mercoledì 8 maggio 2013

Respirare Napoli



’A quanno simmo nate,
comm’ a duie cumpagnielle
sempe ’nzieme simmo state.
 

Piccerille currévamo senza penziere
e giuvincielle pareva
ca ’o munno fosse stato ’o nuosto.
 

Ma po’ chiunu chianu
l’ammore forte ’ncore ce sbatteva.
 

Cu’ ’e capille argentate
simmo addeventate mamma e pate,
e cu’ ’e capille ianche
simmo addeventate zie e nonne.
 

Stive sempe azzeccato a me,
âmmo reduto e pazziato
e quanta guaie avimmo affruntato.
 

Tante n’avimmo passate
e mo ’un te capisco chiù.
Vulesse sape’ ’a te
pecché me staie lassanno…
 

Tu nun me puo’ tradi’ accussì…
t’ aggio sempe vuluto bene
e tu manco l’hê capito.
 

Statte cu’ me…
Si te ne vaie luntano
’stu core rummane scunzulato
e sulo ’a morte
me sento ’e aspetta’.

Lirica di Carmen Percontra

Foto

Al riferir di Napoli, il mio cuore sobbalza.

Colori, calori e passioni
sono lingue di fuoco che pervadono indicibili sensazioni.

Abbagliante splendore,
 immerso nella più trasparente bellezza,
aleggia come incanto nell'anima romantica.

Emozioni scintillano al posar di cuore.
 
Non ho motivo per gioir di una triste storia d'amore.

Capisco, soltanto allora, che respiro poesia.   

martedì 7 maggio 2013

Presentazione del libro a San Ferdinando di Puglia



Siete tutti invitati

Pascal e la mente umana - di Fabio Squeo

 
Si parla di Pascal come di un talento esploso sin dalla tenera età, poiché la sua vivacità e l’oculata osservazione per le piccole cose della realtà lo condizionavano fino a “domandare sino alla noia”.
Ci informa la sorella Gilberte Périer:

“Appena mio fratello raggiunse l’età della ragione, diede segni di straordinaria  intelligenza, e non tanto per le risposte quanto per le domande”.

Questa è la caratteristica di un bimbo prodigio il quale, piuttosto che vivere “l’ebbrezza continua di gioventù” [François de la Rochefoucauld]  (… prendere a calci il pallone o gettare un urlo “Tana scopro tutti! ” -  gioco del nascondino -)  annuncia (… è lo stesso Pascal a confidarcelo): “Gli uomini si dedicano ad inseguire una palla o una lepre; è il piacere persino dei re” .

Ma egli  preferiva di gran lunga l’armonioso potere del silenzio, quale motore che muove l’universo delle creature; quindi decide, per sempre, di rannicchiarsi ai piedi di un ciliegio al fine di contemplare le bellezze del creato, i suoi rigogli vegetativi, e raccogliere i frutti nei tempi delle prime allegagioni.
Si pensi che a soli 19 anni scoprì il primo computer della storia, conosciuto come Pascalina.
“La sua curiosità era inarrestabile” - scrive Gilberte - e col passar del tempo, l’acuta osservazione e la passione per la vita non bastarono a delineare il suo temperamento, ma “crebbe in lui la forza del ragionamento”.

Un ragionamento costellato di logica-matematica, che ben presto gli riserverà notevoli sbalzi di umore, soprattutto per la complessa condizione umana di cui egli era un protagonista all’interno di uno scenario di precarietà e di miseria. 

Pascal scrive: “Un albero non sa di essere miserabile, ma essere grande significa conoscere di essere miserabile” .

Il sentimento di precarietà della condizione umana è un dato intrinseco alla natura umana, che le conferisce il negativo presagio di essere corpo finito o finitezza nella sostanzialità.  

Un ragionamento, che nel tempo gli solleticherà la consapevole conferma di un concetto di vita fondamentale, peraltro coincidente col percorso in cammino verso la verità: cioè la  possibilità di sfatare, dopo accurate analisi geometico-matematiche, infinite realtà, sempre ancora da scoprire, e nonostante il sistematico impegno compiuto, esse aumentano sistematicamente a dismisura. 

Secondo Pascal, l’attività della mente umana è talmente infinita che non basterebbe una vita biologica in grado di raccogliere gli infiniti limiti imposti dalla natura; questo, però, non significa porre sotto scacco il fine ultimo dell’uomo e marchiarlo dell’impossibilità ontologica alla ricerca del vero, anzi, egli crede nell’uomo ed è convinto dei suoi valori più intimi  che fanno leva sulla condotta dell’agire morale. 

