mercoledì 20 dicembre 2023

I doni dei Magi

 

Dieci euro e ottantasette centesimi. Questo era tutto ciò che Denis possedeva. Cinquanta centesimi risparmiati uno o due alla volta chiedendo sconti al panettiere, al fruttivendolo e al macellaio fino ad arrossire di vergogna per la silenziosa accusa di parsimonia che un comportamento così speculativo implicava. Denis contò tre volte il suo magro tesoro. E il giorno dopo sarebbe stato Natale.

Evidentemente non c’era altro da fare che buttarsi sul piccolo divano logoro e urlare. “Ecco, questa è la mia vita! Fatta di sacrifici e rinunce!”

La padrona di casa aveva già rincarato il fitto di casa, passandolo dai 300 ai 350€ mensili. L’appartamento ammobiliato non era proprio da gran figura; delineava le povere condizioni economiche di chi ci viveva. Nel portone di sotto c’era una cassetta delle lettere nella quale nessuna lettera poteva entrare, e un pulsante elettrico che nessun dito mortale avrebbe potuto premere. Accanto al tasto una sbilenca etichetta riportava il nome “James Hanton”.

La famiglia “Hanton” aveva vissuto un bel periodo di prosperità quando il suo guadagno era invidiabile. Ora, a causa di investimenti sbagliati il reddito supera di poco la soglia di povertà. Quello lettere sulla targa della porta apparivano sfocate, come se si allineassero alla critica economia della casa. Tutte le volte che il signor James Hanton, chiamato affettuosamente Jim, tornava a casa e raggiungeva il suo appartamento, veniva abbracciato calorosamente dalla moglie, la signora Denis.

Quel giorno Denis attendeva il suo uomo piangendo mentre seduta accanto alla finestra, osservava un gatto grigio che camminava lungo il recinto grigio del grigio cortile.

Tornava nella sua mente l’idea che l'indomani sarebbe stato il giorno di Natale e lei aveva soltanto dieci euro con cui comprare il regalo a Jim. Aveva risparmiato per mesi ogni centesimo, con questo risultato. Lo stipendio di Jim non copriva tutte le spese ed era impossibile risparmiare di più. Aveva immaginato di comprare un grande regalo per Jim. Il suo Jim. Quante ore felici aveva perso a pianificare qualcosa di carino per lui. Qualcosa di bello, raro e genuino, qualcosa che si avvicinasse appena un po' a essere degno dell’onore di essere posseduto da Jim.

C’era una specchiera tra le finestre della stanza. All'improvviso la donna si voltò verso la finestra e fissò lo sguardo allo specchio. I suoi occhi brillavano, ma il suo viso aveva perso il colore nel giro di venti secondi. Rapidamente si tirò giù i capelli e li lasciò cadere per tutta la loro lunghezza.

In famiglia c’erano due oggetti preziosi di cui entrambi i coniugi erano molto orgogliosi.  Il primo era l’orologio d’oro di Jim che era stato prima di suo nonno e poi di suo padre. L’altro erano i meravigliosi lunghissimi capelli biondi di Denis. Se la regina di Saba avesse visto i suoi capelli si sarebbe strappato le vesti dall’invidia.

Così i bellissimi capelli di Denis le cadevano sulle spalle, increspati e lucenti come una cascata di fili d’oro.

Un pensiero l’agitava.  Indossò la sua vecchia giacca marrone; coprì la testa con il suo vecchio cappello marrone. Con un turbinio della gonna e con la brillante luce ancora nei suoi occhi, uscì dalla porta di casa, scese le scale fino alla strada.

Percorse una serie di viottoli e si fermò davanti a una bottega che mostrava un cartello pubblicitario su cui era scritto: “Articoli per capelli di tutti i tipi”. Prese un po’ tempo per ricomporsi e poi entrò. Si rivolse ad una signora che era sicuramente la proprietaria del negozio e domandò: “Vorrei vendere i miei capelli, lei li comprerebbe?”

“Io compro i capelli”, disse la signora. "Togliti il cappello e diamogli un’occhiata."

La signora si avvicinò ai capelli, li osservò attentamente, sollevandoli con mano esperta, e disse: “Quaranta euro!”

