sabato 6 dicembre 2025

C'è bisogno di amore per la filosofia



L'idea che una persona debba vivere secondo regole rigide che preservano l'ordine ma uccidono la curiosità, la meraviglia, la crescita dello spirito, il significato, è insopportabile da chi prende consapevolezza che occorre dare valore alla propria vita.

A volte guardo gli animali e ho la sensazione che vivano meglio di noi, almeno un animale vive come è stato creato, senza inventare le assurdità che chiamiamo "sistemi", "regole" e "stipendi".

La differenza tra noi e gli animali non è l'intelligenza; è la consapevolezza. L'animale è contento perché non chiede, e noi soffriamo perché lo desideriamo sempre qualcosa che ci manca.

Dal momento in cui ci è stata data la coscienza, ci siamo portati dietro la maledizione delle domande: Perché? Perché a me? Dove porta tutto questo? Come faccio ad avere ciò che mi serve?

La vita continua a ripetersi, e forse questa ripetizione la deprime.

Ci chiedevamo "quando", "come" e "dove" e ora siamo intrappolati in un ciclo che si ripete all'infinito.

Noi umani ormai viviamo copie identiche della stessa vita: mangiamo, lavoriamo, dormiamo, aspettiamo il weekend, e poi ripetiamo all'infinito.

Il mondo è diventato così noioso che persino il cervello umano, a mio avviso, ha iniziato a propendere per la stagnazione, per il decadimento. Preferisce la sicurezza alla meraviglia, la routine all'avventura e l'ordine al meraviglioso caos da cui nascono le idee.

Non vediamo più veri scienziati, perché le carriere in quei campi sono diventate rare e la curiosità, la passione per il sapere, non bastano più a pagare le bollette.

Tutto si è trasformato in un "mercato del lavoro", non in una "ricerca della conoscenza".

Incredibilmente, gli intelligenti non sono più quelli che esplorano, sono quelli che obbediscono.

I curiosi non vengono ricompensati, vengono ridicolizzati. La morte della curiosità e l'ascesa dei sistemi. L’intelligenza artificiale è un campanello che suona per addormentarci.

Le facoltà che avrebbero dovuto formare pensatori – fisica, filosofia, scienze naturali – sono diventate il rifugio di voti bassi e sogni abbandonati. Gli studenti vi si iscrivono non per passione, ma perché non c'era altro disponibile.

Nel frattempo, i campi socialmente premiati – medicina, contabilità, ingegneria – assorbono le menti più brillanti. Non perché quelle menti siano guidate dalla passione, ma perché cercano una garanzia di stabilità economica.

E così il mondo ha perso il suo equilibrio: Menti brillanti sono state spinte negli uffici, e le discipline che necessitavano di pensiero si sono riempite di passanti.

Abbiamo creato una società che produce dipendenti, non pensatori; cervelli che memorizzano, non che scoprono.

Il peso sul mio petto ha un nome in filosofia: Alienazione umana.

Karl Marx ne scrisse, e gli esistenzialisti ampliarono l'idea dopo di lui. Affermavano che l'uomo moderno si è distaccato da sé – lavorando, producendo, consumando – interiormente inconsapevole del perché vive.

La mente che un tempo creava e immaginava si è trasformata in una macchina per copiare e incollare. Il pensiero è diventato meccanico, non un viaggio di meraviglia.

L'umanità ha raggiunto la verità?

Sa come ha avuto origine l'universo?

Capisce almeno se stessa?

Ogni volta che pensiamo di essere vicini alla comprensione, si apre un'altra porta, e dietro quella porta si celano altre cento domande di cui ignoravamo l'esistenza.

La scienza moderna ha rivelato lo straordinario – atomi, geni, intelligenza artificiale – eppure non si è mai avvicinata a rispondere a quelle domande fondamentali.

Sappiamo come funziona il cervello, ma non perché contenga la coscienza.

Sappiamo come è nato l'universo, ma non perché è nato.

Sappiamo come si replicano i geni, ma non perché la vita insista a sopravvivere.

Sembra che ogni risposta sia solo l'ingresso a un labirinto più grande.

Molto tempo fa, le domande umane erano semplici: Cos'è il fuoco? Cos'è l'acqua? Come guarisco? Come volo?

Le domande appartenevano al mondo esterno.

Oggi, le nostre domande sono annegate dentro di noi: Perché vivo? Qual è lo scopo? Dov'è il significato?

La scienza ora sembra insufficiente perché spiega il come, non il perché.

E così la nostra epoca è diventata nota come "un'epoca ricca di informazioni, ma povera di significato".

Abbiamo risposte tecniche, ma non una sola risposta che porti pace nello spirito.

Dove sono finiti i geni? Alcuni credono che i geni siano scomparsi.

La verità è più semplice: non hanno mai avuto il tempo o lo spazio per nascere.

Se Newton si sedesse sotto un albero oggi, probabilmente solleverebbe il telefono per filmare la mela invece di chiedersi perché sia ​​caduta.

Il loro tempo ha dato loro solitudine e meraviglia; il nostro ci intrappola nella velocità e nei risultati.

Il genio non nasce solo dall'intelligenza, ma dalla quiete, dal silenzio, dalla rara libertà di non fare altro che pensare.

Newton vedeva nella caduta di una mela una legge cosmica, mentre noi vediamo nella caduta di un essere umano un curriculum incompleto.

La mente non è cambiata, il cuore che si interroga sì.

La differenza tra noi e i grandi pensatori è semplice: loro non hanno mai perso il loro senso della meraviglia. Noi abbiamo perso il nostro nel momento in cui abbiamo creduto che tutto fosse già compreso.

