lunedì 30 giugno 2025

ll fiore di loto

 

La vita ci chiede così tanto. Naturalmente, ne siamo coinvolti. Reagiamo. Ci preoccupiamo. Cerchiamo di controllare tutto. Ma più ci proviamo, più perdiamo noi stessi. Per ritrovare la pace interiore, devi padroneggiare l'arte del distacco.

Rimani nel mondo, agisci nel mondo, fai tutto ciò che è necessario, ma rimani trascendentale, distaccato, distaccato, un fiore di loto nello stagno", dice il filosofo e maestro spirituale Osho nel suo libro Il segreto dei segreti. Gioca il gioco della vita.

Fai ciò che devi, ma non perderti in esso. Questa è la regola.

Sii come il loto. Il loto cresce nel fango. Non fugge dallo stagno. Ma si eleva sopra l'acqua. Il fiore di loto rimane pulito nell'acqua sporca. Ma c'è di più. I suoi petali respingono lo sporco. L'acqua scivola via, lasciandolo immacolato. Spesso rimaniamo intrappolati nel dramma della vita. Fai il tuo lavoro e poi diventi il tuo lavoro. Ami qualcuno e il suo umore controlla la tua risposta alla vita. Ci provi, fallisci e ora sei un fallito. Hai successo e ora hai paura di perderlo.

Ci affezioniamo a tutto: al successo, alle persone, persino ai nostri pensieri. Una brutta giornata ci rovina. Un rifiuto sembra una condanna a morte. Perché affidiamo la nostra pace a cose che non possiamo controllare. Ma cosa succederebbe se lavorassi sodo, amassi meglio e poi lasciassi andare il risultato? O non pretendessi la permanenza?

Questa è la saggezza del distacco.

Goditi i tuoi beni, ma non lasciare che ti definiscano. Goditi le relazioni, ma non soffocarle. Più ti aggrappi a qualcosa o a tutto, più ti sfugge. Il distacco ti mantiene vivo e libero, ma senza il peso. Perché nulla al di fuori di te decide il tuo valore.

Il loto è il simbolo di Osho perché cresce nell'acqua fangosa e rimane intatto. Questo è ciò che ci invita a essere. Nel rumore, nella routine, ma liberi da essa. Notate come vi siete attaccati e lasciate andare. Ritornate dentro di voi. Il fiore di loto ci mostra come muoverci attraverso il lavoro, le relazioni e il caos e mantenere comunque la nostra pace interiore.

Non è solo un simbolo. È un maestro. Non aspetta condizioni perfette per sbocciare. Non si lamenta del fango. Lo usa.

Non hai bisogno di una vita perfetta per diventare una versione migliore di te stesso. Hai solo bisogno di radici e di una direzione. Il fango fa parte del gioco. Il dolore, la lotta, il fallimento e la perdita, è il fango della vita umana.

Ma il loto non combatte il fango. Cresce attraverso di esso. Ed è questo che siamo in vita per fare.

Non sei qui per sfuggire alla sofferenza inevitabile. Sei qui per elevarti ed essere migliore nonostante essa. È qui che la saggezza di Osho acquista senso.

Evitare la vita non funziona. Ma possiamo trascendere le molte fonti di sofferenza. Ciò significa che quando qualcuno ti ferisce, lo senti, ma non lo trasformi in un muro. Quando le cose vanno male, impari, ma non diventi amareggiato. Quando arriva il successo, te lo godi, ma non ci perdi l'anima. Perché, come il loto, rimani radicato e distaccato e continui a migliorare.

Il distacco ti dà il permesso di fare un passo indietro, di proteggere la tua pace. Ti è permesso stabilire dei confini. Ti è permesso disconnetterti dalle molte distrazioni della vita che non ti servono.

Il saggio non ci sta chiedendo di essere meno vivi. Ci chiede di essere più consapevoli. Di stare nel mezzo della vita, di amarla tutta, ma senza perderci in essa. “Agisci nel mondo”, dice. Fai ciò che deve essere fatto. Fatti vedere. Ma sappi chi sei dietro a tutto questo.

Questo è il lavoro del “trascendere”. L'arte del distacco. Ma devi vedere le cose in modo diverso per far sì che funzioni per te.

Puoi stare seduto nel traffico e rimanere calmo. Non devi maledire l'automobilista davanti a te. Puoi amare qualcuno senza cercare di possederlo. Prenditi cura e fatti vedere. Ma non pretendere che ti completi. Perché il tuo senso di sé non è legato alla sua presenza. Se perdi dei soldi, non perdere la testa. Puoi provare tristezza senza lasciarti consumare da essa.

Rispondi alla vita. Non reagire.

Puoi prenderti cura della tua vita senza aggrapparti a nulla.

Il “fango” è la nostra preoccupazione per ciò che pensano gli altri, la fretta senza motivo, il pensare troppo a ciò che dicono le persone e la ricerca dell'approvazione. Questi sono alcuni dei tanti “drammi” della nostra vita.

Ma l'obiettivo non è odiare il fango. È quello di elevarsi al di sopra di esso.

Non puoi sfuggire al fango. Non lo ignori. Cresci grazie ad esso. E in questo modo vivi liberamente e ti senti vivo. Balla sotto la pioggia, ma non affogare in essa. È così che vivi pienamente, ma completamente libero.

domenica 29 giugno 2025

Coscienza delle relazioni mature

 

Nelle nostre relazioni personali, ci ritroviamo spesso a chiederci: “Perché l'altra persona è così odiosa?”

Quest'altra persona potrebbe essere il nostro coniuge, nostro fratello, nostro genitore, nostro capo, nostro dipendente, nostro vicino o nostro amico.

Poiché la nostra capacità di giudizio è così acuta, siamo in grado di discernere i difetti più microscopici negli altri.

E in noi stessi? No, non escludiamo noi stessi dalla nostra acuta capacità di osservazione.

L'unico problema è che la nostra capacità di osservazione è profondamente imperfetta.

Sì, l'evoluzione ci ha dato una mente perspicace. Più gli esseri umani diventavano intelligenti, più avevano possibilità di sopravvivere. Ma se il nostro cervello fosse diventato più grande, non saremmo riusciti a uscire dal corpo di nostra madre.

Ora, con l'intelligenza artificiale all'orizzonte, stiamo per vedere com'è la vera intelligenza.

Non assomiglia a noi, questo è certo!

Siamo una specie impantanata nell'ignoranza. L'errore fondamentale che commettiamo riguardo al nostro mondo è credere che le cose immaginarie siano reali.

Se non credessimo in una cosa del tutto immaginaria chiamata denaro, non saremmo in grado di gestire questa economia così complessa.

Ma mentre questa capacità di confondere l'immaginario con il reale è stata utile in molti modi, certamente in termini di permetterci di lavorare insieme in gruppo verso obiettivi comuni, ci ha deluso a livello individuale.

Siamo un gruppo di persone estremamente infelici. Il rapporto umano è un problema.

Ci sono alleati. Ci sono nemici. Non c'è dubbio. Questa distinzione tra noi e loro è stata uno dei primi adattamenti evolutivi della razza umana. Inizialmente eravamo noi umani e loro animali selvatici. Ma abbastanza rapidamente, secondo le prove fossili, si è evoluta in noi umani buoni da questa parte e quelli cattivi dall'altra. Le prove si possono trovare almeno 30.000 anni fa. In una grotta in Francia ci sono dipinti che raffigurano la tribù avversaria come buffoni, serpenti e stupidi.