“Va bene, sono tuoi!” rispose Denis.

Oh, le due ore successive furono trascorse su ali rosee. Denis saccheggiò tutti i negozi della zona per cercare il regalo giusto per Jim. Alla fine lo trovò. Sicuramente era stato fatto per Jim e nessun altro. Non ce n’era un altro simile in nessun negozio, e lei li aveva rivoltati tutti.

Si trattava di un cinturino per orologio in platino, semplice e casta nella linea, che proclamava adeguatamente il suo valore solo attraverso la sostanza e non attraverso ornamenti meschini, come dovrebbero presentarsi tutte le belle cose. Non appena lo vide, capì che doveva essere di Jim. Era come lui.

Le costò quarantanove euro e le rimasero in tasca un euro e ottantasette centesimi. Con quel cinturino legato al suo orologio, Jim sarebbe stato orgoglioso di mostrarsi al lavoro. Per quanto grandioso fosse l’orologio, a volte lo guardava di nascosto a causa del vecchio malmesso cinturino di cuoio.

Quando Denis arrivò a casa, la sua ebbrezza cedette un po' il posto alla prudenza e alla ragione. Tirò fuori i suoi arricciacapelli, accese il gas e si mise a riparare i danni causati dalla generosità nata per l’amore del suo uomo.

Non fu un compito facile sistemare i corti capelli ribelli. Nel giro di quaranta minuti la sua testa era ricoperta di piccoli riccioli ravvicinati che la facevano sembrare meravigliosamente una scolaretta che marinava la scuola. Guardò a lungo, attentamente e criticamente la sua immagine riflessa nello specchio.

“Se Jim non mi uccide”, si disse, “prima di darmi una seconda occhiata, dirà che sembro una ballerina di prima fila di Coney Island. Ma cosa potevo fare – oh! cosa avrei potuto comprare con dieci euro e ottantasette centesimi?”

Ormai si era fatta sera, la padella era sul fuoco, calda e pronta per cuocere le costolette.

Jim non faceva mai ritardo. Denis con il dono nelle mani si sedette all’angolo del tavolo, vicino alla porta da dove entrava sempre. Appena sentì i suoi passi sulle scale della prima rampa, diventò bianca solo per un momento. Aveva l’abitudine di dire piccole preghiere silenziose per le cose più semplici di tutti i giorni, e ora sussurrava: “Per favore, Dio, fagli credere che sono ancora carina”.

La porta si aprì e Jim entrò. Sembrava stanco e molto serio. Povero ragazzo, aveva solo ventisei anni – e il peso di condurre una famiglia! Aveva bisogno di un nuovo soprabito ed era senza guanti.

Jim entrò nella casa lentamente, con le stesse movenze di un setter preso dall’odore delle quaglie. I suoi occhi erano fissi su Denis, e traspariva in essi un’espressione che lei non riusciva a decifrare, e questo la terrorizzava. Non era rabbia, né sorpresa, né disapprovazione, né orrore, né alcuno dei sentimenti a cui era preparata. Lui semplicemente la fissava intensamente con quella strana espressione sul viso.

Denis si alzò dal tavolo e si avventò su di lui.

“Jim, tesoro”, gridò, “non guardarmi in quel modo. Mi sono tagliata i capelli e li ho venduti perché non avrei potuto passare il Natale senza farti un regalo. Presto ricresceranno: non ti dispiacerà, vero? Dovevo proprio farlo. I miei capelli crescono molto velocemente. Buon Natale, Jim!”

L’uomo tardava a rispondere mentre lei continuò “Non sai che bel ...  bel, bel regalo ho per te."

“Ti sei tagliato i capelli?” domandò Jim, faticosamente, come se non si fosse accorto di quel fatto così evidente, anche dopo il più duro lavoro mentale.

"Li ho tagliati e venduti”, rispose Denis. “Non ti piaccio comunque? Sono sempre io anche senza i capelli lunghi, vero?"

Jim si guardò intorno con curiosità.

“Hai detto che i tuoi capelli li hai tagliati?" disse con un’aria quasi da sciocco.