Viviamo in un mondo traboccante di risposte, eppure nessuno ricorda qual era la domanda.

Forse ciò che stiamo affrontando non è la morte della mente, ma un sonno profondo e pesante.

E finché ci saranno menti che ancora dubitano e si interrogano, la vita non è ancora finita.

L'essere umano che chiede è vivo; chi smette di chiedere muore molto prima del corpo.

Forse la cosa più bella della consapevolezza è che si rifiuta di lasciarci riposare, perché il riposo è il primo passo verso il decadimento mentale.

Le domande non sono morte. Gli esseri umani si sono semplicemente addormentati. E finché alcune menti si rifiuteranno di dormire, la vita continua.


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venerdì 5 dicembre 2025

Il disordine è un punto di un ordine superiore

 

Osservando ciò che succede nel mondo: l’incapacità di arrivare a costituire un’armonia di vita per ogni essere umano; l’impossibilità di comporre in una logica funzionale l’enorme mosaico delle necessità umane, induce a pensare che il disordine è apparente e non può esistere, va semplicemente inteso come un ordine di livello più alto e nascosto alla coscienza umana.

Di conseguenza, si deve ritenere che il caso, genitore del disordine, è frutto di idee approssimate dell’uomo non evoluto, non ancora pronto a interpretare la realtà in una visione più ampia. L’inesistenza della casualità è avvalorata anche dalla difficoltà dei matematici di produrre funzioni effettivamente random e quindi capaci di riprodurre scenari simili a quelli naturali.

È bellissimo pensare a una logica misteriosa che disegna la macchia di latte versato da un bicchiere involontariamente finito sul pavimento o la geometria dell’area di vomito disegnata da una ribelle digestione. Non parliamo dei sogni miliardari dei giocatori alle roulette del casinò o degli scommettitori sulle corse di cavalli, o dei pronosticatori di risultati di eventi sportivi.

Il disordine, quindi, deve necessariamente essere un ordine nascosto, scopribile solo da una visione più ampia e propria di altri livelli di conoscenza ad oggi fuori portata dalla logica umana.

Per esempio, il fondale di un tratto di mare potrebbe apparire torbido agli occhi di un pesce che non ha coscienza dell’enorme massa d’acqua che lo contiene. Al livello superiore di coscienza, invece, potremmo affermare che quel fondale subisce un riflusso completamente prevedibile e utile per mantenere la logica per la quale ci sono le correnti sottomarine. 

L’ordine e il disordine, inoltre, celano una strabiliante potenza energetica dell’universo. Fate mente locale alle isobare disegnate sulle carte meteorologiche. Queste sono linee immaginarie che percorrono il globo terrestre su cui i valori di pressione sono identici. Come una rete di sostegno a una rupe franabile, così le isobare incatenano energie in un ordine globale che governa saggiamente la distribuzione delle piogge sul pianeta.

Può succedere che in una zona della terra il disordine imperi come la furia di un uragano, ma ciò è il dettaglio dell’ordine globale. Il complesso sistema di forze determina l’equilibrio e la calma apparente che nasconde il potenziale energetico in gioco.

Allargando il concetto nella vita umana, possiamo comprendere che possa esistere una logica superiore che guidi l’evoluzione della nostra specie attraverso la casualità della distribuzione di malattie, la casualità che interviene a favorire certe scoperte scientifiche.

In definitiva, non dovremmo sorprenderci se un giorno si scoprisse che il disordine è soltanto un tipo diverso di ordine che sfida l’intelligenza umana ancora allo stato rudimentale.

giovedì 4 dicembre 2025

Sopravvivere ad un colloquio forzato

 

Quando si ha una relazione con un narcisista – sentimentale, familiare, amicale, professionale, qualunque sia il legame – si impara che nulla di ciò che dice sarà mai sufficiente a spiegarsi.

Il narcisista generalmente è un maestro del linguaggio dell'iper-spiegazione perché è l'unico modo per sopravvivere alla conversazione e alla relazione senza che questa degenerai in accuse, sensi di colpa o rabbia. In questa dinamica occorre stare sempre in allerta. Qualsiasi semplice conversazione può trasformarsi in un vero e proprio litigio

Spiegare troppo non è solo estenuante per chi ascolta, è un esercizio inconsapevole di potere. Ogni volta che si parla compulsivamente, si sta inconsciamente consumando tanta energia mentre si sta trasmettendo il messaggio: "Ho bisogno della tua approvazione. Ho bisogno che tu capisca. Ho bisogno che tu sia d'accordo con me prima che io possa procedere".

In questi casi, l’ascoltatore rinuncia al potere di rifiutarsi e cede al ruolo di inferiorità nel tentativo di evitare conflitti o di "ferire i sentimenti" del narcisista.

Le persone che ti rispettano non hanno bisogno di sentire la storia della tua vita a corollario di un banale discorso; non devono per forza assecondare i tuoi pensieri e essere costretti a dare segni di conferma continua.

La verità è che le persone che rispettano l’interlocutore non sentono il bisogno di dare lunghe spiegazioni per trasferire i loro pensieri, specialmente se il colloquio si volge su questioni private. Parlano e se non trovano consenso, non fanno drammi, vanno avanti. Chi ascolta, tranne se non chiede espressamente altre spiegazioni, non ha bisogno di prove sulla veridicità o ulteriori approfondimenti sul tema; a loro non interessa giustificazioni che coinvolgono la sfera personale; non vogliono essere valvole di sfogo a cause di natura psicologica.

