mercoledì 18 ottobre 2023

Serena, la bambina che girava per il paradiso


 

Si racconta di una bambina che girava per il Paradiso, ansiosa di scoprire il modo per tornare sulla terra. Il suo comportamento era così straordinario in quel luogo celeste che suscitava dubbi perfino agli angeli circa il suo piacere stesso di essere in paradiso.

Serena era una bimba vivacissima e molto sensibile. Amava scherzare ed era facile che combinasse qualcosa di cui poi farsi perdonare. Soffiava sulle nuvole per spostarle su precise zone della terra. Giocava con gli uccelli invogliandoli a cinguettare continuamente. Agitava le chiome degli alberi per far cascar fiori sui chi voleva lei. Parlava ai pesci, disturbava animali pacifici e si divertiva a correre in modo forsennato intorno agli arcobaleni. 
La sua giornata la trascorreva nei modi più vivaci e imprevedibili.

Il fatto più curioso, che lasciava dubbiosi santi e angeli, consisteva nell’interrompere la sua frenesia per presentarsi puntualmente all’appuntamento di pubblicazione in bacheca dei nuovi arrivi in Paradiso.

In un primo momento, tutti pensavano che fosse l’ansia di leggere il nome della sua mamma tra i nuovi eletti in Paradiso a muovere il suo interesse verso quell’evento. 
Più tardi, si capì che non poteva essere questo il motivo perché accadeva che, dopo aver ripassato velocemente con lo sguardo la lista, correva felice verso la sua casa terrena. Forse non voleva la mamma in Paradiso?
Certamente, tornava a sedersi a quel seggiolino cha aveva tanto torturato durante la sua breve vita. Con le gambe intrecciate e le manine mai ferme, consolidava l’abitudine nel rimanere con lei in silenzio, mentre tutta seriosa si mostrava impegnata in attività che imitavano il mondo degli adulti. Quei suoi modi di fare erano molto comuni quando trascorreva molto tempo in compagnia della mamma.
Il tempo per gli angeli non esiste e per questo si ritrovava a rivivere quei momenti di intimità con la sua famiglia.

-“Mamma, sarò come te, da grande? - esordiva dopo lunghi silenzi –
-“Credo che diventerai una bella ed importante donna.” – rispondeva la mamma con tono serio.
-“Mamma, ma che significa essere importante?”- incalzava la bimba.
-“Essere importanti significa essere rispettati e amati” – precisava la mamma.
-“Devo imparare qualcosa per diventare importante?” – il colloquio si allungava.

-“Devi essere semplicemente te stessa e amare i tuoi cari, i tuoi amici, i tuoi vicini, i tuoi conoscenti.”

-“Non è poi così difficile farlo. Allora, sarò importante! Però, dimmi come mi potrò accorgere di essere diventata importante?” – continuava a domandare mentre era tutta intenta ad ascoltare la risposta della mamma.

-“Ogni volta che si compie una buona azione una stella nel cielo si accende e  il tuo buon umore ti spinge a sorridere e a gioire delle cose più semplici e belle della vita.” - rispose la mamma con un tono più caldo.
 
Al colloquio seguivano spesso lunghe pause che servivano alla piccola per riflettere e completare le sue faccende. Ora, il piccolo angelo vive nel cuore della sua mamma e vuole essere importante, in devozione alla promessa ricevuta. 
Sa che deve amare il mondo, sa anche quanto sia grande l’amore della sua mamma. 
Questo amore è così grande da rendere importanti tutti coloro che in dolcezza e serenità di cuore a lei si avvicinano.
La piccola anima, pazientemente, attende di scoprire il sorriso della sua mamma rivolto verso tutti i bambini del mondo, come se fossero i suoi fratelli, fiduciosa di vederla gioire per avere dato loro conforto. 
Anche gli umili, gli sfortunati, i poveri della terra parteciperanno alla sua gara d’amore. Un giorno tutte queste anime, ritrovandole in Paradiso, racconteranno della sua mamma e di come sia diventata importante.
Nel cielo le stelle, brillanti, si conteranno all’infinito e illumineranno la notte  a giorno.  Ci saranno baci, abbracci e scintille d'emozioni ovunque.

In attesa della grande festa del cuore, ogni abitante della terra che vuole essere importante sulla via dell'amore, illumini le sua casa con luci vivide e colorate, in segno di una speranza da mantenere sempre viva.
    

martedì 17 ottobre 2023

Il bacio di Giuda

 

 

Un uomo allevò un vitello, lo fece crescere e poi lo vendette all'arena per le corride.
Nel giorno i cui il suo toro doveva essere protagonista, partecipò come spettatore allo spettacolo, scegliendo un posto in prima fila.