Sì, abbiamo sempre avuto un buon senso dell'umorismo, soprattutto riguardo al nostro desiderio di commettere violenza. Questi stessi dipinti raffigurano le “persone buone” che fanno a pezzi gli avversari.

Chiaramente l'“altro” è sempre stato un fantasma fittizio. Sì, c'erano persone reali in quell'altra tribù; persone, proprio come noi.

È stato il rapporto tra sé e l'altro che ha imposto loro quelle caratterizzazioni piuttosto bizzarre.

Ma guardate nel vostro cuore. Quante persone che, probabilmente inconsciamente e sicuramente involontariamente, conoscete e non date valore?

Se state riflettendo su questa domanda c’è un’implicita ammissione che tendiamo a disumanizzare le persone. È un'azione che ci viene naturale. Non ci mette affatto a disagio criticare le persone che spesso ci sono molto vicine.

Melanie Klein, contemporanea di Freud, ha coniato il concetto di seno buono/seno cattivo.

In un dato momento, il latte da un seno potrebbe scorrere più facilmente rispetto all'altro. Questo, ovviamente, viene percepito dal neonato. Nella sua mente, egli separa i due oggetti - seno destro e seno sinistro - in oggetti buoni e cattivi.

La cosa importante da ricordare riguardo alla teoria delle relazioni oggettuali è che in questo momento nella percezione del bambino NON C'È LA MADRE.

In altre parole, il bambino NON ha alcuna relazione con sua madre, ma solo con questi due OGGETTI, il seno buono e quello cattivo.

La madre nasce nella nostra coscienza solo quando il nostro cervello si sviluppa un po' e siamo in grado di percepire che esiste un essere completo, separato da noi, con cui interagiamo. Iniziamo a costruire una relazione con una persona, ma la nostra unica esperienza di relazione è stata con gli oggetti.

Quindi cosa facciamo? Facciamo della nostra madre un oggetto. E immaginiamo una relazione con questo oggetto. 

In quale altro modo possiamo percepire un altro essere umano?

Beh, c'è un altro modo per percepire la nostra relazione con un altro essere umano. Ma a volte è un lavoro difficile. In realtà la maggior parte delle persone è troppo pigra anche solo per provarci. Questo secondo modo di percepire la nostra relazione consiste nel percepire l'interconnessione tra noi stessi e l'altro.

Ogni persona con cui interagiamo NON È SOLO un oggetto, ma ha una propria esistenza, separata da noi, con cui interagiamo. Esistono sono anche altri esseri. C'è il cane, un albero. Cominciamo a renderci conto che siamo parte di una rete interconnessa che è l'universo.

Quando attraversiamo un momento difficile, tendiamo a tornare a questo modo precedente di percepire le cose, il modo infantile. Ad esempio: “Se qualcuno ci lascia, ci sentiamo come se fossimo gli unici al mondo ad essere lasciati”.

Questo è un esempio di come la nostra pratica delle relazioni “oggettuali” ci abbia condizionato a vivere in un mondo immaginario, solitario e piuttosto terribile. Il dolore sembra essere la caratteristica principale del modo infantile di percepire le cose. Dolore e ricerca assoluta, grandiosa e megalomane del piacere. Vogliamo succhiare quel seno buono e mandare al diavolo quello cattivo!

Ci sono dei fattori fisiologici nel nostro cervello e nel nostro corpo che riportano alla ribalta quella mente di un bambino di un anno.

Quando sentiamo che le persone sono lì per soddisfare i nostri bisogni, stiamo ricadendo in una fase precedente dello sviluppo. Non c'è niente di sbagliato in questo, ma è importante rendersene conto.

Mentre cresciamo entriamo in contatto con la nostra irrilevanza. La capacità di tollerare la nostra irrilevanza così come la nostra importanza, in modo sano piuttosto che impulsivo, è un lavoro che serve a guarire molto di ciò che non va nel mondo.

Siamo piuttosto chiusi, psicologicamente. Riceviamo molto poco dalla maggior parte delle nostre interazioni. Solo alcune delle nostre interazioni sembrano corrispondere a quella relazione infantile con l'oggetto in cui il seno soddisfa in un colpo solo tutti i nostri bisogni: di sostentamento, piacere e sicurezza. Ciò implica aprire completamente il contenitore della nostra coscienza e lasciar entrare TUTTA LA LUCE.

sabato 28 giugno 2025

Valori fluidi, pensieri instabili

 

Se aveste chiesto a un ateniese colto dell'antica Grecia quale fosse la vita ideale, avreste probabilmente ottenuto una risposta sicura. Forse diverse, ma tutte coerenti tra loro. Gli stoici vi avrebbero fornito una guida alla virtù e all'apatheia (stato di impassibilità o indifferenza di fronte alle passioni e agli eventi), un modo per affrontare il destino come una statua nella tempesta. 

Gli epicurei, al contrario, avrebbero tracciato un percorso più delicato, una mappa verso il piacere tranquillo, il desiderio moderato e l'evitamento del dolore. Aristotele, compiacendosi di dividere la differenza, offriva l'eudaimonia, una vita fiorente guidata dalla ragione e dall'eccellenza abituale.

Erano in disaccordo sulla strada da seguire, ma concordavano sull'idea: c'era un fine ultimo, e poteva essere conosciuto. L'etica non era un'improvvisazione, ma una forma di maestria. Una vita ben vissuta era una casa ben costruita.

Gli strumenti erano a portata di mano: ragione, virtù, autodisciplina. E non c'era vergogna nel costruire secondo uno schema, nell'emulare i saggi. Se non ci riuscivi, ti ricalibravi. Se soffrivi, lo inquadravi. Se ti perdevi, la mappa era sbagliata o la tua lettura lo era.

Questa chiarezza prescrittiva è sopravvissuta per secoli. Anche il cristianesimo medievale, sebbene metafisicamente diverso, ha conservato il modello del progetto. La vita aveva una direzione: verso Dio, attraverso la virtù, tramite la Chiesa. Le deviazioni erano peccati. Il progresso era un pellegrinaggio.

Poi, intorno all'Illuminismo, ci fu lo strappo.

La rottura non avvenne tutta in una volta. Kant cercò ancora di tracciare una geometria morale universale. Hegel abbozzò un'elaborata teleologia dello Spirito. Ma sempre più spesso la vita moderna cominciò ad assomigliare a un bazar di valori. Freud, Marx, Nietzsche: ognuno di loro distrusse i vecchi modelli con un martello. L'inconscio si fa beffe del controllo razionale. La storia è conflitto di classe. La moralità è risentimento.

Nel XX secolo, il valore stesso era diventato instabile. Si pensi agli esistenzialisti: Camus insiste che la vita non ha un significato intrinseco; Sartre sostiene che siamo condannati alla libertà. Il sé deve inventare sé stesso. Ma inventarsi come? Secondo quali criteri?

Oggi non ci sono più saggi. Non ci sono coordinate condivise. Ci sono solo influencer e terapisti dell'auto-aiuto o, se si è fortunati, un vecchio amico saggio che ascolta più di quanto parli.