Le frasi brevi e dirette non sono maleducate. Recuperano il potere di decidere se interessarci o no a ciò che si dice, senza rimanere prigionieri di un lungo sermone a cui si deve assistere a tutti costi.

mercoledì 3 dicembre 2025

Gli evitanti: persone difficili con l'amore



Gli evitanti sono persone che diffidano del sentimento, pre-configurandosi nel rapporto più dolori che gioie, per cui sono partner molto difficili con cui stare.

La verità è che gli evitanti desiderano l'amore tanto quanto chiunque altro, ma ne sono solo terrorizzati.  Sviluppano questo stile di rigetto della relazione intima a causa di una educazione sentimentale problematica durante l'infanzia.

I genitori dovrebbero essere l'esempio di amore incondizionato. Ma quando l'atto d’amore diventa subordinato a certe condizioni, il bambino impara a comportarsi in un certo modo per ricevere quell'amore.

Per le persone evitanti, questo significa che hanno creato un meccanismo di difesa per proteggersi. Hanno imparato che l'amore non è sicuro e che possono contare solo su sé stessi.

Succede, quindi, che quando un partner si presenta nella loro vita adulta, sentono ancora il bisogno di proteggersi. È la loro ombra interiore che suggerisce: "L'amore sarà doloroso, non lasciarti ferire".

È un viaggio lungo e doloroso comprendere questi schemi in sé stessi, ma il partner giusto può demolire questa paura. Quando parlo del partner giusto, non intendo una persona magica che guarisce all'improvviso. Tutt'altro. È una persona che rende dolcemente consapevole quali siano le ferite, i fattori scatenanti, i traumi irrisolti. Saranno costretti a guardarsi allo specchio perché quel partner è arrivato sul loro cammino per insegnargli qualcosa. C'è una connessione animica tra le due persone, una connessione che le eleva entrambe.

Queste relazioni sono incredibilmente impegnative. Non hanno nulla a che fare con le favole romantiche, ma con l'affrontare finalmente i propri problemi.

La persona giusta potrebbe non essere qualcuno che stringe per sempre la relazione con l'evitante. Si presenta quando arriva il momento della svolta. E quel momento è sempre perfetto, anche se a prima vista non sembra così.

La connessione con la persona giusta va oltre la normale relazione. Entrambe le persone sanno che c'è qualcosa di più profondo in ballo. Ecco perché è impossibile stare lontani l'uno dall'altra.

L'evitante non cambia perché si insiste ad amarla. Cambia perché si rende conto di avere un problema.

Il partner giusto per una persona evitante può essere uno specchio che fissa i suoi problemi di attaccamento, non si fa ingannare dall’apparenza.

Questo non significa che questa relazione diventerà improvvisamente facile.

Così, se quel partner è la persona giusta, la persona evitante lavorerà su sé stessa per risolvere il suo problema.

Cosa succede quando incontri un'anima gemella?

Contrariamente a quanto si crede, le anime gemelle non sono (sempre) storie d'amore romantiche. Piuttosto, arrivano per iniziarti alla versione che avresti sempre dovuto diventare.

Jung chiama questo l'attivazione dell'Anima/Animus; il tuo maschile o femminile interiore represso. La tua anima gemella ti riflette quel pezzo mancante. Ma non per diventare co-dipendente. Lo attivano in modo che tu possa trovarlo in te stesso, senza di loro. 

Questa è la completezza che manca a chi evita ogni rapporto intimo prima ancora di rendersene conto.

martedì 2 dicembre 2025

La mente condiziona la realtà



La maggior parte delle persone vive in uno stato di continua fluttuazione. Un momento sono su, quello dopo sono giù. Un giorno sono ispirati, quello dopo sono ansiosi. Un commento può sollevarli, un altro può distruggerli.

Siamo condizionati a reagire ai più piccoli cambiamenti nell'ambiente, a essere spinti, tirati, DIPENDENTI da circostanze esterne casuali.

Purtroppo, una mente caotica crea una realtà caotica. Se non si impara a controllare il proprio mondo interiore, non si potrà mai prendere il controllo di quello esteriore.

Gli individui di maggior successo non sono necessariamente i più intelligenti o i più talentuosi: sono quelli che mantengono la calma di fronte alla pressione. Quando tutto intorno a loro sembra crollare, hanno la capacità di rallentare e rimanere imperturbabili.

Si puoi passare tutta la vita a cercare di controllare le persone, i risultati e le circostanze, ma l'unica cosa su cui si ha veramente il controllo in questo mondo è il proprio stato d'animo.

Domina la mente e la realtà seguirà.

Come esseri umani, abbiamo questa naturale tendenza a reagire emotivamente alle circostanze. Il nostro umore può oscillare da estremamente alto a estremamente basso più volte nell'arco della stessa giornata. Il più piccolo inconveniente può farci perdere l'equilibrio, rovinandoci l'intera giornata, mentre la minima conferma può improvvisamente farci sentire come se tutto andasse per il verso giusto.

Qualcuno ci critica e ci sentiamo come se il mondo intero ci fosse contro. Qualcuno ci fa un complimento e all'improvviso siamo al settimo cielo.

Questa instabilità emotiva non deriva dagli eventi in sé, ma dal nostro bisogno primordiale di sentirci in controllo.

Le nostre reazioni emotive alle circostanze dipendono principalmente dalle nostre aspettative. Ogni volta che sentiamo che qualcosa non sta andando come ci aspettavamo, il nostro subconscio attiva la modalità sopravvivenza.

Ci stressiamo, pensiamo troppo e a volte persino andiamo nel panico, poiché è il modo naturale in cui il nostro corpo è condizionato a reagire al pericolo.

Occorre prendere consapevolezza che l'unica realtà che esiste è quella a cui si presta attenzione.

