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Simone Weil (1909-1943) |
“Questa società è
diventata una macchina per comprimere il cuore e fabbricare l’incoscienza”.
È una grande donna che scrive; una pensatrice originale profondamente interessata al concetto di giustizia sociale: Il suo nome è Simone Weil. Questa filosofa è poco trattata nei libri di Storia della filosofia, nonostante la sua evidente profondità di pensiero. Tutto ciò si spiega a partire dalla sua ricerca filosofica “multi-disciplinare”. Il suo concetto si costituisce come una mescolanza di argomentazioni difficilmente richiudibili all’interno di una corrente di pensiero ben precisa.
Il suo pensiero si lega molto bene alla teoretica, alla storia, alla politica, alla religione, all’etica, al misticismo, allo spiritualismo, pur non avendo quel rigore accademico formalizzato. Al primo approccio di studio, potrebbe sembrare di avere a che fare con una tuttologa del pensiero: in realtà le cose vanno diversamente. È chiaro che stiamo avendo a che fare con una vita straordinaria.
Dunque, partiamo dall’origine: Simone Weil nasce a Parigi il 3 febbraio del 1909 in una famiglia ebrea e muore nel 1943 alla giovane età di 34 anni di tubercolosi. Sin da ragazzina mostra una intelligenza viva e pungente. Dopo la laurea in filosofia, inizia a insegnare filosofia nelle scuole superiori. Nel 1934 sospende momentaneamente l’insegnamento per dedicarsi al lavoro nella fabbrica Renault per constatare le forme di alienazione e le condizioni di lavoro degli operai. Una esperienza durata poco in confronto a una vita intera di continuo esilio. Fu costretta, infatti, ad abbandonare le sue ricerche, i suoi lavori per le discriminazioni razziali.
Nel 1940 vi è l’epilogo: con l’occupazione nazista e l’emanazione delle leggi antisemite, le fu proibito categoricamente di insegnare. Questo evento si presentò come un episodio tanto drammatico quanto rivoluzionario: Simone Weil entrò in contatto con la resistenza e con gli ambienti cristiani.
Analizzando il pensiero di Weil, pare che ella prenda le distanze dalla Volontà di Potenza di Nietzsche. Ella è contraria a tutte quelle ideologie che esaltano la forza, la potenza. Crede piuttosto che la vera forza risieda non tanto nel dionisiaco, quanto nell’umiltà, nella compassione, nella debolezza accettata. Possiamo sintetizzare il tutto nella pratica dell’attenzione.
Essere attenti o attenzionare qualcosa significa essere rivolti a, concentrati su qualcosa o qualcuno. Provando ad etichettare Simone Weil, potremmo dire, nella sostanza, che ella è “la filosofa dell’attenzione”. Infatti per Simone Weil, l’attenzione è una categoria essenziale, un concetto centrale, che va oltre il semplice atto di concentrarci su qualcosa.
Cosa intende esattamente Simon Weil?
L’attenzione è una disposizione dell’animo di apertura totale alla realtà dell’altro, senza pregiudizi e senza forzature.
L’attenzione è un atto di amore totale in grado di accogliere l’altro nella sua totalità. Non si tratta di un atto poderoso di volontà, ma di sola acquisizione: “io ricevo l’altro così com’è” come massima disponibilità.
Portiamo un esempio: Sento bussare alla porta; è piena notte. Siamo nel 1941, tra persecuzioni e proibizioni a causa del nazismo. Apro: mi si presenta davanti una bambina ebrea che piange: ha bisogno di cibo, acqua e di protezione. Come agiresti? Accetteresti di proteggerla col rischio di essere ucciso?
Oppure venderesti la bambina all’aguzzino in cambio di un beneficio?
L’attenzione è un atto decisivo di accoglienza, di giustizia, di coraggio, di pazienza, di attesa.
Simone Weil paragona l’attenzione alla preghiera. Chi è veramente attento si svuota del proprio ego per entrare in contatto con la verità più profonda dell’esistenza.
Attendere e attenzionare hanno lo stesso significato in Weil. La sua opera intitolata “L’attesa di Dio”, (pubblicata postuma nel 1950) indica proprio questo passaggio obbligato: Per arrivare alla verità (a Dio), occorre attendere. Non si tratta di attendere il treno alla stazione, o un amore non corrisposto. Stiamo parlando di una attesa attiva e non passiva. Alla fermata dell’autobus io attendo passivamente. Essere davanti a Dio o alla stazione non è proprio la stessa cosa. Weil elabora col suo libro una vera meditazione: L’attesa è sempre attenzionata, attiva, una maniera per avvicinarsi a Dio e al significato dell’altro. L’attesa non è un fatto temporaneo, ma è una condizione esistenziale che muove ogni attimo della nostra vita.
di Fabio Squeo