Sei libero di scegliere la tua vita ideale, ma devi scegliere da un menu infinito. Senza uno standard condiviso, ogni scelta diventa isolante. L'impegno è perseguitato dallo spettro di tutti gli altri impegni che non hai preso. La paralisi da scelta non è uno scherzo; è l'acqua (piuttosto torbida) in cui nuotiamo.

C’è sentore di un certo malessere insito nella modernità: vogliamo significato ma diffidiamo dell'autorità. Vogliamo trascendenza ma evitiamo la religione. Ci viene detto di essere autentici, ma non ci viene dato alcun copione.

Il risultato è instabilità. Non proprio un fallimento, ma un movimento senza traiettoria. Le persone cambiano città, lavoro, ideologie, partner. Non perché sono superficiali, ma perché sono alla ricerca. O, più precisamente, perché ci si aspetta che siano alla ricerca di una identità.

Ci si sta spostando verso una modernità fluida in cui identità, istituzioni e relazioni perdono solidità. Tutto si sta dissolvendo. Il lavoro a vita diventa un lavoro occasionale. Il matrimonio diventa monogamia seriale. Il sé diventa un'immagine di profilo e un menu di impostazioni.

Un contadino medievale non si svegliava chiedendosi sé stesse vivendo la sua vita al meglio. Il suo programma di vita era prestabilito: lavorare sodo, obbedire alla Chiesa, morire bene. Un lavoratore della conoscenza moderno, al contrario, è tenuto a ottimizzare, riflettere, reinventare.

Questa identità gassosa è elogiata come liberazione. E per molti versi lo è. Nessuno vuole tornare al sistema delle caste, al patriarcato o al dominio clericale. Ma c'è un problema: non si può prosperare se si è sempre impegnati a ripiantare.

La virtù, l'abitudine, l'eccellenza: tutte richiedono tempo. Richiedono stasi. Ma la stasi sembra irresponsabile in un mondo definito dal cambiamento continuo. Fermarsi significa rimanere indietro. Impegnarsi significa rinunciare alle opzioni. Eppure la vita senza impegni, l'identità in continuo cambiamento, spesso diventa vuota. Non si sta prosperando, si sta aggiornando.

I livelli crescenti di ansia e depressione tra i giovani adulti riportano a un fattore considerato: la vertigine etica.

Se ogni valore è facoltativo, ogni decisione diventa esistenziale. Devo avere figli? Devo accettare il lavoro ben pagato che non amo? Devo trasferirmi in un altro paese?

Queste domande diventano metafisiche, oltre che logistiche.

E in assenza di un significato condiviso, la posta in gioco sembra infinita. La tua vita è la tela. Il pennello è nella tua mano. Se il dipinto viene male, di chi è la colpa?

Gli effetti sono evidenti nell'ascesa delle micro-identità. Le persone cercano rifugio nelle etichette: ENFP (attivisti, spiriti liberi), bio-hacking (riprogrammazione della mente e del corpo), sober-curious (sobrietà mentale). Si tratta di mode passeggere che fungono da strategie di sopravvivenza. Offrono struttura, narrativa, sintesi.

Ma rischiano anche di trasformare il sé in una collezione curata di frammenti. Una scheda del personaggio, non un personaggio.

C'è qualcosa che possiamo salvare dai modelli antichi? Sì, ma solo se li reinterpretiamo.

Lo stoicismo, ad esempio, acquista nuova rilevanza come strumento psicologico. La dicotomia del controllo, la visualizzazione negativa, il disagio volontario: sono tecniche utili in un mondo di incertezza. Non risolvono la crisi di significato, ma possono aiutarci ad affrontarne i sintomi.

Anche l'attenzione di Aristotele per l'abitudine e il carattere resiste all'esame critico. Ma il telos non può più essere dato per scontato. Deve essere scelto. Questo, di per sé, è un cambiamento radicale. La virtù antica richiedeva una sottomissione alla forma. La virtù moderna può richiedere un impegno senza fondamento.

Paradossalmente, l'impegno deve precedere la giustificazione.

Si sceglie di prendersi cura. Poi si costruisce una vita attorno a quella cura. Figli, arte, giustizia, scienza, amicizia. La buona vita non si trova. Si dichiara.

La bella vita, in questa prospettiva, è meno una destinazione che un ambiente. Non si arriva. Si partecipa.

Ma la partecipazione richiede esclusione. Non si può fare tutto. Non si può essere tutti. Il sé deve imparare a chiudere le porte.

È qui che il pluralismo reintroduce silenziosamente la gerarchia. Non una gerarchia morale, ma una necessità pragmatica. Bisogna scegliere una strada.

Viviamo in un'epoca in cui la buona vita non è data. Viene abbozzata, cancellata, rivista. Spesso in pubblico. Spesso sotto pressione.

L'etica antica presupponeva un mondo stabile. Il nostro è in continuo mutamento.

La bella vita è un obiettivo mobile. Ma bisogna comunque mirare.

venerdì 27 giugno 2025

L'Effetto Barca Vuota


Sei su una barca, remando lungo un fiume nebbioso. Tutto sembra lento. Ogni bracciata suona vuota. La nebbia è così fitta che non riesci a vedere oltre la prua della tua barca.

Poi, all'improvviso, un urto. Un'altra barca si schianta contro la tua.

Il cuore ti si ferma. Ti guardi intorno.

Vorresti gridare: "Qual è il problema?!", "Ehi, stai facendo attenzione?", "Non sai remare?!"

Il sangue ti ribolle. La rabbia ti attanaglia. L'adrenalina ti inonda il corpo.

Ma poi guardi più da vicino. E realizzi...

Non c'è nessuno nell'altra barca. È completamente vuota. Sta solo andando alla deriva, seguendo la corrente. Ti fermi. Il tuo battito rallenta. Espiri.

Non c'è nessuno da incolpare. Nessuna frecciatina deliberata. Nessuna mancanza di rispetto. Solo una barca che si muove nella nebbia.La tua rabbia si dissolve.

Quel momento, quella pausa, è l'effetto barca vuota.

Viviamo in un mondo ossessionato dalla cattiveria, dall'offesa e dal senso di colpa. Siamo addestrati a presumere che qualcuno ci abbia fatto del male di proposito:

L'autista che ti taglia la strada = "È aggressivo e sconsiderato".

L'amico che non ti ha risposto = "Non gli importa di te".

Ma ecco il punto: la maggior parte delle persone ti ferisce involontariamente. Galleggiano nella loro nebbia: stressate, inconsapevoli, distratte. Le loro azioni sembrano dirette a te, ma non lo sono.

Questo è l'Effetto Barca Vuota nella vita di tutti i giorni: riconoscere che alcune collisioni avvengono per caso, non per scelta.

La tua reazione predefinita è presumere l'intenzione. È un trucco per sopravvivere. Se qualcuno ti urta di proposito, devi reagire: difenderti, rivolgerti a qualcun’altro, ritirarti.

Questo va bene se l'hanno fatto deliberatamente.

Ma ecco il problema: scateniamo comunque la nostra reazione di lotta, anche quando si tratta solo di una barca vuota che passa alla deriva

Questo significa che bruci inutilmente di rabbia. Sprechi energie in litigi che non contano.

Costruisci muri con persone che non avevano alcuna intenzione di farti male.

È come colpire ogni uccello che svolazza: estenuante e inutile.

Si aggiunge la finzione che si sovrappone alla Realtà: "Hanno fatto allusioni per farmi sentire piccolo.", "Mi hanno tagliato fuori perché pensano di essere migliori di me."