Quando il toro fu nell'arena, ferito, sanguinante e non potendo più resistere, si accorse che il suo proprietario era lì e, disperato, corse da lui per chiedere aiuto. Lo fissò con lo sguardo e attese il suo intervento.

L'uomo scese nell'arena e baciò il toro prima che il toreador lo uccidesse senza pietà, al clamore del pubblico.

Vestendo i panni del toro, dovremmo ammettere che non esiste mostro più grande dell'uomo. 

Nessun animale è così corrotto, avido, freddo, spietato, come può essere l'evoluto umano.

Forse, il bacio di Giuda è stato meno crudele.

Quanto conosco?


 

A scuola abbiamo imparato tantissime nozioni; abbiamo appreso concetti, significati e valori che ci hanno strutturato il pensare; ci hanno permesso di organizzare il pensiero secondo una logica utile per comunicare. 

Spesso ci viene in mente una domanda. Se dovessi fornire una misura del mio sapere, come potrei conoscere la quantità del mio sapere?

La sensazione comune è quella che ciò che potremmo sapere, è molto maggiore di quello che sappiamo, ma poiché non ci appare chiaro quello che sappiamo, ci troviamo di fronte ad una percentuale ricavata dalla divisione di un numero piccolo con uno grandissimo. 

Ovviamente, il risultato ci fa sentire molto imbarazzati. 

Il numero insignificante che viene fuori dalla precedente divisione, diventa gigantesco se lo confrontiamo con quello ottenibile (in modo presunto) dall’elaborazione effettuata sul nostro vicino/amico/collega.

La differenza tra quantità piccolissime rende uno di noi sapiente rispetto all’altro. Se tale differenza è sostenuta da titoli culturali e si riversa in libri/riviste/conferenze, si ufficializza tale sapienza e diventa scienza. 

L’applicazione del sapere si chiama lavoro. 

Un lavoro produce beni e/o servizi per altri uomini.

L’uomo che lavora ottiene gratificazioni materiali e morali.

Immaginate quanta più felicità ci sarebbe sulla terra, se la quantità di sapere sparsa su tutta l’umanità aumentasse di una quantità se pur minima.

lunedì 16 ottobre 2023

Antonio vuole capire l'arte

opera di Silvia Senna

 

Ieri Andrea casualmente incontrò Antonio. L’argomento sull’arte pittorica lo aveva scosso. Probabilmente, quel mondo completamente estraneo nei suoi pensieri aveva toccato la sua sensibilità. Non perse occasione per riprendere il discorso con Andrea.

-“Andrea, sai, ho sognato quelle figure confuse dei quadri dell’amica tua.” Iniziò cosi, Antonio.

-“Ti riferisci ai quadri della pittrice Silvia Senna?”

-“Certo, chi altri conosco!”

-“Quell’opera deve averti scosso così tanto da portarla nei sogni?”

-“Succede così quando non comprendo bene la questione.”

-“Antonio, comprendere un’opera d’arte non è facile! Chi non è abituato si affida agli occhi e a ciò che il pensiero comune suggerisce come bello.”

-“Ora non capisco neanche te!” ammise sconsolato Antonio.

-“Ti faccio un esempio. Sai riconoscere una bella donna?”

-“Ma che domande mi fai? È ovvio che sì!”

-“Ebbene, per esserne così sicuro tu ti affidi a ciò che vedi. E cioè, un viso da angelo e magari un corpo da Miss Italia! Con questi elementi, riconoscibili da tutti, puoi senz’altro affermare di aver visto una bella donna! Per l’arte non funziona così!”

-“Allora dimmi come?” Antonio si senti quasi impedito a capire.

-“Antonio, ti avevo detto prima che non è facile perché intervengono molte componenti e non tutte disponibili nello stato dell’essere di una persona.”

-“Mi fai preoccupare! Dimmi che cosa serve … magari cerco di adeguarmi!” Antonio tentò una leggera ironia poiché già immaginava ciò che Andrea intendesse.

-“Antonio, lo stato dell’essere a cui mi riferisco non si acquisisce dall’oggi al domani, non si rimedia con la disinvoltura di chi si procura qualcosa. La maturità in questo campo ha bisogno di tanta sensibilità interiore che si acquisisce dopo un fortunato e lungo percorso educativo.”

