Avevo giurato a me stesso di non accompagnare nessun’altra
classe a una gita d’istruzione.
Purtroppo, ci ricasco!
I miei giuramenti si trasformano in patetiche promesse, utili
soltanto per sfogare i postumi nevrotici di lunghe giornate trascorse con poco
riposo notturno.
Ovviamente, non tiro in ballo la questione della
responsabilità oggettiva che a cuor leggero si prende.
Probabilmente, se continuo ad andarci, deve esserci qualcosa
che bilancia moralmente ciò che razionalmente è fortemente controindicato.
Pensandoci bene, in realtà, è proprio così!
Quanto vale lo sguardo di una persona che fiduciosamente si
rivolge a te con la certezza di ottenere un supporto o un incoraggiamento?
Quanto vale un “grazie” ricolmo di sincero sentimento?
Quando vale la speranza che si possa influire positivamente
sulle gioie, sulle prospettive, sugli entusiasmi di giovani in crescita?
Credo che misurare l’impatto del proprio modo di esistere sui
giovani sia la gratificazione maggiore.
Un famoso psicoanalista affermava che aiutare un giovane a
formare un buon rapporto nel sociale, significa creargli le premesse per essere
in pace con se stesso e felice nella vita.
I docenti accompagnatori alle gite d’istruzione fanno anche
questo.
Non sono visti soltanto come “professori” con programmi da svolgere,
compiti da assegnare e interrogazioni da imporre.
In gita, strano a dirlo, gli alunni “vedono” i prof con una
lente diversa.
Mangiano, dormono, scherzano con loro.
Addirittura, provano fame
e si addormentano nel pullman come loro!
In gita, piccole deroghe al formalismo istituzionale fanno
intendere meglio perché in classe bisogna essere seri; perché bisogna studiare
con regolarità; perché è necessario attenersi alle regole della buona educazione.
Socrate ricordava che prendere consapevolezza sull’assenza del dolore, rende gioioso ciò
che solitamente si mostra come normalità.
Platone racconta di
Lui in una scena nel carcere, prima di essere giustiziato.
Il filosofo mentre veniva liberato dalle pesanti catene che
portava alle caviglie, strofinandosi piacevolmente la parte superiore del piede,
ringraziò il suo carceriere per l’inatteso benessere procuratogli.
Nonostante fosse
in procinto di morire, trovò motivo ed occasione per essere felice.
Ecco il senso ultimo del mio persistere nel partecipare a
queste gite d’istruzione.
Alzarsi alle tre del mattino per trascorrere interminabili
ore in un carrozzone che si sposta a 90/100 km/h, dimenticandosi di essere un
lavoratore, di lasciare a casa una famiglia nel sonno, di essere cosciente
delle responsabilità che gratuitamente si assumono e infine, di dover rendicontare
accadimenti fortuiti/sfortunati alla dirigenza e genitori, è difficilmente
comprensibile da chiunque applichi un minimo di razionalità nella cura dei propri
interessi.
In ogni caso, se tutta la vita fosse impostata su un bilancio
egoistico, non sarebbe proprio il caso di nascere.
Può succedere di sorprendere alunni minorenni nel prepararsi
a trascorrere una notte in compagnia della birra e sperimentare come il
rimprovero o la punizione conseguente possa prevenire guai ben più grandi nell’età
adulta.
Si può assistere all’assalto indisciplinato a un povero tavolo imbandito
con cibo per 46 persone, e cogliere l’occasione per indurre alla riflessione comportamentale
ragazzi coccolati e sempre sotto l’attenzione di genitori premurosi.
I ragazzi in gita si ritrovano in una dimensione inusuale.
Non sveliamo i segreti di una notte in albergo; come si dorme
con i compagni di classe; quale eccitazione si prova nel muoversi lungo corridoi
felpati ed entrare in stanze a soqquadro senza la preoccupazione che la mamma
stia lì a rimproverli per ogni cosa.
E’ chiaro che in gita molti giovanotti sanno di essere
studenti con la licenza breve, a decidere liberamente per se stessi.
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