Per trascendere la realtà, si deve iniziare a vivere secondo la vista della mente. La fonte delle emozioni deve sempre provenire da dentro.

Quando ci ossessioniamo sulle possibilità future, in realtà condizioniamo il nostro subconscio ad accettarle come uno stato attuale della nostra realtà.

Il subconscio non conosce né passato né futuro: ogni esperienza pre-vissuta viene registrata come ADESSO.

La maggior parte delle persone si autosabota inconsapevolmente ogni giorno, immaginando tutto ciò che può andare storto, ma pochissimi decidono di capovolgere la situazione.

La paura è in realtà fede al contrario.

Entrambi sono atti di fede. Entrambi sono forme di immaginazione. Entrambi sono modi per imprimere una nuova realtà nella mente subconscia.

La differenza è semplice: La paura immagina ciò che non vuoi. La fede immagina ciò che vuoi.

L'immaginazione può essere il tuo strumento più potente, ma può anche essere la tua più grande maledizione.

Possiamo usare la nostra immaginazione per creare una vita di sogni o una vita di incubi, e dipende interamente da te.

In una visione puramente esoterica, tutte le storie religiose su alcuni interventi divini erano in realtà metafore del corretto uso dell'immaginazione.

Se non impari a controllare la tempesta interiore, non sarai mai in grado di controllare la tempesta esteriore.

Devi darti abbastanza sicurezza in te stesso da non essere in alcun modo scombussolato dal mondo che ti circonda.

E ogni volta che una circostanza esterna riesce a farti perdere l'equilibrio, devi sottoporti al processo di riallineamento, calmando le acque interiori prima di poter dirigere quelle esteriori.

La tipica reazione dopo aver attraversato un momento spiacevole è quella di sprofondare nella frustrazione.

Ripensiamo troppo, ripercorriamo l'evento, analizziamo ogni aspetto e, così facendo, ci stimoliamo ancora di più, moltiplicando proprio l'emozione da cui stiamo cercando di sfuggire.

lunedì 1 dicembre 2025

Dove finisce il vuoto dell'universo?



Lo spazio e il tempo sono due concetti imprescindibili dalla logica del nostro sapere. Pensare a qualcosa senza collocarli in un luogo e in un momento, è impossibile. Anche quando non facciamo riferimenti diretti, abbiamo la convinzione che tutto avvenga in uno spazio cartesiano a quattro dimensioni.

In questo mondo logico, come in un interminabile giro di walzer, le quattro dimensioni ballano con la materia. 

Lo spazio-tempo determina il passo della danza della materia, e questa, decide le figure. Ricordando, infatti, la relatività generale di Einstein, lo spazio-tempo stabilisce il moto della materia, la quale modifica la geometria del percorso.

Una tacita consapevolezza ci focalizza il pensiero nel ricostruire una rappresentazione cartesiana a tre dimensioni, con l’omissione del tempo, poiché considerato presente.

Ci appare facile pensare a un oggetto ricondotto in modo semplificato a un punto dello spazio a tre dimensioni.

L’automatismo mentale nasconde una convinzione inconscia, cioè, che le dimensioni dell’oggetto rappresentato sono ininfluenti o trascurabili rispetto alla dimensione dello spazio cartesiano che lo contiene. Inoltre, se pur venisse in mente di far occupare all’oggetto uno spazio paragonabile a quello di rappresentazione, avremmo sempre a disposizione il concetto di traslazione degli assi per rimpicciolire figurativamente l’oggetto.

La convinzione di fondo consiste nell’ammettere che la materia occupa uno spazio 4D insignificante rispetto all’intero universo.

Lo spazio non occupato dalla materia è il “vuoto”, l’elemento più grande dell’universo, che per complementarietà rende infinitamente piccolo la materia.

Il riscontro a questo fantasioso principio si può ottenere indirettamente, attraverso la teoria atomica, esaminando il volume delle masse degli elettroni in relazione alle distanze dai neutroni, oppure notando come il nostro sistema solare contiene pochi pianeti in spazi enormi.

Un rapido sorvolo su tutto il sapere umano ci consente di verificare la presenza della stessa corrispondenza tra la materia e lo spazio-tempo per cui materia e non-materia si rapportano sempre come pochissimo a molto.

In definitiva, dovremmo interrogarci su quale potrebbe essere quell’elemento ultimo della materia, dopo il quale ci sarebbe il vuoto.

Potrebbe esistere qualcosa a cui associare una “forma” che superi il concetto spazio-tempo e che la renda significativa nell’ottica dell’armonia universale?

Non potendo collocare il tutto in una realtà vicina ai nostri sensi, poiché cadremmo in contraddizione, siamo obbligati a riferirci a entità spirituali, quali: coscienza e amore.

In questi termini, siamo costretti ad ammettere che questa misteriosa “forma” contiene tutto ed è contemporaneamente parte di tutto, in quanto confine tra “vuoto” e “non-vuoto”.

La conseguente difficoltà che emerge nell’immaginare un confine tra due elementi, di cui il secondo è il derivato del primo, conferma la posizione ideologica per la quale l’universo è una realtà unica, primaria, di natura spirituale che non ammette divisioni, e quindi, limitazioni di qualsiasi genere.  Qualunque fenomeno ricondotto alla dimensione universale non è una manifestazione di una proprietà, ma un aspetto dell’insieme.