"Sì “, disse Denis. «Sono stati venduti. È Natale, amore. Sii buono con me, perché li venduti per comprarti il regalo. Forse vuoi dirmi che i miei capelli erano importanti per te, ma mai più importanti del mio amore per te”, continuò con una dolcezza improvvisa e seria, “Jim, non vuoi che ti dia tutta me stessa?”

Jim sembrò svegliarsi rapidamente dal torpore che aveva inibito la sua mente. Abbracciò la sua Denis.

Jim tirò fuori un pacco dalla tasca del soprabito e lo gettò sul tavolo prima di dire: “Non scherzare Denis”, le diede un bacio, “Non credo un che un taglio di capelli potrebbe farmi piacere di meno la mia ragazza. Ma se apri quel pacco sul tavolo, potresti capire perché all’inizio mi hai disorientato."

Le sottili, agili e bianche dita di Denis sciolsero lo spago e strapparono la carta di involucro. E poi un grido di gioia, una forma di estasi urlata; e subito dopo, ahimè! Un rapido cambiamento d’umore. Lacrime femminili e lamenti isterici, richiesero l'immediato impiego di tutti i poteri confortanti del padrone di casa.

Perché lì giacevano i pettini: il set di pettini, laterali e posteriori, che Denis aveva adorato a lungo in una finestra di Broadway. Bellissimi pettini, in puro guscio di tartaruga, con bordi ingioiellati – proprio la tonalità da indossare tra i bellissimi capelli scomparsi. Erano pettini costosi, lo sapeva, e il suo cuore li aveva semplicemente desiderati e bramati senza la minima speranza di possederli. E ora erano suoi, ma le trecce che avrebbero dovuto adornare gli ambiti ornamenti erano scomparsi.

Ma lei se li abbracciò al seno e alla fine riuscì ad alzare lo sguardo con gli occhi offuscati e un sorriso e dire: “I miei capelli crescono così in fretta, Jim!"

E poi Denis balzò in piedi come un gattino bruciacchiato e gridò: “Oh, oh!"

Jim non aveva ancora visto il suo bellissimo regalo.

Glielo tese con entusiasmo sul palmo aperto della mano. Il prezioso metallo sembrava riflettere il riflesso del suo spirito luminoso e ardente.

“Non è un bello, Jim? Ho cercato in tutta la città per trovarlo. Adesso dovrai guardare l’ora centinaia di volte al giorno. Dammi il tuo orologio. Voglio vedere come sta.”

Invece di obbedire, Jim si lasciò cadere sul divano, si mise le mani dietro la testa e sorrise.

“Denis”, disse, “mettiamo via i nostri regali di Natale e conserviamoli per un po'. Sono troppo belli per essere usati al momento. Ho venduto l’orologio per avere i soldi per comprare i tuoi pettini. Ho voluto anch’io darti tutto me stesso.”

 

Commento dell’autore: I magi, come sapete, erano uomini meravigliosamente saggi che portarono doni al Bambino Gesù. Certamente non donarono costosi gioielli, oggetti ricercati, vestiti e borse griffate. Hanno inventato l’arte di fare i regali di Natale perché i cuori si parlassero … perché il dono fosse una promessa d’amore.

 

martedì 19 dicembre 2023

Il fantasma degli egoisti


 

Un uomo era molto povero e osservando la gente che vestiva con abiti eleganti, che girava con auto di lusso, che abitava in palazzi principeschi, immaginava sé stesso al loro posto. Si diceva: “Se fossi ricco come loro non saprei più cosa poter desiderare. Non capisco perché si affannano ad accumulare denaro? Forse si illudono di vivere in eterno? Avranno tempo necessario per godere di ogni bene che la ricchezza assicura?”

Mentre si poneva questi interrogativi, qualcosa dentro di sé si mosse. Non ci crederete, ma si trovò di fronte a una doppia personalità che intendeva parlargli. L’immagine dell’entità che probabilmente vedeva soltanto lui, richiamava quella di un fantasma: era alto come un albero.

I suoi occhi scuri erano ben visibili mentre tutto il corpo gli appariva rarefatto. In modo alterco, disse: “Esprimi un desiderio o ti farò morire!” L’uomo si spaventò, e fu incapace di rispondere. Il fantasma ribadì il suo ordine: “Stai perdendo tempo! Esprimi un desiderio o ti farò morire!” L’uomo si fece coraggio e domandò: “Che tipo di desiderio vuoi che io esprima?".

