giovedì 7 dicembre 2023

Il cuore di Davide


Davide era un giovane con evidente predisposizione a riflettere sui valori della vita. Amava ascoltare le canzoni romantiche ed era attento alle dolci parole del testo. Si emozionava e lacrimava facilmente guardando film d’amore; ancor di più quando assisteva ad atti teneri.

In una occasione, l’emozione lo scompose fino a creargli imbarazzo. Assisteva a un funerale trasmesso in televisione quando pianse. Il primo piano della ripresa puntò sulla prima fila dei banchi dove sedeva Il padre tra le due sue figlie. Una delle ragazze, appoggiata al braccio del padre, con gli occhi chiusi e le guance rigate dalle lacrime, non si rassegnava alla perdita della propria madre. 

Davide era un romanticone, dava per certo che il mondo fosse buono come lui e quando si scontrava con una realtà diversa, sentiva la frustrazione del vivere.

Chi non lo conosceva lo giudicava debole e fuori dal mondo. Lui si era abituato all’ipocrisia della gente mediocre e per il quieto vivere dava a intendere di non rendersene conto. Si tirava fuori da ogni discussione quando le parole erano accompagnate da urla o egoismi. Anche quando si cercava di offendere, la sua reazione era sempre la stessa: abbandonare la discussione.

L’indole buona di Davide bene si conciliava con il suo stile poetico. Componeva poesie introspettive. Immaginava colloqui con angeli e anime sensibili. Delicato e rispettoso del dolore del prossimo mostrava empatia per i disagiati.

In un episodio, un bimbo ROM, fermo nei pressi di un incrocio stradale regolato da un semaforo, tutto sporco gli allungò la mano chiedendogli l’elemosina. Davide di risposta gli accarezzo la testa. Il bambino con impazienza gli disse: “Voglio soldi, non carezze!”

Davide domandò: “Quanti soldi vuoi?”

Il Ragazzino fu sorpreso dalla domanda e dopo un leggero impaccio, rispose: “Quello che vuoi tu!”

Davide insistette: “Di darò qualcosa soltanto se mi dici esattamente quanto vuoi.”

Il bambino pur di non perdere l’offerta, propose: “Mi bastano anche 50 centesimi.”

Davide, imperturbato, depositò la somma richiesta nella mano del piccolo ROM e domandò ancora: “Perché mi hai chiesto così poco?”

“Perché è difficile che mi diano di più!” continuò il ragazzino “faccio questo lavoro da molto tempo e conosco bene la generosità della gente.”

Davide sorrise. Poi quasi a gioco, disse: “Se tu mi avessi chiesto di più, ti avrei dato di più.”

“Signore, i generosi sono pochi! Pur se molta gente va in giro con belle macchine e sono vestiti per bene, quando chiedo un’offerta, se mi va bene ricevo pochi centesimi, ma nella maggior parte dei casi mi ignorano! Mi guardano e fanno finta di non vedermi … come se non esistessi.”

“Hai ragione piccolo, questa volta, però, sono stato io a sollecitare la tua richiesta.” 

Davide aggiunse due euro alla somma già data e si congedò dicendo: “Ricorda che durante la vita ti verrà dato quello che chiedi. Se chiedi poco, otterrai poco.”

 

mercoledì 6 dicembre 2023

Alcuni quesiti senza risposte

 

Sebbene l’archeologia contemporanea ritiene di poter spiegare in maniera esaustiva il percorso evolutivo e culturale dell’umanità, molti ritrovamenti controversi mettono a dura prova la versione della divulgata , comunemente accettata.An cora una volta, ecco alcune rappresentazioni antiche che sembrano sfidare la cronologia convenzionale della storia umana.

La storia del nostro pianeta è molto più complessa di quanto la maggior parte delle persone sia disposta ad ammettere.
Secondo la versione comunemente accettata della storia, e che viene insegnata nelle scuole superiori e nelle università del mondo occidentale, l’uomo antico era una creatura molto semplice e dalle conoscenze estremamente limitate.
Tuttavia, con buona pace di coloro che promuovono questa versione (difettosa) della storia, gli archeologi continuano a tirare fuori dal suolo oggetti e raffigurazioni che la contraddicono.

La verità è che c’è una quantità enorme di prove che attestano il successo intellettuale del mondo antico, con alcuni manufatti che sono delle vere e proprie meraviglie tecnologiche. 
Certamente è l’antico Egitto ad offrire l’eredità più sconcertante del passato evoluto dell’umanità, e certamente la prima struttura che salta alla mente è la Grande Piramide di Giza.
Si tratta di una struttura così imponente e costruita con una tale precisione che la tecnologia moderna solo ora sta cominciando a ridurre il ritardo con essa. 
Sebbene abbiamo l’illusione che avremmo potuto costruire qualcosa di simile anche oggi, se avessimo voluto, l’uomo moderno non ha mai effettivamente costruito niente di simile. 
Ma la Grande Piramide non è l’unico esempio di tecnologia avanzata che troviamo in Egitto.
Fece scalpore il ritrovamento di alcune incisioni geroglifiche nel tempio egizio di Abydos.
All’occhio dell’uomo di oggi, i geroglifici sembrano descrivere quelli che sembrano aeromobili di epoca moderna. 
La scoperta è stata oggetto di grande polemica tra egittologi e archeologi, i quali non sono sicuri cosa vogliano significare i segni di Abydos. D’altra parte, come avrebbero potuto persone vissute 3 mila anni da rappresentare un velivolo moderno?

