Riporto una lettera che in qualità di insegnante mi sconvolge.
"Insegno italiano in un istituto tecnico romano e sono commissario interno agli esami di maturità dei miei studenti.
In venti anni di servizio sono tante le cose che mi hanno dato
soddisfazione, tanti gli studenti che imparando mi hanno insegnato delle
cose.
Tanti i sorrisi dopo le promozioni.
Qualche più raro, ma
impagabile, ringraziamento postumo.
Sono queste le cose che mi
hanno dato la forza di continuare questo bellissimo mestiere anche di
fronte alla scarsa considerazione professionale ed economica che segna
la mia vita come quella di tutti i miei colleghi.
In questo
periodo dell'anno è normale ricevere le telefonate da parte dei genitori
dei ragazzi.
È in gioco il loro futuro dei loro figli e capisco la
preoccupazione di ogni genitore di far avere un voto migliore oppure
evitare al ragazzo un ulteriore anno scolastico anche quando ce ne
sarebbe il bisogno.
A seconda del tono dei genitori alcune volte ho
sorriso, altre volte mi sono arrabbiata perché sentivo invasa e violata
la mia etica educativa.
Ho sempre pensato di dover fornire ai miei
studenti gli strumenti per affrontare la vita da adulto, per risolvere i
problemi o le piccole e grandi complicazioni a cui sarebbero andati
incontro una volta usciti da qui.
Ma stamattina ho ricevuto una telefonata che mi ha sconvolto.
Il padre di uno dei miei maturandi, che chiamerò Andrea, mi ha chiesto
di bocciare il ragazzo.
Andrea è stato uno studente molto volenteroso
durante tutto l'anno e non è tra quelli che rischiano in alcun modo la
bocciatura.
Figlio di una famiglia dignitosa della periferia romana si è
barcamenato con caparbia tra lo studio e il lavoro a nero in una
pizzeria per aiutare la famiglia.
Non conoscevo il padre del
ragazzo e inizialmente pensavo stesse scherzando.
Solo dopo le sue
insistenze accorate ho capito che diceva sul serio.
Mi ha spiegato che i
proprietari del ristorante dove Andrea lavora gli hanno assicurato che
potevano finalmente assumerlo in maniera stabile grazie alla nuova legge
sul lavoro in cui le agevolazioni sono però riservate unicamente a
ragazzi senza diploma.
Non sono stata in grado di rispondere,
per la prima volta in vita mia mi sono fermata a riflettere sulla mia
funzione di educatrice.
Un dilemma che non riesco a sciogliere: devo
continuare a svolgere il mio ruolo con serietà o non è più giusto
assicurare al ragazzo un lavoro stabile e bocciarlo?
In fondo come mi ha
spiegato il padre, Andrea si può tranquillamente diplomare il prossimo
anno avendo però la fortuna di avere già un lavoro.
Io non so
davvero cosa fare e spero di essere incappata in un caso limite. Mi
chiedo però come sia stato possibile concepire una legge che premiando i
giovani privi di diploma rischia di incentivare l'abbandono scolastico.
È l'ennesima umiliazione del mio lavoro come di quello di tanti
colleghi che nonostante tutto buttano il cuore e l'anima oltre le
carenze strutturali della pubblica istruzione.
Mi domando a questo punto
quale senso abbia il mio lavoro."