“Qualunque desiderio che non hai visto esaudito. Mi hai invocato, quindi sono qui per esaudire i tuoi desideri. Quando non avrai più nessun desiderio, morirai.” Rispose il fantasma.

“Vorrei una bella casa”, disse l’uomo.

Il fantasma, traportò la persona in una lussuosa villa circondata da un bel giardino. Poi ribadì la stessa frase: “Esprimi un desiderio o ti farò morire!”

Ecco un nuovo desiderio: “Vorrei tanto oro e gioielli.”

Subito apparvero intorno a lui bauletti ricolmi di oro e gioielli.”

Poi, il solito ritornello del fantasma: “Esprimi un desiderio o ti farò morire!”

“Procurami dei bei vestiti da indossare.” Il fantasma esaudì velocemente il desiderio e di nuovo ripetette la sua minaccia: “Esprimi un desiderio o ti farò morire!”

“Portami del cibo.” In un secondo l’uomo si ritrovò davanti la tavola imbandita di cibi prelibati. Provò a mangiare, ma non ebbe tempo. Il fantasma disse di nuovo: “Stai perdendo tempo! Esprimi un desiderio o ti farò morire!”.

L'uomo continuava a esprimere desideri ma non poteva godere di tutto quel tesoro che possedeva; non aveva neanche il tempo di mangiare. Quando venne la notte, il fantasma non lo lasciò dormire.

“Esprimi un desiderio o ti farò morire!", disse.

A questo punto, la preoccupazione dell’uomo cominciava a trasformarsi in terrore. Come poteva mangiare? Come poteva dormire? Se si fosse fermato o avesse rinunciato ad esprimere altri desideri, il fantasma lo avrebbe ucciso.

Alla fine, ebbe un’idea. Disse al fantasma: “Desidero che tu sparisca e che non ti faccia più vedere.”

Il fantasma scomparve, ma con lui scomparvero anche tutti i suoi tesori.

 

lunedì 18 dicembre 2023

Parlare in pubblico?


Molto tempo fa alcune persone esperte hanno fatto uno studio.
E sai cosa hanno trovato? È piuttosto strano, davvero.

Secondo la statistica da loro elaborata, le persone hanno più paura di parlare in pubblico che della morte.

Quindi quando la gente dice: "Preferisco morire piuttosto che alzarmi e parlare davanti alla gente".
Non stanno mentendo. Lo pensano davvero. E queste sono persone la cui prima lingua è l'inglese.

Sono sicuro che sai che è molto, molto peggio quando l'inglese è la tua seconda lingua.

Quella sensazione nello stomaco.
Le mani sudate e tremanti. Il viso arrossato
Sei teso e contratto come la mummia nelle fasce.

Non riesci a respirare bene ... figurati se devi pensare!

Vai in bagno più spesso del normale.

Fa schifo, vero?

Il fatto è che parlare in pubblico non sarebbe poi così difficile se non ci fosse quadro psicologico precario determinato da bassa autostima e forti debolezze interiori.

Nemmeno l'uso dell'inglese in nessuna situazione creerebbe problemi. Sotto questo aspetto, la difficoltà è da ricercarsi nella innaturale articolazione del pensiero derivante dalla paura preventiva di non conoscere quelle parole che solitamente usi nella tua lingua.

Come ho risolto io?

Affidandomi all'istinto ed esponendomi a figure imbarazzanti ... esattamente come fanno i bambini, ma a loro è perdonato tutto, anzi si mostrano ancora più amorevoli!

 

Accendere una storia d’amore

 

Erano giorni che la inseguivo. Cercavo il modo migliore per conoscerla.

Fortunatamente, la incontrai insieme ad una vecchia amica e quella fu l’occasione imperdibile. Mi unii alle due ragazze invitandole al bar per un aperitivo. Seduti al tavolo del bar ebbi modo per parlarle direttamente. Il suo nome era Clara. Non persi tempo nel manifestare la mia simpatia per i suoi occhi vivaci e la sorprendente eleganza dei modi.