Quando la dottoressa Ruth Hover e suo marito intrapresero un viaggio alla volta delle piramidi e dei templi d’Egitto, rimasero scioccati quando notarono i geroglifici nel tempio di Abydos. 
Le strane raffigurazioni erano nascoste da un pannello sovrapposto più recente con altri geroglifici. 
Quando il pannello si sbriciolò, venne fuori lo strato più antico dove era possibile vedere questi strane incisioni.
I nostri occhi scorgono quello che sembra un moderno elicottero, un sottomarino, un alienate e un altro tipo sconosciuto di aeromobile (alcuni ritengono che somigli all’Hinderburg). 
Potrebbe trattarsi di pareidolie, certo! 
Ma se gli antichi egizi non volevano raffigurare velivoli, allora cosa rappresentano le strane incisioni. E, soprattutto, perché erano state occultate da un pannello più recente, e da chi? 
Come spiegare questi enigmi? 
Al momento, pare non essere possibile.
 

martedì 5 dicembre 2023

L'incubo di un assassino

 

In piedi in un corridoio di marmo, mi sono trovato di fronte a una cosa terrificante; era qualcosa di mai visto prima. Non potevo muovermi, non avevo nessuna via d’uscita e i miei piedi improvvisamente sembravano inchiodati. Non riuscivo a liberarmi nonostante il mio fortissimo desiderio di farlo.

Ero congelato e con le spalle contro il muro. I miei occhi si spalancarono dolorosamente e rimasi lì, intrappolato dalla visione davanti a me.

Il rumore di qualcosa o qualcuno che avanzava risuonava dalle pareti del corridoio; echeggiava così intensamente che avrei voluto tapparmi le orecchie con le mani per bloccare la cacofonia, ma non potevo perché ero bloccato.

 “Aaaaaaahhhhhh!” urlò la strana forma.

Mi sembrava un enorme ragno padrone di una ragnatela che si estendeva dal soffitto al pavimento, da una parete all'altra. Occupava quello spazio con una presenza così orribile che ogni pelo della mia pelle e ogni nervo del mio corpo si rizzavano.

L'entità si manifestò in una rete densa di una sostanza appiccicosa simile a colla e si ancorò ai quattro angoli della sala. Come una tela costruita da un ragno frenetico e maniacale, avvolgeva lo spazio intorno a me. Tutto mi faceva credere che io ero la preda intrappolata.

Non ero molto distante dai fili della ragnatela. Pur di non sentirla addosso, ero incollato al muro, immobile e senza scampo. Ero prigioniero psichico di una creatura sconosciuta che sembrava essere così irritabile che non osavo pronunciare una parola o emettere un solo respiro.

All’avvicinarsi del mostro mi trovavo al centro di una tremenda alitosi. Ciò che vedevo al centro della rete era qualcosa di inimmaginabile e così raccapricciante che avrò incubi per il resto della mia vita.

È difficile da credere, ma era così. . . vedevo una faccia! Quella della mia vittima! Un volto di proporzioni gigantesche, la pelle tesa al centro della ragnatela in una smorfia sinistra.

I suoi occhi erano selvaggi, infuriati e roteavano febbrilmente nelle loro orbite spettrali come una persona impazzita dalla tortura. Il volto iniziò a dondolare nella rete mentre lo guardavo, inorridito. Non avevo idea di cosa quell’essere avesse intenzione di fare di me, ma ero sicuro che la mia fine fosse imminente. Mi aspettavo di diventare parte di quella cruda e appiccicosa rete, in balia dell’appetito del mostro.

Mentre urlava con toni bassi e vuoti, il viso cominciò a oscillare verso di me come un pendolo. Si avvicinava di pochi centimetri dopo ogni oscillazione e a ogni volta potevo sentire su me l’odore disgustoso del suo alito. Mi sentivo perduto, attendevo soltanto che le sue zanne si stringessero sulla mia testa, schiacciandomi il cranio, perforandomi il cervello. Rimasi paralizzato, fatta eccezione per i miei nervi che tradivano la mia intensa paura tremando in modo incontrollabile.