“L’uomo non è mai semplicemente una cosa tra le tante cose” [Martin Heidegger].  

Secondo Pascal, l’uomo è “una canna, ma pur sempre  pensante” : certo fragile, dinnanzi alle intemperie dell’universo dei limiti, ma pur sempre pensante e sussistente, cioè in grado di trovare la strategia più conveniente alla propria auto-conservazione fisica e morale. Egli scrive: “tutta la dignità dell’uomo è nel suo pensiero” .

L’uomo deve prendere in mano la propria condizione morale-esistenziale e accettare filosoficamente la propria limitatezza, e magari, con una spolverata d’ironia , burlarsi ogni tanto delle proprie “scoperte dell’acqua calda” se si vuole scavalcare il muro delle imperfezioni.

Egli scrive nei suoi frammenti:  “L’ultimo passo della ragione umana è di riconoscere che ci sono infinite cose che la sorpassano”.

L’uomo non deve demotivarsi dal suo progetto originario che porta alla luce universale, perché tra gli infiniti sogni e le infinite notti insonne passate a realizzare il suo autentico progetto di vita, deve  rendersi conto che a breve sarà possibile per l’umanità intera “toccare il cielo con un dito”,  pur restano con i piedi saldi in terra.

Questa è la sua scommessa più grande.

Le leggi dettate dalla fisica e dalla matematica, regolano certamente il mondo dei/nei limiti, esse però non vanno assolutizzate; devono fungere soprattutto da trampolino di lancio per carpire le vere problematiche escatologiche, che non interdicano l’uomo dalla comunicazione con Dio.

Il riconoscimento dei limiti della ragione deve mirare a dimostrare la “necessità della Fede”  come unica e sola strada attraverso la quale arrivare all’individuazione di principi valevoli universalmente.

“Perché la fede abbia un qualche valore, deve saper sopravvivere alle prove più dure”. [Gandhi]

Le prove ontologiche, anche le più dure, non vanno superate secondo procedure schematiche e/o macchinose né dimostrate razionalmente ma devono risultare vere alla luce di una “intuizione” o “voce interiore”. Il che non ha niente a che vedere con l’edificio logico-deterministico definito da Cartesio (il quale attribuiva - alle scienze geometriche-matematiche – la sola conferma di una struttura profonda in grado di comprendere e interpretare la realtà).

Pascal non era interessato a pervenire ad una dimostrazione dell’esistenza di Dio, quanto piuttosto voleva assicurarsi -  stando alle leggi della phyusis - se vale la pena o no riflettere “sul sentiero che porta nella direzione di Dio, ovvero nella direzione della sua immagine”.  

“La fede, essendo un dono di Dio, non va dimostrata” …Ecco che Pascal obietterà e dirà ancora: “Il cuore conosce ragioni, che la ragione stessa non conosce”.

Non smettere mai di ricercare le leggi e i principi, unici motori dell’universo fisico. Esse sono eccellenti ingredienti per un piatto succulento.

L’uomo deve essere in grado di muovere - facendo appello  al suo buon senso – la propria ragione in termini di scelte morali e di comprensione della cultura del senso civico.

Attraverso l’appello al buon senso, l’umanità avvertirà sul proprio corpo il fruscio dell’eternità, e con le proprie orecchie saprà udire gli echi evanescenti cosparsi nell’universo.

Il cuore rappresenta, primariamente, la comprensione che porta nella traiettoria di Dio, a riconoscersi come parte di universo infallibile. 

E’ certamente interessante fare esperienza delle leggi della natura ma sarebbe ancor più conveniente “riflettere sulle esperienze stesse” stando alle antiche memorie aristoteliche.

lunedì 6 maggio 2013

Speranza


Dipinto di Silla Campanini 


Ecco il futuro .....

spinto nel presente dalla speranza.

L'attesa è il suo amo.
 

 

Essere adulti






Un bambino sognava di essere adulto. 

Pensava che diventarlo doveva essere una conquista, bisognava imparare tante cose difficilissime. 

Egli non trovava spiegazione per la grande trasformazione che doveva subire.

Si chiedeva, però, se diventare adulto imponeva dimenticare il cuore di bambino.

"Certamente!" - si ripeteva quasi per scrollarsi dalla testa il suo modo di pensare.

".. e poi, non ho mai visto un adulto giocare a nascondiglio!".

"I bacetti non si danno a tutti! " - "Gli uomini baciano le donne, le donne baciano gli uomini e i genitori baciano i bambini".

"Strana regola è questa! Probabilmente, quando diventerò adulto capirò."

Il bambino decise di scrivere tutte le sue incertezze in un diario che conservò. 