-“Questo significa che gli ignoranti come me non possono ambire ai piaceri dell’arte?” Antonio si mostrò quasi risentito.

-“Beh, non è proprio così. La cultura rappresenta la via più sicura per giungere alla sensibilità di cui parlo. Per fortuna, non è l’unica strada. Esistono persone che non hanno frequentato grandi scuole, però per la sana educazione ricevuta, per la saggezza acquisita nel condurre una vita sostenuta da valori morali, hanno aperto la via all’essere speciali. La loro sensibilità si è formata in seguito a esperienze dure e a volte, drammatiche. Quindi davanti ad un’opera d’arte loro non ragionano molto, ma si lasciano trasportare da un “sentire” interiore con il quale apprezzano e catturano il messaggio di “cuore” che l’artista trasmette.”

-“Mi spiego solo ora, quel sentimento di paura che mi ha colto nel sogno. Avevo un senso di piacere nel guardare quel quadro ma nello stesso tempo temevo su cosa potesse realmente rappresentare.” Antonio rispose alle spiegazioni di Andrea.

-“Nota, Antonio, Tu hai immaginato il terremoto vedendo quel quadro. Hai avuto paura del terremoto, ma non lo hai visto con gli occhi … lo hai ricavato con la tua sensibilità. Vedi, questo è il miracolo che fa l’arte: ti esalta in quello che tu desideri o che temi.”

-“Grazie, Andrea … mi hai fatto dimenticare di essere ignorante.”

-“Consolati, Antonio … in misura diversa, siamo tutti ignoranti!”

domenica 15 ottobre 2023

Handshake (stretta di mano)

HandShake, dall’inglese, significa stretta di mano. Esso è un termine usatissimo nella comunicazione tra sistemi automatici.

Solitamente quando ci stringiamo la mano, quasi involontariamente compiamo delle oscillazioni. I due amici si alternano nel far forza. In questo modo si dichiarano complici e si assicurano vicendevolmente di essere vivi e pronti allo scambio psicologico.

Una stretta di mano senza oscillazione è formale e inutile. 

Potrebbe essere sostituita con la frase: “Ti saluto, ma non interessi più di tanto!”.
La stretta di mano potrebbe essere: molliccia (fai finta che non ci sono), a grilletto (ho fatto il mio dovere), a mezza mano (non ti conosco, scusami), alta rispetto al corpo (per ora non ti conosco, stai alla larga), bassa rispetto al corpo (non sembri cattivo).
Coloro che si stringono la mano, si dichiarano apertamente e manifestano le loro qualità o paure interiori. 

In altre parole, preparano uno scenario indispensabile per far partire un colloquio. Diciamo che si apre una fase di sincronizzazione. Il più debole si adegua al più forte, come il discepolo al maestro. Il seguace si adegua al suo leader, come il condotto al conduttore.
Non c’è ex equo poiché siamo diversi per nascita.

Se ci pensate bene, troverete sempre qualcuno migliore e qualcun altro peggiore di noi (per fortuna!).
La differenza tendente a zero rende elettrizzante, interessante il colloquio.
La differenza tendente all’infinito, indirizza il nascente dialogo all'aborto.

Quando un colloquio interessante parte, si assiste allo spettacolo della natura umana. Il conduttore dichiarato diventa condotto dall’interesse dell’ascoltatore. L’ascoltatore attento, impone i ritmi a chi parla. Chi parla mediante le pause, capisce di essere seguito. Segnali di sincronizzazione arrivano da cenni del capo, consensi verbali o intercalati, posture corporali. 
Tutti questi segnali indicano a chi parla, come sta procedendo il dialogo. Da questi, si capisce se deve accelerare, perché sta dicendo cose banali o se deve rallentare, perché richiede riflessione.
La durata delle pause è una modulazione della trasmissione. 
Si stabiliscono i momenti precisi per lo scambio dei ruoli. 
L’alternarsi nel parlare e nell’ascoltare avviene con una fluidità incredibile.

I due sistemi comunicanti si dicono efficienti.
Consumano nel migliore dei modi il tempo vita.
 

sabato 14 ottobre 2023

Serotonina: ormone del buon umore e macchina di verità

 

Un meccanismo simpatico utilizzabile per sapere in che modo siamo considerati o in quale misura siamo apprezzati, è quello di considerare il tipo di reazione emotiva che si scatena nel momento in cui incontriamo gli amici. 