Tutta l’analisi scientifica segue un meccanismo “step by step”, in linea con la consequenzialità logica che, per sua intrinseca struttura, si fonda sulla separazione che rappresenta il peccato originale nell’approcciarsi alla comprensione dell’universo.

sabato 29 novembre 2025

Camminare a cervello spento



Si cammina con metà del cervello spento. Siamo essenzialmente sonnambuli nella vita, ossessionati da preoccupazioni per cose che potrebbero non accadere mai e rimpianti per cose che non potremo mai cambiare, mentre fissiamo l'abisso attraverso i nostri telefoni cinquecento volte al giorno.

Quando agisci in modalità predefinita, lasciando che la memoria muscolare, le abitudini e gli stimoli di abili esperti di marketing guidino la maggior parte dei tuoi movimenti, diventi cieco a quasi tutto ciò che accade nel mondo reale.

Non noti nulla.

Quando non presti attenzione, è impossibile provare vera gratitudine per la vita. Sì! La gratitudine implica fermarsi a notare.

La gratitudine è notare come nulla ti abbia fatto male quando ti sei alzato dal letto stamattina, come il cinguettio dei passeri ti abbia sollevato il morale e quanto fosse caldo e sincero il sorriso del barista.

La gratitudine è notare quanto fossero pesanti le palpebre di tua madre quando ti preparava il panino prima di andare a scuola tanti anni fa.

Essere grati in un mondo pieno di rumori forti e immagini luminose progettate per cullarti in uno stato da zombie di costante frenesia e consumismo significa mantenere tutti i sensi aperti e il cervello pienamente impegnato nel mondo reale, non nella distopia virtuale finanziata, progettata e sostenuta da plutocrati, cleptocrati e oligarchi.

Essere grati richiede di essere svegli e di partecipare attivamente al mondo reale. Ti chiede di rallentare e notare.

La gratitudine non consiste nel dire "per favore" e "grazie". Non significa tenere una lista di cose per cui essere grati. La gratitudine è la consapevolezza del mondo che ti circonda e del ruolo, piccolo ma importante, che svolgi nel dramma dell'universo.

Significa spostare l'attenzione da te stesso e concentrarla sulle persone, le piante e gli animali che ti circondano. È una pratica olistica in cui ti risvegli lentamente al fatto che tu, i tuoi pensieri, i tuoi sentimenti, i tuoi stati d'animo e le tue azioni siete interconnessi con tutto il resto. Non sei una roccia. Non sei un'isola. Sei un pezzo di puzzle, un ecosistema.

La gratitudine non è solo una sensazione passeggera, come un brivido lungo la schiena o il calore di una tazza di cioccolata calda in una sera d'inverno. La gratitudine è una forma di consapevolezza. 

Essere grati ed essere consapevoli sono inseparabili. Non puoi essere intrappolato nel passato o nel futuro ed essere grato. Devi esistere nel presente, consapevole di ciò che sta accadendo, per essere grato. Una volta che impari a vivere nel presente, scoprirai che puoi guardare indietro e avanti e trovare più cose per cui essere grato, ma la tua consapevolezza rimane radicata nel presente.

Se si vuole essere consapevoli, se si vuole diventare più grati, bisogna anche cercare meraviglia e calma. Così da vivere in armonia con il proprio mondo, pur rimanendo sufficientemente distaccati da notare ciò che sta accadendo. Sono un modo di diventare lo stagno e notare le increspature che si muovono attraverso di noi quando la roccia ne sconvolge momentaneamente la superficie, mentre le si permette di attraversarla.

Notare, quindi, è il cammino verso la gratitudine. Se vuoi essere più calmo, più pieno di meraviglia, più grato e più consapevole, devi iniziare a prestare attenzione.

Devi svegliarti.

venerdì 28 novembre 2025

Il piacere della sosta riflessiva



Lev Tolstoj, romanziere, filosofo e pensatore morale, ha trascorso la sua ultima parte della vita interrogandosi sul significato della vita, sulla moralità e su come vivere bene.

Il suo consiglio più importante è la cosa che tutti noi facciamo fatica a seguire. 

Egli scrisse: "Se, quindi, mi chiedessero il consiglio più importante che potrei dare, quello che considero il più utile agli uomini del nostro secolo, direi semplicemente: in nome di Dio, fermatevi un attimo, smettete di lavorare, guardatevi intorno".

Abbiamo bisogno che più persone non facciano nulla di proposito. Che siano consapevoli di tutto ciò che le circonda. Che si fermino e siano qui ora. Che facciano un passo indietro. E vedano ciò che conta.

Ma guardare cosa? 

Iniziate da ciò che vedete, sentite e percepite. Ascoltate la persona con cui state parlando. Notate tutto ciò che vedete mentre andate al lavoro. È un'abitudine semplice. Ma vi riporta alla realtà. Vi allontana dall'ansia del futuro. E vi aiuta a vivere la vita concreta ora.

Il filosofo Søren Kierkegaard pensava che fermarsi a non fare nulla fosse necessario per la "presenza" con il nostro essere per cui disse: 

L'ozio in quanto tale non è affatto una radice del male; al contrario, è una vita veramente divina, se non ci si annoia... L'ozio, quindi, è così lontano dall'essere la radice del male che è piuttosto il vero bene. La noia è la radice del male; è ciò che deve essere evitato. L'ozio non è il male; anzi, si può dire che chiunque non ne abbia la percezione dimostra con ciò di non essersi elevato al livello umano.

La ricerca di tutto ciò che pensiamo possa renderci "produttivi" è solo una serie di diversivi che ci lasciano nella condizione più terribile di tutte: persi in noi stessi. Il movimento fine a sé stesso ci isola da noi stessi.

Tutti abbiamo bisogno di pause consapevoli per essere semplicemente noi stessi. Abbiamo bisogno di prospettiva. 

