venerdì 3 ottobre 2025

Chi sono io? Perchè sono qui?

 

Quando mi pongo domande come queste:

Che cosa è l’essere? Perché deve esistere qualcosa piuttosto che il niente?

Chi è sono io?  Perché proprio io qui e ora? Che cosa veramente desidero?

In questi casi mi penso come un raro e libero cominciamento. Pongo queste domande chiarendo da subito che io occupo un posto nel mondo, una situazione in cui mi rintraccio come proveniente da un passato.  Prendo coscienza di ciò che sono, di quel massifico inconosciuto che mi avvolge e scopro di essere banalmente in un mondo entro il quale mi oriento.

Proprio quando stavo per raggiungere delle cose, queste, le avevo perdute. Era tutto a portata di mano ed erano così evidenti. Ora, non mi resta che meravigliarmi. E chiedo piuttosto al mondo che cosa veramente sia tutto questo. Ogni cosa mi appare transitoria, passeggera, momentanea. E mi accorgo secondariamente che non ero alla sorgente, come non sono ora alla foce. Ero posizionato tra il principio e la fine come un quadrante senza lancette. E mi chiedo cosa siano l’uno e l’altro.  

 Muovendomi tra le cose cerco l’essere, e lo concepisco come l’insieme ordinato di esseri di cui io stesso faccio parte. Specifico che nel farne parte non vi è sempre una volontà del soggetto di farne parte. Facendone parte senza prenderne parte (mi) ritrovo un essere-cosa, un essere-oggetto, un essere-tra-esseri. 

Ecco che l’essere oggetto prende la forma di un determinato essere.  Fausto si girerà non perché è stato solo chiamato, perché primariamente ha udito il suo nome. Chiunque poteva possedere quel nome.   Vale a dire di ciò che è vivo e di ciò non lo è più, ciò che è reale e ciò che è illusorio: le persone e le cose. 

Ogni cosa è perché io ne faccio parte, e proprio perché io ne faccio parte ogni cosa è. Io invece, pur non essendo estraneo all’essere, sono diverso: diverso dagli esseri, diverso dalle cose, diverso in ciò che sono. Io non sono di fronte alle cose così come sono di fronte a me stesso, di fronte al mio essere. Io sono colui che chiede, interroga, vuole perché non sono mai abbastanza, mai totalizzante.   

Per quanto io possa tradurmi nella cosa davanti a me, resto sempre un essere per me stesso.   Sartre diceva che l’essere in-se non sa di sé dal momento che ne è completamente assorbito da sé. Solo il per-se è l’origine della negazione e sussiste per e attraverso la negazione. Io mi rendo conto di ciò che sono finché sono in grado di dire io non sono. Fausto non è una macchina perché è umano. 

Fausto, come fondamento di sé è coincidente nell’essere con il sorgere della negazione. Egli si fonda in quanto nega di sé un certo essere o una maniera di essere. Ma se costituisco me stesso a cosa sto dicendo di essere questo piuttosto quest’altro, cioè mi costituisco oggetto e proiezione di me stesso, allora io non sono più come tale ciò che l’io in sé stesso è.  In altre parole, io non mi rendo conto di ciò che sono fino a quanto non mi concepisco oggetto di negazione. 

L’essere come essere me stesso o l’essere come io non sono di essere, è vicino e lontano, certo quanto inaccessibile, e può essere (ri) conosciuto non appena diventa qualcosa stabilmente. Lo stabilirsi dell’essere presso me sé stesso, mi rende ancora una volta una cosa-di-essere presso me stesso e quindi non più io vero. Ma la prova di poter far diventare essere un io autentico che essere non è nel suo fondamento non può risolversi. 

Ognuno di noi è un non-essere nell’essere; e non tutti gli esseri sono il non-essere che sono.  L’essere si mostra cosi squarciato, con una falla nel suo stesso essere. Questo è il motivo per cui tendiamo quasi capricciosamente a concepire l’essere come il perfetto. 

L’essere non è perfetto perché è assoluto e non conoscibile. Solo il conoscere conferisce il primato alla cosa conosciuta, perché semplicemente solo le cose sono conoscibili; e nel conoscere la cosa conosciuta diventa essere, vita snaturata.

 di Fabio Squeo

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