mercoledì 2 aprile 2025

I benefici della pazienza

Jalal al-Din Rumi (1207-1273)

 

In un piccolo paese, viveva un vecchio saggio di nome Pietro. La gente cercava i suoi consigli per ogni questione: dai conflitti personali alle dispute della comunità. Un giorno, un giovane, furioso per un tradimento, irruppe nella casa di Pietro.

"Sono stato offeso! Come posso restare calmo quando l'ingiustizia brucia dentro di me?" Urlò.

Pietro sorrise, versò del tè caldo in una tazza, la riempì fino all'orlo e gli ordinò: "Attraversa la stanza senza versare una goccia".

Il giovane si concentrò intensamente sulla tazza e camminò con passi lenti e decisi. Quando arrivò dall'altra parte, sospirò di sollievo per non aver versato una sola goccia.

Pietro chiese quindi: "A cosa stavi pensando mentre camminavi?"

"Al tè, ovviamente! Non volevo versarlo!", rispose il giovane.

Pietro annuì. "Rifletti, caro amico, la vita è come quella tazza di tè. Se ti concentri sulle distrazioni, sul rumore, sulla rabbia, sull'ingiustizia, inciamperai. Ma se rimani concentrato su ciò che conta davvero, niente ti scuoterà".

Il giovane se ne andò con una nuova prospettiva. Anni dopo, divenne un grande leader, noto per la sua saggezza e la sua incrollabile pazienza. Nessuno seppe mai se avesse mai più rovesciato il tè.

La pazienza è la chiave sempre utile per risolvere molte situazioni apparentemente difficili da sbrogliare.

Ci sono luminosi esempi di personalità che hanno costruito la loro grandezza con la pazienza.

Mahatma Gandhi, il leader del movimento per l'indipendenza dell'India, affrontò difficoltà inimmaginabili: percosse, prigionia, persino tentativi di assassinio. Ma non lasciò mai che la rabbia dettasse le sue azioni. Invece, abbracciò la pazienza come strategia.

Uno degli esempi più famosi fu la Marcia del sale del 1930. Invece di reagire violentemente all'oppressione britannica, Gandhi camminò per 240 miglia fino al Mar Arabico per produrre sale, sfidando le leggi britanniche. La sua pazienza e resilienza hanno ispirato milioni di persone, dimostrando che la resistenza e l'autocontrollo possono smantellare un impero.

Ben Franklin non è nato genio o statista, ma si è costruito da solo. Ha praticato la pazienza non solo nei rapporti con le persone, ma anche nella crescita personale. Franklin ha creato un elenco di 13 virtù che desiderava padroneggiare, una delle quali era la tranquillità: "Non essere turbato dalle sciocchezze o dagli incidenti comuni o inevitabili".

Ha capito che l'impazienza e l'imprudenza portano a decisioni sbagliate. Raffinandosi costantemente nel tempo, è diventato una delle figure più influenti della storia.

Lincoln ha affrontato tragedie personali, tradimenti politici e la devastazione della guerra civile, eppure è rimasto straordinariamente paziente. Un esempio famoso è il suo approccio nel trattare con il suo gabinetto, molti dei quali dubitavano apertamente di lui. Invece di reagire con frustrazione, Lincoln scrisse lettere in cui esprimeva la sua rabbia, ma non le inviò mai. Ciò gli consentì di elaborare le sue emozioni senza agire in modo avventato.

La sua pazienza si estese anche alla leadership. Capì che un cambiamento affrettato avrebbe potuto ritorcersi contro, quindi affrontò con attenzione la delicata questione della schiavitù, aspettando il momento giusto per emanare la Proclamazione di emancipazione. La sua pazienza non era passività, era moderazione strategica.

Rumi, poeta e filosofo persiano del XIII secolo, aveva una profonda comprensione della pazienza.

Scrisse: "Cerca di non resistere ai cambiamenti che ti capitano. Invece, lascia che la vita viva attraverso di te. E non preoccuparti che la tua vita si capovolga. Come fai a sapere che il lato a cui sei abituato è migliore di quello che verrà?"