"Non mi hanno prestato attenzione perché non conto per loro."

In realtà (Ciò che probabilmente è successo).

Intendevano altro. Erano occupati in altre questioni. Avevano altre urgenze.

La maggior parte degli "attacchi" non sono attacchi veri e propri, sono incidenti avvolti nell'emozione; accadono in situazioni diverse.

Al lavoro: il manager scatta, te la prendi sul personale.

Online: Qualcuno commenta i tuoi pensieri, ti senti esposto.

Nelle relazioni: il partner dimentica qualcosa di importante, ti senti non amato.

In pubblico: degli sconosciuti ti interrompono, ti urtano o ti passano accanto, lasciandoti carico dell'offesa.

In ogni caso, la tua interpretazione aggrava il danno. Nel momento in cui attribuisci un'intenzione, intensifichi il dolore e gli dai spazio.

Smetti di bruciare calorie in litigi inutili. L'energia interiore è limitata: perché sprecarla in barche vuote? La tua empatia cresce. Vedi gli altri come persone reali che vagano nella nebbia, non come combattenti nemici.

Sei più calmo, più lucido e reagisci con decisione, perché non ti senti più provocato da ogni urto.

L'effetto barca vuota non significa lasciarsi calpestare. Se qualcuno ti fa del male deliberatamente, denuncialo, proteggiti, stabilisci dei limiti.

Ma l'80-90% degli ostacoli che incontri? Sono barche vuote. Trattarli come minacce distrugge inutilmente la tua pace.

Ecco un episodio di barca vuota di cui io stesso sono stato vittima:

Era una giornata calda e passando davanti a una gelateria ebbi il desiderio di rinfrescare la bocca con un bel gelato.

Il chiosco era affollato da altre persone che volevano soddisfare il mio stesso desiderio, così pazientemente attesi il mio turno. Qualche minuto dopo ero con il mio cono gelato in mano in procinto di gustarlo, quando alle mie spalle un uomo con una gomitata mi fece sollevare il braccio fino a portarmi il gelato spiccicato sulla bocca.

In quel momento, la seconda guerra mondiale era ben poca cosa rispetto a ciò che mi stava succedendo. Fortunatamente, la persona responsabile di quell’atto si scusò immediatamente così da spegnere la miccia che conduceva allo scoppio di rabbia.

Immaginate quale sarebbe stata la mia reazione se quella persona non avesse avuto la consapevolezza dell’atto per cui non avrebbe potuto scusarsi?  

La vita di uno è un insieme di mine emotive. Il tuo mondo non sarà mai privo di collisioni.

Ci saranno sempre stress, rischi, errori e urti.

Le barche vuote non meritano il tuo dolore. Ma prenderle consapevolmente sul personale sarebbe un tuo errore.

Quando padroneggi l'Effetto Barca Vuota, non ti limiti a deviare il fastidio, ma costruisci la sovranità emotiva. Il mondo ti lancerà barche contro ogni giorno. Alcune sono piene di cattive intenzioni. Quelle le fermi. Ma la maggior parte? Sono vuote.

Lasciale andare alla deriva. Conserva il tuo fuoco per le vere battaglie.

È lì che si svolge la tua vita.

Non affidare la tua pace a una barca vuota.

 

giovedì 26 giugno 2025

Il giusto mezzo

 

Aristotele credeva che la virtù si trovasse nel mezzo di due estremi, che egli descriveva come vizi. Da un lato c'è la carenza, ovvero troppo poco di qualcosa, dall'altro l'eccesso, ovvero troppo. Questi estremi offrono false scelte: o tutto o niente. Nessuna sfumatura. Nessuna via di mezzo. I risultati sono quasi sempre negativi, per noi stessi e per gli altri.

Ciò è particolarmente vero per i leader, dai quali ci si aspetta che agiscano in modo saggio, misurato e ponderato. La leadership presuppone un impegno stabile e costruttivo, piuttosto che essere sballottati da un lato all'altro dalle ombre interiori ingestibili e indomabili con cui tutti noi lottiamo. Quando i leader non riescono ad affrontare il loro disordine interiore - e le contraddizioni che spesso pullulano al suo interno - inevitabilmente proiettano quel disordine sugli altri. È raro che qualcuno rimanga a lungo destabilizzato interiormente senza destabilizzare tutto ciò che lo circonda. Il caos interiore provoca il caos nel mondo esterno.

Abbiamo bisogno di una soluzione, ma anche in questo caso potremmo essere tentati dagli estremi. La verità è questa: i leader non possono permettersi di perdersi nel loro mondo interiore. Questo tipo di introspezione porta a trascurare le persone e gli impegni che i leader sono chiamati a gestire. Allo stesso tempo, concentrarsi eccessivamente sui risultati esterni ignorando la propria vita interiore non è nobile abnegazione, ma evasione mascherata da virtù.

La responsabilità ci chiama a una via di mezzo radicale, radicale perché non è né popolare né facile. Questa vocazione alla via di mezzo non deve essere confusa con un atteggiamento tiepido o privo di principi. Si tratta piuttosto di un modo vigile e attento di essere nel mondo, che tiene traccia della nostra tendenza a diventare o senza limiti o isolati.

Gli estremi, e le loro conseguenze, diventano particolarmente evidenti quando esaminiamo il mondo dei valori: le convinzioni profondamente radicate, sia consce che inconsce, che animano le nostre decisioni e le nostre interazioni con gli altri.

Prendiamo ad esempio il coraggio. 

Troppo poco coraggio porta alla codardia, ovvero all'incapacità di affrontare i problemi che rientrano nella nostra sfera di controllo o influenza perché siamo sopraffatti dalla paura: paura di perdere potere, status o risorse. È la riluttanza a fare la cosa giusta quando conta di più. Come i leader politici negli Stati Uniti che evitano conversazioni difficili con i loro elettori, o i dirigenti di alto livello che non affrontano comportamenti problematici nelle loro file perché temono ripercussioni negative.

Troppo coraggio porta all'incoscienza e all'arroganza, dove non valutiamo adeguatamente i rischi e gettiamo al vento la prudenza, quasi sempre con conseguenze negative. Il coraggio senza saggezza può essere mortale.

Passiamo ora a un altro valore essenziale, ma spesso frainteso e abusato: l'empatia.

Troppa poca empatia crea insensibilità, ovvero mancanza di consapevolezza o preoccupazione per le esperienze e le sofferenze altrui. Questa insensibilità è spesso selettiva, modellata da pregiudizi e alterità. È il tipo di pensiero che permette di accumulare ricchezza, ignorare il dolore o ignorare i danni sistemici. È ciò che permette ad alcuni medici di minimizzare il dolore dei pazienti in base alla loro razza, genere o classe sociale.

Troppa empatia crea un coinvolgimento emotivo eccessivo, in cui ci identifichiamo troppo con gli altri e non riusciamo a mantenere i confini o la distanza critica. Può erodere la responsabilità: giustifichiamo i comportamenti scorretti nostri o degli altri.

Un altro modello che ho osservato, in me stesso e negli altri, è l'oscillazione tra l'assunzione insufficiente e l'assunzione eccessiva della responsabilità per il danno causato. L'assunzione insufficiente è paradossale: causiamo un danno, lo neghiamo e ci concentriamo esclusivamente su come gli altri ci hanno danneggiato. Ciò si basa sull'illusione di un'innocenza perpetua.

