L’animo umano è complesso, tentare una sortita
conoscitiva è un’esperienza affascinante che non crea nessun precedente.
Illustri psicologi si sono avventurati e hanno
catturato qualche teoria interessante, ma hanno tirato fuori solo idee
discutibili, anzi, hanno gettato benzina su un fuoco che già era parte di un
incendio.
Un dato certo esiste. Ognuno di noi nascendo è
costretto a sopravvivere.
Questa incombenza è un macigno che ci portiamo sulle
spalle e che ci impedisce di guardarci attorno.
Non riusciamo, per la fatica, nemmeno
a guardarci fra noi, poiché rimaniamo paralizzati dalla diffidenza.
Solo parvenze di intimità ci leniscono il dolore di
una solitudine voluta da una natura, di cui facciamo parte, ma non ne siamo
padroni.
La coscienza di una vita che dovrà terminare ci forza
il pensiero della morte.
Il crudele automatismo si innesca così: “Sono
cosciente di dover morire e mi affanno a rimandare quel momento, occupando il
tempo a trovare il sistema migliore per ritardarlo”.
Alla fine del percorso molti
si rendono conto che hanno rincorso la propria coda, consumando il prezioso tempo
vita.
Mi ricorda la storia di un cane che, lasciato solo per
intere giornate, al rientro del suo padrone, iniziava a rincorrere la propria
coda impedendo al padrone di accarezzarlo.
Vi apparirà evidente che il cane divorato dall’ansia
di rivedere il proprio padrone, chiedeva a se stesso di consumare un piacere
per troppo tempo rimandato.
Il meccanismo psicologico adottato dal cane ha
funzionato in assenza del padrone, ma non gli ha consentito di raggiungere lo
scopo per il quale il meccanismo era stato costruito.
In altre parole, il surrogato di un piacere ha fatto
in modo che si sia dimenticato il vero piacere.
È verosimile pensare che, conducendo una vita in cui
sbarcare il lunario ci impegna, diventi inevitabile posticipare o a non
occuparci mai di questioni più vicine alla sfera umana.
Ed ecco che l’età e la cultura intervengono come
bastone e carota per il povero uomo.
L’età, mentre avanza, ti costringe a sentire sempre
più forte il peso del macigno e ti fa sperimentare a piccoli passi che cosa
significa morire.
La cultura, come una droga, ti fa dimenticare il peso
del macigno e abbassa la sensibilità alla stanchezza, sebbene a intervalli di
tempo ti illuda di essere così speciale nell’universo fino a far apparire la
morte come un’antipatica sosta o un angusto passaggio della natura.
Chi di noi è positivo al test della cultura è dominato
dal super-IO (Freud e Nietzsche, mi perdonino) e pensa che grazie alla propria
capacità di astrazione, di essere in grado di sopportare quell’antipatico
passaggio senza rovinarsi i tratti finali della vita.
Allo sfortunato utente del proprio corpo, quel
passaggio è durissimo.
Solo la religione e il mistero potranno aiutarlo, poiché
in questi sentieri non c’è bisogno di ragionare; basta la fede e la speranza.
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