Dopo quell’incontro, non la rividi più per qualche giorno, fino a quando la incontrai nuovamente sola mentre rientrava dal lavoro. Le chiesi di poterla accompagnare. Non acconsentì immediatamente, ma a causa della mia insistenza si lasciò andare. Approfittai per chiederle se gradiva accompagnarmi ad una cerimonia di presentazione di un libro. Avremmo avuto modo di conoscerci. A Clara piaceva leggere e non faticai molto per ricevere il suo consenso. Ci demmo appuntamento per il giorno dopo presso lo stesso bar del primo incontro. Partecipammo a quell’evento con molto interesse. Al termine della cerimonia, passeggiammo per i giardini di città. Dialogammo come se già ci conoscessimo da tempo. Quando ormai la serata era finita, la accompagnai sotto casa sua. Durante la guida le manifestai tutta la mia voglia di rivederla. Il mio desiderio di sentirmi già suo fidanzato, mi suggerì parole che forse giunsero precipitose o inopportune alla sensibilità di Clara. Difatti, appena giungemmo a casa sua, scese dall’auto lasciandomi con un flebile “ciao”.  

Quella notte l’ho chiamata di nuovo e abbiamo parlato. All’inizio era fredda, distante, ma dopo un po' sembrò più disponibile. Le chiesi il motivo per cui si fosse offesa così tanto. Non voleva parlarne, ma con il passare del tempo confessò che odiava i ragazzi e che per un po’ avrebbe evitato qualunque relazione.

Per quanto intuivo, Clara era stata ferita troppe volte da ragazzi di cui si fidava con tutto il cuore. Abbiamo parlato fino alle cinque del mattino e lei mi ha raccontato di tutto. Volevo abbracciarla, ma per quello che avevo ascoltato, anche il pensiero di manifestare quel mio sentimento, mi spaventava. Riuscii a convincerla che non tutti gli uomini sono uguali. Le proposi incontrarci di nuovo allo stesso posto e alla stessa ora.

Da allora gli incontri si sono ripetuti. Trascorrevamo molto tempo insieme e discutevamo di ogni questione. A volte la andavo a prendere al lavoro per riaccompagnarla a casa. Ben presto le settimane si trasformarono in mesi e questa volta il nostro fidanzamento sembrava proprio una favola.

Il tempo si fermava quando eravamo solo noi due. Una sera decidemmo di fermarci al solito bar, ma era troppo affollato, quindi rinunciammo a favore di una passeggiata romantica. Fu un lungo viaggio di emozioni. Camminavamo abbracciati lungo la strada. Ci fermammo per sederci su una panchina. Clara si sdraiò su di me e volse il viso al cielo; la luna era una grossa palla d’argento. Era lo spettacolo più romantico a cui potevo assistere. Forse non avevo mai notato la luna in quel modo e a quell’ora della sera. Tuttavia, fu bellissimo. Clara mi prese la mano e mentre era incantata con lo sguardo teso ad osservare ogni dettaglio del manto stellato, disse: “Amore, la luna è bellissima stasera.”

Io, ormai perso nelle emozioni, avevo poche parole. Stringendole la mano, dissi: “Clara, la luna si inchina alla tua bellezza.” Lei sorrise. 

Mi sentivo teso. Abbiamo incrociato gli occhi. Grazie a Dio la strada era deserta, le sue labbra si aprirono in un sorriso da ragazzina che ancora oggi non riesco a dimenticare. Quello fu un momento magico. Era davvero bellissimo. Mi sentivo caldo e confuso; volevo che quella serata non terminasse più.

Rimanemmo lì non so per quanto tempo. Non camminava più nessuno quando decidemmo di rientrare a casa. Mi fermai in un angolo della strada prima del portone di casa sua, l’abbracciai e non resistetti per darle il più bel bacio di sempre. Quella fu la prima volta che trovai senso al mio esistere. Mentre ci abbracciavamo, sentivo che non voleva lasciarsi andare. Il timore di rivivere le vecchie e dolorose esperienze, la frenava ancora. Non mi preoccupai, sapevo che con il tempo, l’avrei conquistata con la mia sincerità e soprattutto con il mio cuore.

 

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