Sul nostro pianeta si parlano
circa 6.800 lingue. Ogni quindici giorni ne spariscono due e con esse muoiono
antiche culture, usi, costumi, tradizioni, leggende, riti, medicine naturali.
Entro il 2100, il 90 per cento di
tutti gli idiomi umani, sparirà per sempre. Le previsioni più ottimistiche
dicono che soltanto la metà, sarà estinta. Quelle ormai irrimediabilmente
perdute, secondo i calcoli dei linguisti, potrebbero essere tra quattro e nove
mila.
Il 96% della popolazione mondiale
utilizza soprattutto quattro lingue: il cinese mandarino, parlato da un
miliardo di persone, come l’inglese, l’Hindi/Urdu (900 milioni) e lo spagnolo
(450), seguito da russo, arabo, bengali, portoghese, giapponese, francese,
tedesco, italiano. Il restante quattro per cento parla tutte le altre.
I ricercatori escludono dal
rischio d’estinzione soltanto 600 lingue nel mondo, perché sono ancora
insegnate ai bambini. In Canada e Stati Uniti, il 90% delle lingue native, non
è appreso dalle nuove generazioni.
Su 300 lingue parlate sul
territorio americano in età colombiana, soltanto dieci sono ancora utilizzate
da gruppi superiori ai diecimila individui. In Australia si stanno estinguendo il
90% delle 250 lingue aborigene.
I quattro quinti degli idiomi
sono usati da gruppi inferiori ai diecimila individui. Nell’area amazzonica
peruviana soltanto cinque persone parlano ancora il Chamicuro.
Gli scienziati stimano che, in
Africa su un patrimonio di 1.400 lingue 54 sono ormai estinte, 116 sono vicine
all’estinzione, 250 sono minacciate e 600 in forte declino, ma in Sud Africa le
lingue ufficiali sono solo l’inglese l’africaans.
In Asia meno di diecimila persone
parlano circa la metà delle lingue autoctone. Nel ashmir il Brokshat è parlato
da tremila persone, il burmese da 250, mentre nelle Filippine poche famiglie
parlano ancora l’Arta. Il 90% degli idiomi umani non è presente su Internet.
I contenuti della Rete sono per
il 68,4% in inglese; seguito dal giapponese con il 5,9%, dal tedesco con il
5,8% e dal cinese con il 3,9%.
L’80% dei linguaggi esistenti non
ha una forma scritta e la metà di essi è concentrata in otto paesi: Papua Nuova
Guinea (832), Indonesia (731), Nigeria (515), India (400), Messico (295),
Camerun (286), Australia (268) e Brasile (234).
Le regioni con la più alta
biodiversità sono quelle più ricche anche dal punto di vista linguistico: le
lingue parlate nelle isole, ad esempio, si sono sviluppate, come le specie
viventi, in modo unico e completamente autonomo. Gli abitanti del piccolo
Arcipelago di Vanuatu, nel Pacifico, parlano ben 110 lingue.
La perdita di lingue uniche,
nella loro identità culturale e nei loro contenuti storici, (l’Igo, parlato da
seimila persone nel Togo meridionale, molto probabilmente conserva tracce della
migrazione africana occidentale) rende più difficile la nostra comprensione
della diversità biologica.
I linguaggi utilizzati nelle
foreste tropicali o sulle isole, sono notoriamente molto ricchi di vocaboli
specifici per la descrizione della natura. Gli hawaiani chiamano i pesci con
nomi che indicano il periodo di riproduzione, gli usi medicinali e i metodi per
catturarli.
In Papua Nuova Guinea, le lingue
locali comprendono centinaia di nomi diversi per ogni specie di volatile
presente sulle isole, mentre il Pidgin, (un misto anglo-cinese diffuso in
estremo oriente) ne comprende al massimo due.
Molti ricercatori studiano gli
elementi strutturali della grammatica e del vocabolario, per capire se alcune regole
fondamentali del linguaggio, abbiano valenza mondiale e se è possibile trovare
un riscontro fisico nella struttura del cervello umano.
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