Qualora fossimo considerati simpatici, piacenti e quindi apprezzati, l’amico si mostrerebbe sorridente e gioioso alla nostra apparizione. L’intero suo corpo si predisporrebbe per manifestare il responso emotivo, coinvolgendo particolari posture ed espressioni verbali. Sorrisi, baci, abbracci e fiumi di parole farebbero parte di un quadro generale di spontanea allegria.

Contrariamente, una persona che ci reputerebbe antipatici o degni di scarsa stima, si mostrerebbe quantomeno indifferente, se non addirittura ostile. Brevi e formali frasi legati al saluto o alla routine del lavoro, si renderebbero necessarie per attenersi alle regole della buona educazione e convivenza civile, non conflittuale.

Tale processo, non siamo in grado di comandarlo poiché è frutto di una naturale reazione creata da una produzione si serotonina nel cervello, determinata dalla storia relazionale avuta con il nostro amico.

Si tratta di una macchina della verità che scatta a nostra insaputa e che crea quel feeling di simpatia o di astio di cui si parla tanto.
 

giovedì 12 ottobre 2023

La bellezza è nel cuore

Un uomo brutto e con la gobba si era innamorato di una bellissima donna. Tentò di corteggiarla usando mille modi. Usò la gentilezza e sfruttò ogni occasione per mostrarle tutto il suo amore. 

La donna non voleva saperne. Quell’uomo era così brutto che non voleva nemmeno guardarlo. Paolo era basso e con una cifosi che lo faceva leggermente gobbo e questo lo rendeva infelice.

Nonostante il chiaro rifiuto della donna, regolarmente le inviava fiori, intercedeva in tutte le sue necessità. Voleva saperla felice.

Un giorno, si fece coraggio e decise di parlarle a cuore aperto. Conoscendo le sue abitudini, si sedette al bar dove spesso si tratteneva per la colazione. In attesa di vederla comparire da lontano, cercò di organizzare mentalmente il suo discorso. Pensava che se non avesse voluto la sua compagnia, almeno le avrebbe chiesto di poterla guardare da lontano senza che ciò la disturbasse.  

Appena la vide arrivare, le andò incontro e le chiese di sedersi al suo tavolo, volendole offrire la colazione. La donna si mostrò seccata, ma per evitare la prevedibile insistenza dell’uomo accettò. 

In attesa della consumazione, l’uomo iniziò a parlare.

-“Valeria, posso farti una domanda?”

-“Che cosa vuoi dirmi, Paolo? Ti ho già detto mille volte che pur se sei una brava persona, io non provo nessun sentimento per te.” La donna mise subito in chiaro i suoi propositi.

L’uomo cercò di tranquillizzarla:

-“Non voglio annoiarti con il corteggiamento, voglio soltanto che mi togli una curiosità.”

-“Avanti, di cosa si tratta?” domandò Valeria.

-“Dimmi, cara amica, tu credi che i matrimoni avvengono in paradiso?”

-“È una strana domanda. Non so dove vuoi mirare.” - la donna imbarazzata, ribaltò la domanda:

- “Tu ci credi?”

 “Certamente!” rispose l’uomo.

 -“Al momento della nascita Dio ti dice chi sarà la donna che amerai e che sposerai.” – ebbe una pausa e poi continuò – “Quando sono nato io, Dio mi disse che avrei sposato una donna brutta e con la gobba.”

-“Ecco, vedi? Dio ti ha predetto che non posso essere io la tua sposa.” La donna rise.

L’uomo attese che la donna tornasse seria e disse: “Quando Dio mi disse così, lo implorai di dare a me la bruttezza e la gobba perché per la mia donna sarebbe stata una tragedia.”

La donna restò basita. La profonda morale del suo pensiero l’aveva segnata.


mercoledì 11 ottobre 2023

Il camice blu (di Giovanna Sgherza)


Nella fredda stagione invernale a Cosimino piaceva uscire di casa per andare a lavoro quando la luce dell’alba pian pianino prendeva il sopravvento sul buio cupo della notte.

L’orario scolastico non glielo imponeva ma lui preferiva fare tutto con calma e godersi i momenti tranquilli per iniziare una nuova giornata cogliendo, nelle piccole cose, la bellezza del suo lavoro.

Quando apriva il portone dell’Istituto, aule e corridoi dormivano ancora. Nel silenzio che regnava gli faceva compagnia il cinguettio dei passeri e, dopo pochissimi minuti, l’odore inebriante del caffè appena pronto nella moka.