Egli avrebbe riletto i suoi pensieri quando sarebbe diventato adulto.

Passarono gli anni e l'età adulta non mancò di presentarsi con tutte le sue forme.

Il vecchio bambino non scherzava più e non era più circondato da compagni di giochi.

Stranamente il suo essere appariva serio e gli amici ora li chiamava colleghi.

Viveva tra tantissima gente ma si sentiva solo.

Non riusciva ad essere spontaneo e doveva misurare le parole. 

Per prima cosa non doveva offendere ed inoltre, la cosa più difficile da farsi, doveva distinguere esattamente i momenti in cui dire ciò che pensava da quelli in cui doveva fingere. 

Insomma, da adulti bisognava essere dei bravi teatranti oppure, per dirla con un'altra parola, diplomatici.

E' inutile dire che il sorriso doveva essere alcune volte fotocopiato sulle labbra, altre volte liberato sinceramente.

Un giorno, l'antico bambino trovò per caso il suo diario.
 
Le parole che vi lesse profumavo di di bellezza infinita; erano chiare come il sole, semplici e dolci come acqua di fonte.

Incredibile solo a pensarci! 

Gli adulti faticano ad essere come vorrebbero che fossero e si impegnano ad uccidere la parte più bella, nascosta nel cuore ancor testardamente bambino.


domenica 5 maggio 2013

Mezze verità


opera di Silla Campanini

Forte il desio di albergare nel cuor tuo.
Raffermo l'ardore al vibrar di tutte le membra.

Contemplar bellezza spezza il fiato.

Nulla di massimo soave udir non so.
Tenerezza infinita dipinge l'anima.

Ragionar di causa è cosa sciocca.

L'apparir di riso è guardar il mezzo viso.

Cancellar l'occhio, conviene.
Giudicar suona buffo.

Altro son io,
non per causa mia 
ma per il lesinar quel po' d'amor.

Colorar di vivo o di dolce è opera tua.

Siamo spiriti che di forma irridono 
e di sostanza gioiscono.