La scusa che giustifica il fare senza sosta, è dire che si tratti di "qualcosa di importante". 

Fermarsi consente di “vedere” le proprie paure, errori, contraddizioni. Ma questo aspetto la maggior parte delle persone non lo coglie. 

Fermarsi significa affrontare sé stessi. È un audit interno. È porsi le domande difficili mentre si è fermi. Perché lo sto facendo? Questa attività ha un significato? Sto trattando le persone che amo con attenzione e cura, o le sto solo gestendo tra un compito e l'altro? Sono tutte domande scomode le cui risposte potrebbero non piacere.

È più facile continuare a muoversi. Ma se saltate la sosta, perdete la chiarezza per i vostri prossimi passi. Diventerete spettatori della vostra stessa esistenza.

Più spesso ti fermi, più vedi la tua realtà, meglio scegli di proposito. E più scegli, più ti senti vivo. Ti rende intelligente. 

Noti gli schemi, le conseguenze, le esperienze e i compiti che contano. Il potere di notare, di agire consapevolmente, cambia la vita. 

Le relazioni hanno bisogno della tua presenza per sopravvivere. Il lavoro ha bisogno della tua intenzione, non del tuo panico.

Fermarsi per pochi minuti alla volta, è la chiave per la propria sanità mentale. Ed è la cosa necessaria che si può fare per sé stessi. 

È il modo in cui vedi la vita più chiaramente. 

Ti rendi conto che gran parte dello stress e dell'ansia della vita sono facoltativi. 

Fermarsi significa letteralmente dirsi: vedo. Scelgo. Sono importante.

giovedì 27 novembre 2025

L'aspetto positivo della parola "egoismo"



Leggendo dal dizionario il significato della parola egoismi, trovereste: "Amore eccessivo ed esclusivo di sé stesso o valutazione esagerata delle proprie prerogative, che porta alla ricerca permanente del proprio vantaggio, alla subordinazione delle altrui esigenze alle proprie e alla esclusione del prossimo dal godimento dei beni posseduti."

A questo punto diventa impossibile rifuggire dall'idea che l'egoismo sia una malattia dell'anima da cui vaccinarsi.

L'egoismo è un valore positivo se una persona mettesse sé stessa al primo posto e vivesse correttamente per il proprio bene nel rispetto degli altri.

Però, il pensiero comune confonde questo aspetto della parola egoismo e la interpretano come uno slogan o un'arma, trasformando il significato in qualcosa di terribile.

L'idea centrale non è dover usare gli altri come oggetti per soddisfare i propri bisogni. Non è un modo per sfruttare gli altri. Il punto è che non devi essere costretto a trasformarti in un oggetto da usare per gli altri; devi dare rispetto alla tua vita e i tuoi valori.

Ma molte persone “vedono” la parola e le assegnano la licenza per maltrattare gli altri. 

A causa di questo uso improprio, la parola “egoismo” ha un sapore amaro, cattivo: diventa qualcosa che le persone temono o rifiutano.

Le parole stesse possono essere fuorvianti. Proprio come i bambini imparano le etichette prima di comprenderne il significato, spesso accettiamo un concetto senza comprenderlo appieno. 

Ad esempio, una madre potrebbe avvertire suo figlio di aiutare sempre gli altri, dicendo: “Se aiuti gli altri, loro aiuteranno te”. 

Questo consiglio viene insegnato e ripetuto, ma non dimostra ciò che è giusto o vero in ogni situazione. 

Allo stesso modo, sentirsi dire fin dall'infanzia che “l'egoismo è sbagliato” e non contestualizzarlo alle diverse situazioni, può impedire di comprendere il sano rispetto di sé.

La natura ci mostra un quadro più sfumato. L'interesse personale esiste naturalmente nella vita, anche negli alberi, nelle nuvole e nei fiori, ma non sempre si manifesta come crudeltà. 

Prendiamo le nuvole: quando scaricano la pioggia, nutrono la terra e tutto ciò che cresce su di essa. Un albero produce frutti e offre ombra, ma cresce anche per sé stesso. I fiori sbocciano e diffondono il polline senza malizia; la loro natura è quella di dare e di realizzarsi allo stesso tempo. L'“egoismo” della natura spesso porta a un vantaggio reciproco: abbondanza, non danno.

Contrastiamo questo con il comportamento umano che porta il nome di “egoismo”, ma che in realtà è egoistico al punto da causare danni. Prendiamo ad esempio un politico che svolge il servizio pubblico solo come mezzo per conquistare popolarità e voti. La sua gentilezza è calcolata: non è una generosità naturale, ma uno strumento per ottenere potere. Questo tipo di “egoismo” crea corruzione e vuoto.

Quindi il punto è semplice: amare sé stessi e prendersi cura della propria vita non è automaticamente immorale e non dovrebbe essere demonizzato. Allo stesso tempo, dobbiamo criticare e rifiutare la variante dell'egoismo che tratta le altre persone come semplici strumenti per il proprio guadagno.

Dobbiamo distinguere il vero rispetto di sé, che può coesistere con la gentilezza e la generosità, dal mero interesse personale che danneggia gli altri.

Se una persona eccezionale dona liberamente e in silenzio, la sua generosità è autentica. Non ha bisogno di applausi. 

Quando la generosità è reale, attira l'abbondanza come la pioggia attira la vita. Ma quando l'“aiuto” è solo una messinscena per ottenere un vantaggio personale, diventa vuoto e dannoso.

mercoledì 26 novembre 2025

Persone altamente sensibili



Ci sono persone al mondo che sentono tutto un po' più profondamente. Quelle che ti contattano senza motivo. Che ricordano le piccole cose che hai detto di sfuggita. Che mandano un messaggio solo perché qualcosa gli ha ricordato te.