Mentre procedeva in avvicinamento, cercavo di evitare il contatto, ma ero già con le spalle al muro. Il suo viso si avvicinava sempre di più al mio. Respiravo l’aria del suo alito: era così disgustosa che non riesco a trovare le giuste parole per darne un’idea. Contorcevo il mio viso per l’orrore dell’odore, ma non andavo oltre a piccole inclinazioni.

Ad un certo punto, il mostro cominciò a parlare. Baritono, roco e rauco risuonavano nel mio cervello.

“ass… ass.. assassino”, diceva.

Abbassai la testa e urlai, terrorizzato: “Cosa vuoi da me??”.

Mi coprii le orecchie, rannicchiandomi per a terra con il desiderio di sparire. Intanto parlava ancora.

“Anima schifosa” ripeteva con tono cavernoso, inquietante e altrettanto sinistro come prima.

Subito dopo sentii l’eco di uno schiaffo sul muro. Disperato, tentai di spostarmi verso la mia destra, illudendomi di poter trovare una uscita.

Il mostro reagì, gridando: “Uuuuaggg”.

Io rabbrividii dalla paura. Quella razione poteva significare la mia fine, poiché perdere la sua preda avrebbe sicuramente portato l’entità alla rabbia.

Poi la faccia riprese a urlarmi alle orecchie: “Hai tolto una mamma a dei bambini! Dannato!” Poi, con gli occhi infuocati, continuò: “Dimmi che cosa hai ottenuto? Sei orgoglioso della tua bestialità?”

Piansi. Non sapevo cosa rispondere. 

La mia mente entrò in una centrifuga di dolore e disperazione. Mi svegliai in soprassalto con il cuore che batteva a mille. 

Il silenzio della mia cella carceraria mi tranquillizzò, convinto che dovevo pagare a caro prezzo il mio spregiudicato comportamento.

 

lunedì 4 dicembre 2023

Ho ucciso il mio Angelo

 

 

Sono viva per miracolo, ma non posso dichiarami fortunata perché ho pagato un prezzo troppo alto per continuare a respirare. Avrei preferito morire, ma se il destino ha voluto così, forse perché io potessi raccontare questa mia storia.

Avevo tra le braccia mia figlia di quattro anni e la stavo cullando. Fuori, nella strada, un drappello di tedeschi stavano perlustrando la zona in cerca di ebrei da ammazzare.

Non potevo far nulla tranne sentire urla, imprecazioni sempre più forti. A intervalli, si udivano rumori di violenza, orribili tonfi nel bagnato e l’inconfondibile eco di muscoli e tendini che resistevano alla forza di chi li stava lentamente facendo a pezzi.

Il massacro era iniziato tre giorni prima e sembrava non dover finire mai. Forse metà del mio mondo, ancor prima di avere notizie di quello che stava succedendo, spariva. Nessuno poteva fermare quella tritatrice di carne umana.

Abitavo al primo piano dello stabile che dava su quella strada, chiusa nel mio appartamento. A un certo punto, sentii bussare alla porta al piano di sotto e subito dopo si sentirono altre urla; la carneficina stava continuando con evidente impossibilità di montare una resistenza adeguata contro quella forza brutale. La minaccia mi era vicina. Speravo che si fermassero a quel piano, ma non fu così.

Non si attesi molto prima di riconoscere il rumore del martellamento e il saccheggiamento di ogni cosa. Il suono del legno in frantumi era il canto funebre prima di essere bruciati.

Ero sola in casa. Mi barricai con tutto quello che avevo nella stanza da letto. Mentre ammucchiavo mobili e suppellettili mi correvano i brividi per il corpo. Le cose che accatastai contro la porta d’ingresso mi davano l’illusione di essermi protetta, ma sapevo realisticamente che quei demoni sarebbero riusciti a passare.

Continuai a dondolare la mia bambina, canticchiando la ninna nanna nell’orecchio per calmarla mentre piangeva singhiozzando.

Il martellamento alla mia porta cresceva in forza e volume, il telaio iniziò a rompersi. Strinsi al petto la mia bambina e le accarezzai la testa con entrambe le mani, dalla parte superiore del cuoio capelluto, fino giù attraverso le orecchie, proprio come solitamente facevo per farla addormentare. A lei piaceva questo mio modo di tranquillizzarla. L’effetto fu immediato. Il suo pianto disperato si calmò, il suo piccolo corpo si avvinghiò contro il mio per nascondersi e attenuare la paura.

Continuai a canticchiare allisciandole i capelli. Provavo a comportarmi come se nulla fosse fuori posto, non una sola cosa che non andasse. Un ultimo singhiozzo e poi fece silenzio, il suo corpo si era rilassato.

Fu allora che avvolsi un cappio intorno al collo e con una stretta decisa e violenta uccisi il mio angelo. Morì prima ancora di poter crollare nel mio cinto. La porta stava cedendo, i mobili spinti indietro ed entrarono.

Attesi il mio destino mentre urlavo, ma almeno il mio piccolo angelo era al sicuro dal male. 

 

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