Esistono gli ETT? - di Fabio Squeo


 
Aprite gli occhi e guardatevi intorno: se vedete un mondo che cresce, che si agita, che vi parla, che vi stimola, dovete ammettere che c’è stato qualcuno che gli ha dato il via affermava Giovanni Scoto Eriugena. 
L’essere umano, da millenni, è sempre stato un sognatore, affascinato dall'idea “stravagante” di ricercare i segreti insiti nel regno della natura umana e stabilire, eventualmente, contatti con altre civiltà (rispetto alla nostra). 
Egli ha “rinchiuso nei cassetti della propria stanza, la ragione prevaricatrice” e ha deciso di recuperare in extremis il proprio diritto al “volo che porta nella direzione teistica di Dio, Cristo, Buddha, Allah e chi ne ha più ne metta”.
Questa facoltà, tipicamente umana, ha invogliato l’uomo a non demordere, nel pieno di un progresso cognitivo-immaginario sempre più in espansione, e continuare ad osservare il cielo dalla finestrella della propria casa”  sino ad abbracciare quel tutto, chiamato simpaticamente universo.
La prima domanda sorge spontanea:  siamo soli in questo universo? 
La sua ricerca sistematica prende di mira l’indagine filosofica – storica e sperimentale. Essa serve su piatto d’argento forme di ricerca sempre nuove, gravide di fondazioni specifiche, che puntano, nel tempo del dio progresso, a superare ogni realtà attendibile col righello umano, dove essenze evanescenti di nature umane e aliene, rispetto alla nostra specie, si confondono nell'oltre del cosmo.
Qual è l’origine del genere umano? 
La domanda è innocua, ma risalta i tratti tipici di un concetto complesso nelle sue implicazioni teologiche e filosofiche. Esse rivelano il legame con una prospettiva tipicamente universale, in fatto di ricettacoli, di ideologie, di visoni onnipotenti e intuizione geniali da parte di uomini, piccoli, minuti e limitati, ma per determinazione molto curiosi. 
Uno degli esponenti di massimo livello, che ha speso la sua vita (nell'interesse archeologico-sperimentale) per avvicinare mondi lontani, è sicuramente ZECHARIA SITCHIN.  Egli è uno dei massimi rappresentanti della cosiddetta archeologia eretica. 
Egli attribuisce la creazione dell’antica cultura dei Sumeri ad una presunta razza aliena, detta Neflim (in Ebraico) o Anunnaki (in Sumero) proveniente dal pianeta Nibiru, un ipotetico 9° pianeta del sistema solare dal periodo di rivoluzione di circa 3600 anni presente nella mitologica babilonese.
Quando gli Annunaki (termine che significa letteralmente “coloro che dal cielo scesero sulla terra”) scesero sulla terra dettero vita alla prima colonia extra-terrestre.”  
“Quando parlo degli Extraterrestri, dobbiamo pensare ad esseri come noi – più probabilmente, ad esseri più avanzati di noi, per i quali la loro natura è il risultato di contatto fra una parte materiale ed una parte spirituale, un corpo ed un’anima, sebbene in proporzioni diverse rispetto agli esseri umani sulla Terra.
Secondo Sitchin, l’essere umano è figlio della materia aliena. Una commistione di Spirito e materia. La sua denominazione, cioè quella di “uomo” è legata nella prospettiva “della terra o terrestrità” L’uomo è impregnato di terrestrità; esso è condito di essenze e sapori terreni, ciclici, divenienti, misurati col metro della morte [Platone].  L’uomo è un incrocio di esseri perfetti (rispetto a noi) e una imperfezione legata al tenore o sostanza mondana.
I testi sumerici, nonché la Bibbia e altri testi del medio Oriente, rivelano realtà legate all’evoluzione degli Anunnaki o “dei dell’universo”(come li definisce Sitchin).  
“Che la vita possa esistere su altri pianeti è certamente possibile… La Bibbia non scarta quella possibilità. 
Sulla base della Scrittura e sulla base della nostra conoscenza dell’onnipotenza di Dio, essendo illimitata la Sua saggezza, dobbiamo affermare che la vita su altri pianeti è possibile”.
Essi sono responsabili della creazione, stando alle interpretazioni dello storico, e mi permetto di aggiungere: saranno anche la causa di una possibile distruzione o momento di una ennesima rivelazione apocalittica.” 
Lo studio rivela che,  in ebraico Adamo è la configurazione di una realtà umana caricata di senso terrestre. Il termine Adamo significa letteralmente “Colui che è della terra, creato per la terra, appositamente”. 
Questo significa, evidentemente, che l’uomo non fu creato dal niente, quando Dio (precisano le scritture) soffiò nel corpo dell’uomo”: la vita ha preso inizio non dalla ruggine, né dal ferro, dalle montagne o dai mari, ma semplicemente da una “natura superiore o proviene dall'alto, quindi in ultima analisi da qualcosa di sicuramente PRE-ESISTENTE E PRE-COSTITUITO.
L’uomo di Adamo non esisteva ancora, fino a quando giunsero gli extra-terrestri o pre-uomini (con le navicelle degli Annunaki) che conferirono forma e sostanza alle specie viventi sulla terra. Una terra, fertile, dove l’uomo nasce, si sviluppa e perisce. Dove la storia dell’uomo prosegue nella direzione della verità della propria origine affinché un giorno possa fare luce sul sentiero del proprio ritorno.

sabato 4 maggio 2013

Non sapevamo


opera di Silla Campanini

Non sapevo che amare costasse un pezzo di cuore
e che la mia anima scapestrata tradisse il mio sorriso.
credevo che l'amore fosse buono come il pane con la cioccolata. 
Ho confuso sapori ed emozioni.
Ho imbrogliato amore con passione.
Ho barattato un cuore invano. 
Ora
portami un giglio vergine da bramare
sfianca la mia amarezza con impavidi baci
il tuo sorriso sfrontato
scioglierà forse una statua di sale.
Dammi quel brivido che il mio corpo ignora
un letto caldo non basta a farmi innamorare
anche la notte è stanca di ascoltare. 
Un cuore
un pezzo del mio cuore svenduto per un falso amore. 
Ora
portami la luna come mia ultima dimora
e regalami la mia bambola preferita. 
Ho confuso sapori ed emozioni
ho amato un uomo di cartone senza coglioni.
©paola bosca/registrata


Rivedo quel fascio di luce
fuggir per amor ingrato.

Ardori e dolcezze cadono a fiocchi sul cuor gentile.
Brama, ancor coglie per consueta forma.

Risuonar  è d’obbligo all’infinito incanto.

Attonito, soggiaccio a cotanta tristezza.
Dolor vivo s’espande che il verbo non dice.

Troppi tramonti l’amor spense.

Lontana,
la timorosa carezza, il tuo viso sfiora.
Porta con sé un pugno che la viltà stringe.

Vorrebbe trasformar in cenere la speranza tradita.
Vorrebbe  dar forza all’ingenuità del tempo giovane.
Vorrebbe ritrovar il ciel sereno.

E al calar della sera,
quando la tenerezza ormeggia,
ripassar la silenziosa mano a ritrovar il letto caldo, accende il cuore.

Scoprir  è dolce che d'amor si vive.

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