Sono quelle che restano alzate fino a tardi a preoccuparsi per gli altri. Che portano con sé un peso emotivo che non è mai stato loro, semplicemente perché ci tengono. Noteranno il più piccolo cambiamento nel tuo tono e ti chiederanno se stai bene e lo pensano davvero.

Ma spesso vengono etichettate. "Troppo". "Troppo sensibili". "Pensano sempre troppo" o "troppo sensibili", ma non sono ingenue o stupide! 

È così che sono fatte!

Come se essere emotivamente disponibili fosse qualcosa di cui vergognarsi. Come se la connessione genuina fosse obsoleta in una società definita "moderna".

Queste persone, quelle che sentono, quelle che ricordano, quelle che si fanno avanti, non sono rotte. Non sono appiccicose o deboli. Semplicemente si rifiutano di indurirsi in un mondo che continua a cercare di convincerle a farlo.

E forse ci tengono un po' più della maggior parte delle persone. Forse si fanno avanti senza che nessuno glielo chieda. Forse si fanno sentire troppo spesso e si fermano un po' più a lungo del dovuto.

Ma in un mondo pieno di conversazioni fiacche e risposte dimenticate, sono loro che scelgono ancora di interessarsi e questo conta.

In un mondo che si mostra quasi sempre duro e disinteressato, queste persone brillano di luce propria, riflettendo una bellezza d'animo rara, così da farci dimenticare i tanti "chi se ne frega" che occupano insensibilmente il globo terrestre. 


martedì 25 novembre 2025

L'importanza dell'Altro, secondo Lévinas



Sono davvero poche le persone che si fermano a chiedersi come si genera il significato nelle loro vite in rapporto agli altri. Potrebbe trattarsi della carriera, della famiglia, del servizio di beneficenza ai bisognosi e, se siete fortunati, di un insieme di queste cose.

Certamente, la relazione con l'Altro è fondamentale in vista di un'etica individuale e sociale. Molti filosofi hanno affrontato questo tema tra cui Lévinas che lo ha sviluppato in modo originale.

Emmanuel Lévinas (1906–1995) è stato un filosofo e scrittore lituano di origine ebraica. La sua opera principale è “Totalità e infinito: saggio sull'esteriorità” (1961), che offre una descrizione originale dell'Altro.

L'opera esplora la relazione etica tra il sé e l'Altro, che definisce esteriorità. Egli nega un'esistenza che sia principalmente essere o conoscere, sostituendola con responsabilità e relazione. 

Un altro fulcro della sua filosofia sono i concetti totalizzanti, che apparentemente riducono l'Altro a un essere conosciuto e controllabile, mancando di rispetto alla sua capacità trasformativa.

Lévinas sostiene anche l'alterità radicale (alterità) dell'Altro, con l'etica che nasce dall'incontro diretto con esso. 

Secondo il filosofo, non si deve tentare di comprendere e sussumere l'Altro nel proprio quadro concettuale, poiché ciò violerebbe l'imperativo morale di preservare la sua irriducibile differenza.

Per Lévinas, l'Altro precede il sé e l'essere, emettendo una richiesta infinita e mai pienamente soddisfatta

Pertanto, l'etica non consiste nel soddisfare questa chiamata, ma nel mantenere lo sforzo continuo per rispondervi.

Gli studiosi hanno criticato il suo lavoro per essere troppo astratto, per la sua romanticizzazione dell'Altro e per la sua incapacità di tenere conto dei bisogni dello Stato. Lévinas riconfigura oggettività e soggettività, rendendo poco chiara la formalizzazione dell'etica mentre eleva l'incontro dialogico a una posizione di primato.

Le interazioni con l'Altro possono distorcersi quando sono guidate da desideri di potere o di piacere (o entrambi), trasformando la relazione etica in una relazione di controllo e manipolazione, e minando così l'obbligo morale di soddisfare i suoi bisogni.

Questo quadro etico si rivela anche difficile da estendere oltre l'ambito interpersonale. Quando applicato alle istituzioni o allo Stato, ciò che costituisce un comportamento etico rimane irrisolto, poiché la responsabilità è distribuita, astratta e vincolata da principi di giustizia imparziale.

lunedì 24 novembre 2025

Un monito di Nietzsche



Se dovessi vivere questa vita, la tua vita attuale, ogni gioia, ogni dolore, un numero infinito di volte, la sceglieresti ancora? Il controverso filosofo Nietzsche pensava che la domanda di "verifica personale" che hai appena letto potesse aiutarci a tornare alla nostra "ragione d'essere". Il compito, dice, è "vivere la tua vita in modo tale da desiderare di viverla di nuovo".

"Se, in tutto ciò che desideri fare, inizi chiedendoti: sono sicuro di desiderare di farlo un numero infinito di volte? Questo dovrebbe essere per te il centro di gravità più solido... La mia dottrina dice che il compito è vivere la tua vita in modo tale da desiderare di viverla di nuovo – perché lo farai comunque! Se l'impegno ti dà la sensazione più elevata, allora sforzati! Se il riposo ti dà la sensazione più elevata, allora riposati! Se l'adattarsi, il seguire e l'obbedire ti danno la sensazione più elevata, allora obbedisci! Assicurati solo di arrivare a conoscere ciò che ti dà la sensazione più elevata, e poi non risparmiare mezzi", scrisse Nietzsche.

La sua saggezza è un filtro pratico per la vita.

Se cliccassi "ripeti" sulla tua vita, saresti soddisfatto delle tue attuali routine, rituali, abitudini e impegni?