L'assunzione eccessiva è altrettanto problematica. Gonfia il nostro potere mentre diminuisce l'autonomia degli altri. A prima vista, può sembrare nobile assumersi la piena responsabilità di una dinamica relazionale, ma così facendo si rischia di infantilizzare gli altri e di oscurare il loro ruolo.

Questo dilemma tra carenza ed eccesso è ovunque. Deriva dalla nostra tendenza al pensiero binario: “la mia sopravvivenza o la tua”, “la mia pace o la tua”, “la mia vita o la tua”. Sebbene seducenti, questi binari non sono fonte di vita. Emergono dai nostri istinti inferiori, non dalla nostra mente superiore. Riflettono la scarsità, non l'abbondanza. E causano il caos nelle nostre relazioni, nelle organizzazioni e nella società. Questa dinamica diventa più evidente quando esaminiamo il rapporto tra ascoltare e dirigere.

mercoledì 25 giugno 2025

Il miracolo della passeggiata

 

Camminare è naturale per un essere umano quanto respirare. Facciamo una passeggiata per andare al negozio più vicino, a volte camminiamo per andare al lavoro, facciamo una passeggiata quando ci sentiamo ansiosi e a volte camminiamo per dimenticare i nostri problemi.

Camminare rigenera. Dopo una giornata stressante al lavoro o quando hai un blocco mentale, una pesantezza di testa, una passeggiata fa miracoli.

Anche il filosofo svizzero Jean Jacques Rousseau era un appassionato camminatore. Lo consideriamo solo un letterato e una figura chiave dell'Illuminismo. In realtà, gli piaceva fare lunghe passeggiate. Ha persino pubblicato un libro sul camminare. Camminare era terapeutico anche per lui. Ma oltre a questo, filosofeggiava sul camminare. 

Egli affermava: “Non ho mai pensato così tanto, esistito così tanto, vissuto così tanto, essere stato così tanto me stesso... come nei viaggi che ho fatto da solo e a piedi”.

Rousseau camminava senza sosta. All'epoca, camminare non era una scelta, era l'unico modo per raggiungere la destinazione oltre alle carrozze, ma lui detestava viaggiare in carrozza. C'è stato un periodo in cui ha camminato per sei miglia da Parigi a Vincennes solo per visitare il suo amico Denis Diderot, che era in prigione. Per lui era una cosa normale.

A pensarci bene, non c'erano strade asfaltate, solo strade sterrate. Era una sfortuna nella stagione delle piogge per la presenza di pozzanghere e fango ovunque. 

Non c'erano scarpe da ginnastica o abiti per correre. Si indossava solo cappotti lunghi e tacchi. Immaginate come Rousseau riesciva a cavarsela in quelle condizioni, eppure amava camminare comunque.

Ma camminare è un'esperienza completamente diversa, perché si provano pensieri diversi, come un flusso di coscienza che ti porta avanti e indietro, attraverso lo spazio e il tempo, e una catena non lineare di eventi o ricordi mentre ti dirigi verso la tua destinazione.

Non c'è da stupirsi che così tanti filosofi camminassero. Socrate, ovviamente, non amava nulla più che passeggiare nell'agorà. 

Nietzsche intraprendeva regolarmente vivaci escursioni di due ore sulle Alpi svizzere, convinto che tutti i pensieri veramente grandi siano concepiti camminando.

Thomas Hobbes aveva un bastone da passeggio fatto su misura con un calamaio portatile attaccato, in modo da poter registrare i suoi pensieri mentre camminava. 

Thoreau faceva regolarmente escursioni di quattro ore nella campagna di Concord, con le sue ampie tasche traboccanti di noci, semi, fiori, punte di freccia indiane e altri tesori. 

Immanuel Kant, naturalmente, manteneva una routine di camminata altamente regolamentata. Ogni giorno, pranzava alle 12:45, poi partiva per una passeggiata di un'ora - mai di più, mai di meno - sullo stesso viale di Königsberg, in Prussia (ora Russia). La routine di Kant era così irremovibile che gli abitanti di Königsberg regolavano i loro orologi in base alle sue passeggiate

Ma naturalmente nulla è paragonabile a Rousseau. Camminava regolarmente venti miglia in un solo giorno. Una volta percorse trecento miglia da Ginevra a Parigi. Ci mise due settimane.

Ora che molte persone lavorano da casa rinunciano anche a quelle passeggiate che servivano per arrivare nei posti di lavoro. Possono passeggiare soltanto con la mente e riflettendosi nell’immagine dei loro cellulari o dei computer da scrivania.

Non c’è da stupirsi quando si lamentano di soffrire di depressione o ansia.

Nei miei anni migliori non ho mai rinunciato alle lunghe passeggiate mattutine. In quelle occasioni trovavo soluzioni a molti dei miei problemi. Restavo sorpreso dalla banalità delle soluzioni scoperte e non mi spiegavo perché non ci avevo pensato prima.

In questi tempi turbolenti, se vuoi semplicemente allontanarti dai tuoi problemi, o anche trovare una felicità solitaria, allora vai a fare una passeggiata e pratica la consapevolezza o semplicemente vagabondando nei tuoi pensieri profondi.

Per Rousseau, bastava camminare. “Posso meditare solo quando cammino, quando mi fermo smetto di pensare; la mia mente funziona solo con le mie gambe”.

Anche Nietzsche crede che camminare sia terapeutico, affermando: “C'è più saggezza nel tuo corpo che in tutta la tua filosofia”.

lunedì 23 giugno 2025

Perchè alcuni nomi suonano piacevoli?

 

Avete mai notato come alcuni nomi vi danno una sensazione piacevole contrariamente ad altri?

Molti genitori si tormentano su come chiamare il proprio figlio/a perché ci rendiamo conto che spesso è la base della prima impressione. 

I nomi resi famosi (o famigerati) da personaggi famosi della finzione o del mondo reale possono inconsciamente suscitare emozioni legate a quel personaggio. È inquietante che i nomi possano anche provocare pregiudizi impliciti nei confronti di individui sulla base di stereotipi razziali ed etnici.

I nomi unici sono in aumento, nonostante gli studi suggeriscano che i nomi comuni conferiscano vantaggi significativi. Essendo familiari, i nomi semplici e comuni tendono a generare fiducia e cameratismo. 

Uno studio ha dimostrato che siamo più altruisti nei confronti di coloro che condividono il nostro nome. Un altro ha dimostrato che gli immigrati che hanno americanizzato i loro nomi hanno avuto più successo nel loro nuovo paese.

Altri potenziali svantaggi di un nome unico includono la pressione di distinguersi dalla massa o il narcisismo.

Alcuni ricercatori hanno suggerito che il nome di una persona può diventare una profezia che si avvera, predicendo la sua vocazione nella vita. Questo concetto è chiamato determinismo nominativo.

Un altro studio suggerisce che le persone tendono a modificare il loro aspetto per essere in sintonia con il loro nome.

Come padre sono affascinato dalla psicologia alla base della scelta del nome di un bambino e dal modo in cui quel nome viene percepito. 

Studi recenti suggeriscono che i singoli componenti sonori di una parola, compreso il nome di una persona, scatenano sentimenti inconsci nel nostro cervello.