Subito dopo toglieva cappotto e cappello, indossava il camice color blu scuro, si sfregava le mani per riscaldarle un poco, beveva la sua tazzina di caffè e si accingeva a controllare scrupolosamente che tutte le aule fossero pulite, ordinate, arieggiate e pronte ad accogliere gli alunni.

Poi, per non prendere freddo, indossava una pesante giacca di felpa, avvolgeva la sciarpa intorno al collo e dava una bella spazzata all’atrio della scuola che di notte il vento ricopriva spesso di foglie e cartacce.

Una bandiera tricolore primeggiava in alto accanto alla grande targa in alluminio che riportava a caratteri cubitali  il nome della scuola, lo stemma della Repubblica Italiana e la bandiera Europea.

Cosimino alzava gli occhi ogni mattina  e, guardando il simbolo dell’Italia,  si sentiva molto orgoglioso di far parte della istituzione scolastica.

Lui, che aveva appena sfiorato la crudeltà della guerra e avuto la fortuna di rivedere il padre tornare sano e salvo dal fronte, nutriva un forte spirito di patriottismo tanto da piangere commosso anche alla sola intonazione dell’inno nazionale.

Il ruolo di “bidello” non era certamente quello che aveva sperato da piccolo, quando sognava di diventare ufficiale dell’esercito, ma ormai alla veneranda età di 62 anni, si era rassegnato serenamente a compiere in modo diverso il suo dovere per la Patria.

Perché lui così lo concepiva.

Pensava (e non a torto): “il mio lavoro dà supporto agli insegnanti, al Ministero, alle famiglie e soprattutto ai piccoli alunni che da grandi frequenteranno le migliori Università del paese e diventeranno medici, ingegneri, avvocati, imprenditori che faranno il progresso dell’Italia.”

Spesso i pochi amici che aveva  lo prendevano in giro, facendogli notare che il suo era un mestiere quasi inutile; così Cosimino li aveva un po’ allontanati e si limitava a salutarli quando passava davanti al bar.

I veri amici erano, sembrava strano pensarlo, proprio gli alunni e gli insegnanti della scuola, con i quali quotidianamente scambiava pareri e  discorreva del più e del meno sempre nel rispetto dei ruoli e solo e soltanto quando non era impegnato in commissioni inerenti il suo lavoro.

Qualche volta faceva confusione con le materie insegnate dai docenti perché il sistema di insegnamento era cambiato da un po’ di tempo e invece lui si ostinava a pensare alla scuola elementare come a quella della  sua epoca.

Tuttavia conosceva alla perfezione i nomi di tutti i bambini che frequentavano le lezioni, la  provenienza, il mestiere dei genitori e, senza impicciarsi dei fatti loro, osservandoli si faceva un’idea di come fossero e si comportassero al di là della recinzione dell’istituto.

Raramente si sbagliava.

Aveva una capacità innata di cogliere il loro umore, la loro tristezza o la presenza di piccoli e grandi problemi, ma sempre con discrezione. Talvolta, i bambini più spigliati si confidavano con lui, cercando conforto da un adulto.

Cosimino sempre attento a non sconfinare nel pettegolezzo, elargiva consigli validi ma leggeri tanto da far diventare quasi un gioco o una piccola sfida ciò che all’età di nove/dieci anni poteva apparire un ostacolo insormontabile.

Il lunedì era poi il giorno dedicato alle “chiacchiere” sul campionato di calcio che coinvolgeva la maggior parte degli alunni di quarta e di quinta classe; ed infine in ogni ricorrenza nazionale e prima dei giorni di vacanza, che fosse Natale, Carnevale o Pasqua, era sempre contento di trascorrere quelle giornate speciali in armonia con la comunità scolastica prima di rientrare nella sua piccola dimora che lo accoglieva silenziosamente.

Insomma Cosimino amava la scuola e non solo perché gli permetteva di avere uno stipendio fisso: ormai per lui era diventata la vera casa e chi ci apparteneva la sua vera e unica famiglia.

Non si era mai assentato dal lavoro, tranne il giorno del funerale dei suoi genitori.

Perciò quella mattina quando il direttore arrivò a scuola prima del solito e trovò il cancello chiuso, rimase un po’ sorpreso ma non preoccupato.

Aprì il pesante uscio di ferro, poi il portone di legno, entrò in direzione  e dopo aver tirato su la tenda (cosa che faceva ogni mattina il ligio Cosimino) cercò il numero di telefono per chiamarlo.

Provò più volte ma dall’altra parte non ci fu risposta.

