
Ammettere che coscienza e materia sono legate tra di loro, significa che l’osservatore è anche l’osservato.
Per esempio, esaminiamo la scena di una persona che apre la cassaforte tramite il meccanismo di immissione della combinazione segreta.
Nel momento in cui egli immette la combinazione, è un osservato, mentre, nel momento in cui controlla l’immissione, è un osservatore.
La figura che controlla ha coscienza dell’azione, mentre quella che opera porta in essere l’idea.
Le due figure appaiono legate da una gerarchia determinata dalla modalità con cui si rapportano.
Il grado di consapevolezza modula il rapporto e individua il livello di astrazione in cui la realtà apparente si manifesta separata dagli altri livelli.
Il mondo, associato al livello in cui l’osservatore si pone, rappresenta la realtà di quel livello, insieme a tutte le regole che la definiscono.
Quindi, in un certo momento, a un certo grado, ci poniamo su un livello della realtà stabilito dal rapporto coscienza-materia. In questa realtà, così individuata, gli elementi prendono la forma e la sostanza di competenza.
Portando a limite questo ragionamento, potremmo affermare che tutto esiste in un equilibrio stabilito tra coscienza e materia, e che queste operano in una specie di complementarietà, in termini di occupazione di spazio gerarchico.
La vita, per esempio, è il frutto di un preciso equilibrio fra coscienza e materia. Lo sbilanciamento verso la materia determina il corpo inanimato, mentre verso la coscienza determina lo spirito intelligente o l’anima. Nella gradualità infinita troviamo i livelli, ognuno con le proprie caratteristiche.
Agli estremi troviamo il vuoto assoluto e la pienezza di spirito; entrambi convergenti nell’unità universale.
È sbalorditivo, come questo concetto sia stato ribadito da Anassimandro, oltre 2500 anni or sono!
Ecco le sue parole: “... che principio degli esseri è l’infinito (àpeiron) ... da dove, infatti, gli esseri hanno l'origine, lì hanno anche la distruzione secondo necessità, poiché essi pagano l'uno all'altro la pena e l'espiazione dell'ingiustizia secondo l'ordine del tempo”.
Che ci sia un nesso tra coscienza e materia, è innegabile! Basti pensare a quella caratteristica comune che possiamo riferire all’unione.
La materia, dal punto di vista della fisica classica, è densità di sostanza, cioè la massa presente nell’unità di volume, tenuta insieme dalle strutture interne più o meno rigide.
Quindi, lo stare insieme delle molecole è un po’ come “esistere insieme” in uno spazio limitato e condiviso.
La coscienza, per dualità, è un “conoscere insieme”, magari associato a un’intelligenza, per cui, fino a quando il sapere rimane circoscritto all’individualità, celato alla comunità, è un sapere sterile, destinato a vincere l’isolamento.
Ognuno di noi sicuramente avrà avuto l’esperienza di “prendere coscienza” di qualcosa. La differenza interiore sarà stata vissuta come un trauma, una rottura con un modo di pensare assolutamente personale, staccato dalla nuova realtà di cui diventiamo portatori.
Abbiamo l’impressione di aver sbagliato tutto e di aver vissuto in modo improprio, fuori dal segreto svelato dalla nuova convinzione.
In questi casi si dice: “Abbiamo preso coscienza del problema o della vera realtà”.
Il nostro atteggiamento è visibilmente diverso, molto più rivolto alla comunità e tendente alla conciliazione. Si tenta di ripartire con nuove energie, sicuri di portar con noi la verità di tutti, da cui precedentemente eravamo esclusi.
Il “qualcosa” del prendere coscienza, rappresenta ciò che includiamo nella comunità e che allarga i confini individuali.
Il modo di guardare il mondo o di intendere la vita, è strettamente connesso con il grado di comunione che abbiamo con l’universo.
Riprendendo i concetti della fisica classica, ricordiamo che le forze sono interazione tra masse, cioè esistono perché ci sono le masse.
Inoltre, esse tendono ad attrarsi in ragione diretta rispetto al valore delle loro masse e inversa rispetto alla loro distanza.
Masse grandi e vicine tra loro tendono a unirsi, mentre masse piccole e distanti tendono all’indifferenza.
Non vi appare suggestivo associare alla forza l’idea dell’amore?
La continua ricerca della comunione, il benessere associato allo “stare insieme”, la gioia derivante dalla condivisione, conduce all’amore come idea motrice dello spirito umano, consapevolezza di essere qualcosa, e quindi, coscienza.