Alcuni suoni, o fonemi, sembrano avere un significato specifico. I ricercatori hanno dimostrato che le persone associano le parole inesistenti a determinate forme. I partecipanti associano una parola inventata come “Bouba” a forme rotonde e “Kiki” a forme appuntite. Questo fenomeno è stato soprannominato effetto Bouba/Kiki.

Il cervello umano sembra essere stato programmato dall'evoluzione per rispondere a determinate onde sonore e ritmi. Alcuni suoni particolari sono fondamentali per la sopravvivenza; ad esempio, un urlo indica pericolo, mentre una risata può allentare la tensione in una situazione difficile. Onde sonore specifiche inducono risposte conservate nel cervello, il che fa pensare che il nome di una persona possa suscitare sensazioni universali quando viene ascoltato.

Quindi nomi come Sonia, Alberto, Biagio, Serena suonano “morbidi” mentre Carlo, Teresa, Katia, Corrado, hanno accezioni più “dure”.

Le persone associano metaforicamente qualità, come la bruschezza o la morbidezza, purezza (Bianca, Rosa, Margherita), l’allegria (Gaia, Valeria, Viviana), la socievolezza (Domenico, Francesca) a tratti caratteriali della persona che porta quel nome.

Le qualità di serenità, umiltà, dolcezza sono richiamate dai nomi di Antonio, Matteo, Giovanni, Tommaso, Paolo, vera, Stefania. Ovviamente, non è possibile nominare tutti i nomi, ma è facile intuire quali possono essere associabili a determinate caratteristiche caratteriali.

Alcuni nomi suonano più piacevoli alle nostre orecchie perché evocano immagini e sentimenti che in qualche modo ci fanno sentire bene.

I risultati di una ricerca fatta in USA e In Gran Bretagna, hanno indicato che Sofia/Sonia, come uno dei nomi più belli, poiché si rifanno al significato di “saggezza” in greco.

Il nome Sofia/Sonia contiene una combinazione di suoni che il cervello percepisce come piacevoli, grazie alla loro fluidità e morbidezza.

Zoe si è classificato al secondo posto per le ragazze in entrambi i paesi.

In definitiva, quando i genitori scelgono un nome per il proprio figlio/a, si augurano di consegnare al nascituro le qualità che loro “sentono” associate a quel nome.

 

La potenza delle sane abitudini


 

Tutti diciamo di volere una vita migliore. Purtroppo, però, molto spesso non riusciamo a raggiungere i nostri obiettivi. Ci adeguiamo al livello delle nostre abitudini. 

Non sei tu a decidere il tuo futuro, ma le tue abitudini. L'attore e autore F.M. Alexander osserva: “Le persone non decidono il loro futuro, decidono le loro abitudini e sono le loro abitudini a decidere il loro futuro”.

Vuoi un futuro migliore? Inizia osservando la tua giornata. Non il tuo piano quinquennale. Osserva le tue abitudini mattutine. Le tue abitudini lavorative. Cosa mangi. Come parli a te stesso. Come gestisci lo stress.

Sono questi comportamenti a decidere il tuo futuro. È tutto collegato.

Le abitudini sono come la gravità. Non le vedi, ma ti trascinano da qualche parte. Scegli quelle giuste e arriverai in un posto fantastico. 

Non si decide di avere una relazione fantastica o amicizie solide dal nulla. Si decide di essere presenti in modo costante. È questo che mantiene vive le tue relazioni sociali.

Cosa fai ogni giorno per costruire il tuo futuro ideale?

Perché il futuro è la tua prossima decisione. La tua prossima abitudine. La tua prossima routine. Alle abitudini non importa come ti senti. Ecco perché sono così potenti. Sono silenziose. Ma si manifestano ogni volta. E si accumulano a tuo favore o contro di te.

Se la prima cosa che si fa al mattino è prendere il telefono e scorrere i social media per soli dieci minuti, si sta costruendo una scala di distrazioni. Quell'abitudine toglie concentrazione ed energia preziose. E soprattutto tempo annebbia la giornata ancor prima che inizi. Nel corso di settimane e mesi, sono ore perse.

Come dice Charles Duhigg in The Power of Habit, “Le abitudini sono l'architettura invisibile della vita quotidiana”. Sono la scala del tuo futuro, che tu lo veda o meno. 

Le prime cose che fai al mattino possono determinare il tuo umore, la tua produttività e persino la tua giornata. Le tue abitudini sono voti per la persona che stai diventando. 

Una piccola abitudine, fatta ogni giorno, sembra insignificante. Ma col tempo? Il guadagno è enorme. Buono o cattivo che sia. Le buone abitudini ti costruiscono. Le cattive abitudini ti distruggono. E lo fanno lentamente, il che le rende potenti.

Le tue abitudini ti stanno avvicinando alla vita che desideri o allontanando da essa? Questa è la domanda che ci si dovrebbe porre.

Prima creiamo le nostre abitudini, poi le nostre abitudini creano noi.” Lo ha detto John Dryden. È una saggezza vecchio stile. Ma il messaggio è lo stesso.

Semina un'azione, raccogli un'abitudine.” - Stephen Covey 

Il tuo futuro non è un grande mistero. È già in movimento. È determinato da ciò che stai facendo oggi, questa settimana, in questo momento. È nelle tue abitudini.

Si costruisce una piccola abitudine alla volta. Non sei vittima del destino. Il tuo futuro è la somma di piccole azioni ripetute. Se leggi 10 pagine al giorno, alleni la concentrazione. Le piccole scelte si sommano. Un miglioramento dell'1% al giorno porta a una crescita di 37 volte in un anno. Un calo dell'1% porta a quasi zero.

Le abitudini diventano altre cose.

Per prendere in mano il tuo futuro, elimina gli attriti.

Vuoi leggere di più? Lascia i libri dove puoi prenderli facilmente per leggerli.

Vuoi mangiare sano? Metti la frutta all'altezza degli occhi. Usa dei segnali.

Tutto ciò che non cambi, lo stai scegliendo.

Esamina le tue abitudini.

Ecco un esempio: Paolo ha sostituito il telefono con la lettura. Ha letto cinque pagine al giorno. In un anno ha letto più di 10 libri. Semplicemente utilizzando i piccoli intervalli di tempo durante la giornata. Questa abitudine lo ha reso più intelligente, più calmo e più curioso.

Si può scegliere un'abitudine, iniziando in piccolo e mantenerla. Gli effetti che si producono vanno a catena.

Le abitudini sono difficili da rompere o costruire. Ecco perché vale la pena renderle così facili da diventare impossibili da fallire. 

Occorre essere paziente e intenzionale. Smettere o iniziare qualcosa di nuovo non è una decisione che si prende in un giorno

È una lotta quotidiana piena di ostacoli in cui si richiede di non mollare.

Continua a impegnarti, anche quando sei insicuro. Ogni abitudine “fallita” contribuisce comunque a rafforzare la tua resilienza. 
La disciplina è semplicemente scegliere tra ciò che vuoi ora e ciò che desideri di più. 
Gioca sul lungo termine. Non vedrai risultati domani, ma nel tempo le tue buone abitudini avranno riscritto la tua vita.
 

domenica 22 giugno 2025

Treno in corsa ... saltare per salvarsi



Mentre il treno che trasportava i prigionieri ebrei attraversava senza pietà il Belgio diretto in Polonia passando per la Germania, una giovane donna ebrea si trovò di fronte a una scelta molto difficile.