Intanto erano arrivati gli altri due collaboratori scolastici, due arzille signore che ormai da tempo tardavano sapendo che Cosimino le precedeva sempre.  L’attività scolastica entrò nel vivo della giornata con il suono della campanella e durante la ricreazione tutti si accorsero dell’assenza di Cosimino chiedendosi come mai non fosse presente.

Alle ore dodici inoltrate, appena riavuto un momento libero, il direttore compose ancora il numero di telefono, certo che Cosimino avrebbe risposto alla chiamata.

Invece nulla. Addirittura l’utente non risultava più raggiungibile.

Provò ancora tre quattro volte finché, ormai preoccupato, decise di andare a cercarlo a casa per assicurarsi che stesse bene.

Le finestre dell’appartamento a pianoterra erano aperte.

“Meno male” – pensò il direttore sospirando – “non sarà successo nulla di grave. Però almeno poteva avvisare che oggi non sarebbe venuto al lavoro”.

E suonò il campanello un po’ infastidito.

Cosimino aprì dopo pochi secondi ma non riconobbe l’uomo.

“Chi è lei? Chi desidera? Mia madre non è in casa e io sto studiando. Non so se posso farla entrare” – disse con voce ferma quasi scusandosi educatamente.

Il direttore restò per un istante ammutolito e pensò di aver sbagliato indirizzo. Ma l’uomo che gli aveva aperto la porta era proprio Cosimino, lo conosceva benissimo.

Per sicurezza, e con sguardo interrogativo sconcertato, gli chiese: “Sto cercando Cosimo Lazzari, so che abita qui. Sei tu Cosimino, non mi riconosci?”

“Non ti conosco affatto, chi sei?” – si sentì dire il direttore basito dall’incresciosa conversazione.

“Sono il direttore dell’Istituto. Sono qui per aiutarti” – incalzò sperando in una risposta positiva.

“Ah ecco. Allora entra pure, così puoi aiutarmi a risolvere il problema di geometria che mi sta tormentando da stamattina.”

Il direttore entrò nell’appartamento modesto ma ordinato e pulito e Cosimino lo invitò a sedersi.

Sul tavolo erano sparsi fogli e quaderni un po’ ingialliti dal tempo e un mucchio di vecchi libri era posato sulla sedia di legno.

“Allora” – continuò  fiducioso il bidello -  “se mi dai qualche suggerimento su come calcolare l’altezza di questo odioso trapezio, io continuo il problema che mi serve per prepararmi al concorso”.

Il direttore continuava sbalordito a non capirci nulla, e per assecondarlo, gettò lo sguardo sul foglio contenente  i dati del problema.

Poi vide in mezzo al libro di matematica una lettera sgualcita con un timbro postale di 40 anni prima e in un attimo capì cosa stava succedendo all’uomo accanto a lui.

Probabilmente all’improvviso Cosimino stava accusando il sintomo più comune del morbo di Alzheimer .

In quel momento credeva di avere 21 anni e di dover sostenere l’esame per entrare nell’esercito. Perciò non lo aveva riconosciuto, perché non si rendeva conto della sua età e di essere impiegato come collaboratore scolastico da moltissimi anni.

Pochi giorni dopo, il medico specialista purtroppo confermò quella diagnosi ipotizzata dal direttore.

Non era però un caso grave.

Cosimino aveva dei vuoti di memoria abbastanza brevi anche se repentini e, soprattutto se si recava come di consuetudine al lavoro, tutto sembrava tornare alla normalità.

Seppure a malincuore il direttore aveva informato chi di dovere e aveva chiesto, in base alla legge in vigore, di valutare l’integrazione lavorativa di Cosimino con un opportuno programma di sostegno e collocamento mirato.

Il bidello non lo sapeva, ma giorno dopo giorno l’assistente sociale  osservava attentamente i suoi comportamenti.

Dopo un mese di attenta sorveglianza e vari test neurologici, l’uomo poté essere riammesso al lavoro a tutti gli effetti con una leggera riduzione delle ore lavorative.

Cosimino continuò a indossare ogni mattina il suo devoto camice blu scuro, ad ammirare la bandiera italiana,  a salutare gli insegnanti e  i piccoli benvoluti alunni anche perché ormai la comunità scolastica non poteva più fare a meno di lui.

Quella diagnosi così spaventosa che cambia la vita non aveva assolutamente disciolto l’amore di Cosimino per la scuola: anzi, a detta degli esperti, si era rivelato forse la migliore medicina per convivere con un morbo che può colpire chiunque senza preavviso.

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