La pazienza, secondo Rumi, non riguarda solo l'attesa, ma la fiducia. Quando le cose vanno in pezzi, potrebbe non essere distruzione ma trasformazione. I momenti più difficili spesso portano alla crescita più profonda.

Concludendo, la pazienza è una forza silenziosa, spesso sottovalutata ma immensamente potente. È la differenza tra reagire e rispondere, tra fallimento e successo, tra caos e pace.

martedì 1 aprile 2025

Il “Bello” come forma di buon auspicio (Sartre)

Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoire

 

Jean-Paul Sartre è stato uno dei filosofi francesi più influenti di tutti i tempi. Figura di spicco della filosofia esistenzialista a cui si riferiscono molti episodi singolari della sua vita.

Si racconta che pur avendo vinto il premio Nobel 1964 in letteratura, si rifiutò di ritirarlo, giustificandosi così: “Nessun uomo merita di essere consacrato da vivo”.

Ma non fu l’unico premio a rifiutare, tra altri riconoscimenti, non accettò la “Legion d’onore”, la più alta onorificenza dello Stato Francese, e perfino di entrare a far parte del prestigiosissimo Collège de France.

Il pensiero di Sartre abbraccia un ampio campo di indagine, difficile da ricondurre ad un’unica corrente filosofica. Sebbene la sua vita si sia svolta in un preciso periodo storico, egli si impone come pensatore sempre attuale.
Nella sua vita frequentò anche gli ambienti psicoanalitici, entrando in contatto, tra gli altri, con Jacques Lacan. 

Si riporta perfino di una sua “singolare” conversazione con Lacan, nella quale Sartre raccontò della propria angoscia (grande tema della sua ricerca letteraria e filosofica) e di un sogno. Lacan rimase molto “perplesso” davanti a Sartre e lo invitò ad intraprendere un’analisi psicoanalitica.

Data la sua grande attività intellettuale e politica, Sartre viaggiò in lungo e in largo. Tuttavia, il filosofo non riusa mai a superare la paura di viaggiare in aereo.

Sartre racconta: “Ho preso l’aereo cento volte senza abituarmici. Di tanto in tanto la paura si risveglia – soprattutto quando i miei compagni di viaggio sono brutti quanto me; ma basta che ne facciano parte una bella ragazza o un bel ragazzo o una deliziosa coppia di innamorati e la paura svanisce; la bruttezza è una profezia; c’è in essa un certo estremismo che vuole portare la negazione sino all’orrore. Il Bello appare indistruttibile; la sua immagine sacra ci protegge; finché resterà tra noi la catastrofe non accadrà.”
La fobia di Sartre trova nel “Bello” un limite, un elemento capace di neutralizzare l’angoscia dovuta all’emergere dell’assenza di controllo davanti al rischio catastrofico, senza soluzione, dell’incidente aereo.
In questo passaggio autobiografico Sartre evoca uno degli scopi fondamentali che il “Bello2 permette di ottenere nel suo rapporto con il Reale della vita: disinnescare la sua emersione traumatica, evitare il suo imporsi distruttivo.

Per questo, Sartre aveva inventato una sorta di rituale, cercando, nella fila dei passeggeri, quel “Bello” che avrebbe potuto rispondere alla sua angoscia, agendo da buon auspicio per il volo.

Possiamo cogliere in questa dimensione del “Bello” una chiara marca difensiva, tale da ridurre l’esperienza estetica ad una sorta di funzione ordinatrice e riparatrice simbolica. Se c’è Bello, c’è protezione, c’è ordine e salvezza.

Lo stesso Freud aveva sottolineato come, ad un occhio maschile, la bellezza femminile potesse avere un valore fallico; nella bellezza delle donne, indica Freud, l’uomo troverebbe un velo capace di “annullare” l’angoscia di castrazione. Ecco ancora un certo uso della bellezza, come “velo”, limite che impedisce il contatto traumatico con la realtà.

In ogni forma idealizzata, spiritualizzata, disincarnata di bellezza possiamo vedere un processo simile: l’evitamento del dato corporeo come protezione dalla mortalità della carne.

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