Doveva saltare mentre il treno era ancora in Belgio, dove la popolazione locale comprensiva avrebbe potuto aiutarla, o aspettare e rischiare di trovarsi completamente indifesa in Germania? E se avesse saltato, che ne sarebbe stato del suo fragile padre morente, seduto accanto a lei e con cui si era appena ricongiunta?

Klara Prowisor scelse di saltare, insieme al marito, una decisione emotivamente devastante, ma che permise a Klara di vivere abbastanza a lungo da raccontare la sua straordinaria storia di resilienza al regista italiano Matan Rochlitz, che la immortalò nel cortometraggio “I have a message for you” (Ho un messaggio per te).

Quando Rochlitz visitò la casa di Klara a Tel Aviv nel 2017 per registrare la sua storia, si trovò di fronte una donna di 92 anni in una bella casa piena di opere d'arte colorate alle pareti, foto della sua infanzia, cuscini morbidi, copriletti e segni evidenti di una vita agiata.

Klara è cresciuta in Belgio e ha seguito una formazione come assistente d'ufficio presso la società “Lindor”, mentre sua sorella Edith ha frequentato corsi di cucito. Nel 1942 Klara ha sposato Phillipe. La coppia ha vissuto solo un anno felice insieme prima che la loro vita cambiasse drasticamente con il loro arresto nel 1943.

Quando i tedeschi occuparono il Belgio nel maggio 1940, il governo belga fuggì a Londra e l'amministrazione militare tedesca iniziò immediatamente a introdurre leggi e ordinanze antiebraiche. Privarono gli ebrei dei loro diritti, confiscarono le loro proprietà e li bandirono da molti lavori. Gli ebrei furono anche costretti ai lavori forzati, che spesso erano un espediente per mandarli nei campi di concentramento.

Klara ricorda il giorno in cui la sua cara sorella Edith ricevette un biglietto che le intimava di presentarsi al “lavoro”. Klara era molto spaventata e la pregò di non andare, ma Edith lo fece e non tornò mai più. Si ritiene che sia morta in un campo di concentramento. 

Klara raccontò che i tedeschi rivelarono lentamente i loro piani per gli ebrei e che non furono sempre così aggressivi nei loro confronti. In realtà “avevano le mani in guanti di velluto e quando i guanti venivano tolti erano dei criminali... Il loro obiettivo era annientarci”.

Nel campo di transito di Mechelen, Klara ebbe un incontro agrodolce con suo padre, che era stato arrestato mesi prima.

Quando Klara e Phillipe arrivarono a Mechelen, terrorizzati dopo essere stati arrestati, lei vide suo padre lì. Era stato arrestato alcuni mesi prima e Klara fu confortata nel vederlo. Tuttavia, questo conforto fu di breve durata, poiché furono tutti caricati su treni diretti ad Auschwitz.

Poiché Mechelen era solo un campo di transito, tutti i prigionieri sapevano che prima o poi sarebbero stati mandati alla loro destinazione finale. I nazisti avevano scelto Mechelen come sede del campo di transito per motivi strategici, poiché era una zona in cui vivevano quasi tutti gli ebrei del Belgio.

A Mechelen arrivarono migliaia di prigionieri, tra cui ebrei, prigionieri politici e zingari, e 26.053 furono deportati da lì. Mechelen inviò 28 convogli ferroviari ad Auschwitz e, delle 567 persone che riuscirono a fuggire da questi treni, una era Klara Prowisor.

Le condizioni nei treni dell'Olocausto sono ben documentate per essere assolutamente atroci. Le persone erano ammassate come bestiame, con un solo secchio posto in un vagone per 50 persone. 

Simon Gronowski, un altro sopravvissuto che come Klara saltò giù da un treno diretto ad Auschwitz, ricorda l'orrore di quella situazione: niente cibo, niente da bere, nessun posto dove sedersi o sdraiarsi. Klara fu costretta a prendere la decisione più difficile della sua vita

Klara era quindi sul treno per Auschwitz con suo marito e suo padre malato. Suo padre stava bene a Mechelen, ma lei dice che non appena ha saputo che sarebbe salito sul treno, è stato come se avesse evocato una malattia su sé stesso.

Lei pensa che abbia voluto ammalarsi, morire naturalmente, per non dover vedere cosa gli riservava il futuro. A prescindere da questa analisi, Klara era terrorizzata all'idea di saltare dal treno e lasciarlo lì. Si era appena ricongiunta con lui e le sembrava una cosa terribile da fare.

Suo marito, disperato di sopravvivere, continuava a spiegarle che dovevano saltare mentre erano ancora in territorio belga, perché più avanti sarebbero stati in Germania, dove nessuno li avrebbe aiutati. In Belgio, i membri della resistenza li avrebbero nascosti. 

Klara racconta di aver agonizzato su cosa fare e in un improvviso momento di lucidità guardò suo marito e disse che avrebbe saltato... se avesse riflettuto troppo a lungo sarebbe stato troppo tardi. E in quel momento, mentre scivolava tra i vagoni, schivando i colpi delle SS e saltando, Klara fece la scelta più straziante della sua vita, che l'avrebbe perseguitata per sempre.

Klara e Phillipe non rivelano molto su come hanno vissuto gli anni della guerra, se non che sono rimasti nascosti presso famiglie belghe fino alla fine del conflitto.

Dopo aver vissuto per alcuni anni a Etterbeek, nei pressi di Bruxelles, la coppia emigrò a Tel Aviv, in Israele. Gli occhi di Klara si riempiono di lacrime mentre guarda nella telecamera e dice: «Ed eccoci qui. Nella nostra casa. È stato un viaggio terribile arrivare fin qui». Un viaggio fatto di difficoltà, traumi e il peso di dover affrontare il senso di colpa per le sue scelte.

Ma per fortuna, in un momento di commovente serendipità, Klara e Phillipe furono avvicinati da una sconosciuta mentre erano in vacanza in Israele prima di trasferirsi lì nel 1962. 

Una donna olandese la fermò e le disse che la stava cercando da tanto tempo, che l'aveva riconosciuta dal treno da Mechelen ad Auschwitz di quasi 20 anni prima. Continuò dicendo che ricordava suo padre sul treno e come lui aveva iniziato a chiamarla quando si era svegliato dal sonno.

I passeggeri gli dissero che lei si era buttata, e suo padre, un uomo malato che da giorni non era più lucido, ebbe improvvisamente un momento di lucidità per esprimere quanto fosse felice. 

Disse: “Se la vedi, dille che sono il padre più felice del mondo. Sono contento che si sia buttata”. 

Questo incontro casuale con una sconosciuta in Dizengoff Street ha dato a Klara la chiusura e la guarigione di cui aveva disperatamente bisogno.

Ha sentito un peso sollevarsi dal petto quando ha sentito quelle parole e si è sentita ancora più sollevata quando la donna le ha detto che suo padre non era mai arrivato ad Auschwitz, ma era morto sul treno. 

Era sollevata dal fatto che non avesse sofferto e che non le avesse serbato rancore per aver scelto di saltare. Pensa che questo messaggio sia stato un dono per lei, un immenso sollievo e una benedizione.


sabato 21 giugno 2025

Per te, Connor

Connor 


 

Quanto ci restava ancora

tu lo sapevi già.

