, non sei riuscito ancora ad omologarti alle nostre stranezze!

ETT: E’ vero! Ti confesso che mi ha fatto molto piacere assistere a questo tuo ennesimo esame. I tuoi amici non mi vedevano, ma io aleggiavo e chiacchieravo con te anche durante i colloqui.

Nella galassia, dove tornerò, porterò la foto dell’intera commissione! 

domenica 15 luglio 2012

Esame di stato 2012 (ultima parte)

 (continuazione dell'articolo precedente)

ETT: Devo ammettere che questo “esame di stato” è abbastanza curioso.

Non penso che mi crederanno quando riferirò tutto alla mia gente.

Prima di confidarti le bizzarrie che mi sembrano evidenti, attendo che tu esaurisca l’argomento.

LUIGI: In questo caso, devo continuare riferendo sulla parte finale dell’esame. Solitamente, nell’ordine di conferimento, la mia disciplina e la lingua inglese, vengono rilegate alla coda del colloquio.

Il mio dialogo con il candidato, oltre a formali domande, comprende sguardi ed induzioni che richiamano contenuti di un triennio trascorso insieme.

Nei pochi minuti del colloquio si ripassano velocemente tutti momenti importanti del percorso scolastico.

Conosco in anticipo le loro risposte e sono in grado di leggere nei loro occhi quanto si sono prodigati.

Il piacere per lo studio e ritrovarsi appassionati nel condurlo, sono eventi straordinari, anzi, miracolosi se riferiti alla frenesia di quell’età e alle leggere distrazioni sociali dei nostri tempi.

Per dirla con una metafora:

"Gli insegnanti portano acqua nel deserto e aiutano a non far morire di sete coloro che per sfortuna non vivono in un’oasi". 

L’esame di stato rimane una frontiera che separa due intervalli di vita separati dalla consapevolezza legata alla responsabilità individuale.

La seduta d’esame si conclude con la consueta domanda:

“Che farai dopo?"
"Continui a studiare o intendi proseguire gli studi?”.

Per molti, questi interrogativi suonano come beffa.

Non è necessario tanto acume per attendersi una risposta che per educazione non arriva mai:

”Professore, mi volete prendere in giro?"

"Sapete che risultato ho conseguito nello studio, sapete pure come sia maledettamente difficile trovar lavoro, che potrei fare?"

"Rigiro la domanda a voi!”.

Gli insegnanti non hanno la bacchetta magica. 

Occupano un ruolo nell’istituzione che persegue il fine di concretizzare il piano didattico stabilito dal legislatore. 

Gli insegnanti non potendo essere solo semplici esecutori, mostrano la loro immagine umana fatta di comprensione, stimolo e dedizione. 

Quest'ultime qualità, egli inconsapevolmente dona come strumenti aggiuntivi di vita, che possano essere utili per superare difficoltà non presenti sui libri.
 
ETT: Le bizzarrie a cui prima accennavo, sono proprio queste.

Da ospite sulla vostra terra, trovo divertente vedere otto persone, “commissari”, che stanno per pochi giorni insieme con lo scopo di attribuire un numero ad ogni candidato.

Questo numero che ricorda la discriminazione, l’etichettatura del “buono” e “cattivo” e che in ultimo, non serve alla causa.

LUIGI: ETT, non sei riuscito ancora ad omologarti alle nostre stranezze!

ETT: E’ vero! Ti confesso che mi ha fatto molto piacere assistere a questo tuo ennesimo esame di stato.

I tuoi amici non mi vedevano, ma io aleggiavo e chiacchieravo con te anche durante i colloqui.

Nella galassia, dove tornerò, porterò la foto dell’intera commissione!

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