Non segnava più tempo

la luce del sole: rischiarava appena

poi riportava penombra.

Nei tuoi occhi un tremore,

nel mio sguardo un sussulto.

Incredula guardai l’orologio

con le lancette immote: era il segno.

La tua anima non vide più ritorno

e si abbandonò nelle braccia amorose.

Nella pallida alba di settembre

un groviglio di ricordi mi sfiora la pelle

 come uccelli in una voliera al riparo dall’oblio.

In lontananza si ode il grido di un corvo

alzo gli occhi ad un cielo bambino

e ti rivedo addormentato per sempre nel mio cuore,

stringendomi di lacrime.

 di Giovanna Sgherza 

venerdì 20 giugno 2025

È in arrivo il nuovo lavoro di Fabio Squeo


 

Dopo il successo “L'altrove della mancanza nelle relazioni di esistenza. Heidegger, Lacan, Sartre, Lévinas”, 

FABIO SQUEO ritorna ai suoi lettori con un compedio filosofico 

“LO SGUARDO NEL TEMPO DELLA FILOSOFIA” 

Qui spiega la filosofia dei grandi filosofi, sia del passato, sia contemporanei e concedendosi anche ad autori non propriamente filosofi, ma figure che hanno lasciato il segno nella storia del pensiero (Totò, Madre Teresa di Calcutta, Giovanni Bosco, Primo Levi, Alda Merini, De Crescenzo, altri ancora).

La presentazione è snella, efficace e trascina piacevolemente il lettore nel mondo delle idee. L’obiettivo non è stato quello di sviluppare un trattato filosofico, ma è stato puntato nel focalizzare il pensiero centrale della teoria di ogni autore trattato.

Fabio non si è limitato a presentarli ma ha tenuto parallelismi tra le diverse teorie, lasciando intravedere una dialettica che affascina. 
Ogni saggio si conclude traendo gli insegnamenti che il filosofo in esame ha lasciato ai posteri. 
Non si tratta di leggere il libro tutto di un fiato, ma si presta per la degustazione del pensiero da prendersi un po' per volta nei momenti di serenità.
 
La pubblicazione è prevista per la metà di Luglio. 
 

Attori della propria felicità

 

Se desideri essere felice, devi semplicemente iniziare con il voler essere felice. Ma il più delle volte ci ritroviamo intrappolati nella nostra infelicità. La fissiamo, ci rimuginiamo sopra e lasciamo che ci consumi. Quello che devi fare invece è ritagliarti del tempo per te stesso ogni giorno, non importa se sono solo 15-20 minuti o un'ora circa, per allontanarti dallo stress. Concedi alla tua mente una pausa.

Quando ti aspetti un fallimento, di solito fallisci. Ma se credi di poter vincere, aumenti le tue possibilità di vittoria. Questa convinzione è importante. Anche medici e psicologi sostengono che preoccuparsi può effettivamente danneggiare il corpo e accorciare la vita. Quindi è importante liberare la mente, soprattutto prima di andare a letto.

Norman Vincent Peale, nel suo libro Il potere del pensiero positivo, ne parla molto. Uno dei punti chiave è che sei tu a decidere della tua felicità. La maggior parte dell'infelicità è il risultato di pensieri negativi: rimuginare su ciò che è andato storto, provare risentimento o semplicemente essere scontrosi. Quindi, se la tua mente è invasa da questo tipo di pensieri, non dovrebbe sorprenderti essere infelice.

Ma puoi cambiare questa situazione. Devi sfidare te stesso a pensare in modo diverso. All'inizio non è naturale. Devi sperimentare cose come ascoltare musica, fare attività fisica, andare in palestra, stare con persone che ti fanno ridere. All'inizio sembra falso o artificiale. Ma se continui a farlo, le sensazioni positive diventano più naturali.

Ci sono cose belle ovunque guardi. Il sole splende. Gli uccelli cantano. Il calore del sole sulla tua pelle: è tutto lì. Devi solo prestare attenzione. Cambia la tua mente da negativa a positiva. Se ti ritrovi bloccato in un cattivo umore, ti senti arrabbiato, in colpa o spettegoli, fermati. Spegnilo. Decidi di pensare a qualcosa di positivo. All'inizio non ti sembrerà normale, ma fallo comunque. Gran parte dell'ansia esiste perché ci preoccupiamo di cose che non siamo in grado di controllare. È energia sprecata.

Stephen Covey parlava di due cerchi: il cerchio delle preoccupazioni e il cerchio dell'influenza. Usa la tua energia su ciò su cui hai influenza. Lascia andare il resto.

Per affrontare l'ansia, rallenta. Prova a meditare o semplicemente a sederti in silenzio per 15 minuti al giorno e lascia che la tua mente si rilassi. Pensa a cose serene. Visualizza te stesso in un luogo tranquillo: un posto di vacanza che ti è piaciuto, l'oceano, la sabbia sotto i tuoi piedi. Puoi farlo ovunque, anche al lavoro. Basta chiudere gli occhi e visualizzare.

Trova ogni giorno il tempo per staccare dallo stress. Che si tratti di fare esercizio fisico, praticare yoga, fare una passeggiata o semplicemente respirare, l'importante è fare ciò che funziona per te. Dai alla tua mente un po' d'aria.

Un altro atteggiamento positivo è quello di anticipare le cose belle. Anticipa il successo. Se anticipi che accadranno cose brutte, di solito accadono. Ma se anticipi il meglio, lo otterrai più facilmente. La tua mente genera semi con ogni pensiero, quindi semina quelli positivi. Se qualcosa va storto, consideralo una lezione. La vita sta cercando di insegnarti qualcosa, non di punirti. Le battute d'arresto possono portare a scoperte importanti.

Preoccuparsi ti prosciuga fisicamente. Quindi libera la mente la sera. Visualizza le tue preoccupazioni che ti abbandonano come l'acqua da un bicchiere. Sostituisci le preoccupazioni con la speranza. Fissa degli obiettivi: denaro, salute, carriera. Qualcosa per cui lottare. Avere qualcosa a cui mirare ti fa sentire più forte e più in controllo.

Raccogli tutti i fatti. Mettili nero su bianco. Pensa con lucidità. A volte, basta una semplice passeggiata all'aria aperta per schiarirsi le idee. Prega o rifletti, se è nel tuo stile. Fidati del tuo istinto, del tuo intuito. Hai dei talenti dentro di te: ascoltali. Se ti ritrovi in un lavoro che non ti rende felice, chiediti in cosa sei davvero bravo.

Se ti senti perso, prova a scrivere i tuoi pensieri. Lascia che i pensieri fluiscano liberamente. Poi rileggili e prendi nota di quelli che ti colpiscono di più. Alcuni di questi pensieri potrebbero essere la chiave per qualcosa di importante.

Infine, quando stai affrontando un dolore emotivo, come una rottura, un divorzio o la perdita di una persona cara, devi combattere il desiderio di crogiolarti troppo a lungo nella sofferenza. Sì, va bene provarlo. Ma non rimanere intrappolato lì. Torna alla tua routine, ai tuoi obiettivi, alla tua vita. Inizia a fare le cose che ti fanno sentire di nuovo vivo. Trascorri del tempo con gli amici. Muovi il tuo corpo. Sii gentile con te stesso, ma non smettere di prendere iniziative. Perché se lasci che il dolore prenda il sopravvento, vincerà.

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