Questa è la regola fondamentale. Il nocciolo della questione è che stai già vivendo in modo ripetitivo. Il ciclo delle tue abitudini. Il ciclo delle tue scuse. E tutti i comportamenti che mettiamo in pratica inconsciamente. Quindi perché non scegliere di proposito i cicli?

Nietzsche ti sta dicendo di fare la stessa cosa con la tua vita, ma con meno luci fluorescenti. Desideri esistenzialmente tutto ciò che hai o ti piace solo l'idea di desiderarlo?

Nietzsche dice: qualunque cosa ti dia la sensazione più elevata (ricerca, riposo, obbedienza, creazione), falla senza trattenerti. Le persone leggono Nietzsche e danno per scontato che li stia spingendo a essere guerrieri della forza di volontà.

Tutto ciò che chiede è: "Segui il tuo vero nord?"

Qualunque cosa significhi per te. Ripeti abitudini che ti fanno sentire vivo? Abbastanza vivo da dire di sì alla vita? Se la risposta è no, quello è il tuo segnale. Non per sconvolgere la tua vita. Ma per aggiustare qualcosa. Qualcosa di piccolo. Qualcosa di reale.

Nietzsche avrebbe potuto dire "eterno ritorno".

Prova la micro-correzione di rotta in modo da non perdere tempo in cicli di abitudini che significano tutto per te.

Premi "ripeti" nella tua vita attuale?

In caso contrario, direbbe: "Allora perché ripeti quei comportamenti?"

Se, in tutto ciò che desideri fare, inizi chiedendoti: "Sono sicuro di volerlo fare un numero infinito di volte?"

Questa dovrebbe essere per te la domanda esistenziale più onesta. Questo è il segreto. Prima di farlo,

Che tu stia facendo un compito, iniziando quella relazione o sprecando una serata in preda alla rabbia, poniti la domanda.

Ripeterei questa scelta per sempre?

La risposta ti aiuta a trovare chiarezza.

Il compito è vivere la tua vita in modo tale da desiderarla di nuovo, perché la vivrai comunque! Trova il tuo allineamento. Trova ciò che ti fa sentire più vivo e poi abbandonati a esso senza scuse.

Come disse Nietzsche: "Se l'impegno ti dà la sensazione più elevata, allora impegnati! Se il riposo ti dà la sensazione più elevata, allora riposati! Se adattarti, seguire e obbedire ti danno la sensazione più elevata, allora obbedisci!".

Il punto non è cosa scegli. È che lo scegli consapevolmente. È che ne possiedi le conseguenze per il resto della tua vita. Chi si impegna e si esaurisce, maledicendo la propria ambizione, ha fallito la prova. L'anima obbediente che prova risentimento per la propria vita ha fallito la prova. La prova è l'accettazione totale e radicale del percorso che hai scelto.

Applichi la saggezza di Nietzsche essendo spietato con te stesso. Rientrando in te stesso.

Non risparmiare mezzi per strutturare la tua vita attorno a quella sensazione che ti fa star bene. Questo è il compito. Una responsabilità personale. Costruisci una vita così autentica che l'idea della sua ripetizione non sia una minaccia, ma un trionfo.

Smetti di fingere di volere cose che non vuoi. Smetti di scusarti per ciò che ti illumina o meno. Scegli la tua "sensazione più elevata" e seguila.

Se la giornata di oggi durasse all'infinito, cosa cambieresti?

Qualunque cosa ti venga in mente, inizia da lì. Costruisci una vita che non solo vivresti, ma che potresti rivivere in ciclo eterno.

domenica 23 novembre 2025

Messaggi nascosti


Gli eventi naturali si raccontano all’uomo ed egli traduce tutto a se stesso attraverso una specie di super-comunicazione che avviene in modo del tutto personale. Il senso interpretativo, inserito nel paradigma del pensiero comune, è accolto e condiviso in una specie di copia non autentica del significato più intimo. 

Le esperienze di vita sono intrinsecamente non comunicabili. Possono certamente essere scritte e raccontate, ma difficilmente trasmettono il senso profondo. Arrivano al lettore con parole ordinate in frasi che hanno un accurato senso logico, ma prive di peso del vissuto. Lo scrittore potrebbe infuocarle con la sua bravura, con il suo calore e perfino con un ideale tono di voce, ma otterrebbe solo attenzione e compiacimento. 

Alcuni rimangono impressionati dall’enfasi, dallo stato di agitazione, dalle espressioni straordinarie del comunicatore, ma difficilmente, il senso dei contenuti tocca l’anima nella dimensione reale. 

Nel momento in cui si vuol comunicare un’esperienza vissuta, l’ascoltatore/lettore promette, ma non manterrà la promessa, che comprenderà il senso più intimo mentre offre la sua solidarietà in cambio della promessa mancata. Il baratro tra due vite non si può superare fin quando si è vivi.

Non intendo dichiarare guerra a una superficialità diffusa, che in alcuni casi potrebbe anche esserci, vorrei invece porre l’attenzione sul modo di rispondere all’esperienza dell’altro, che definirei “naturale”.

Ho sperimentato l’impossibilità di camminare e di manifestare in pubblico l’handicap. Vi assicuro che si è protagonisti di una comunicazione silenziosa molto articolata e presente nella maggioranza delle persone, indipendentemente se si è conosciuti o no.

La malattia o l’handicap, per esempio, sono “visti” inconsciamente come un male che si vuole esorcizzare e si tenta un’emarginazione sotterranea della persona colpita.

A livello di coscienza, poiché l’emarginazione non è una virtù, si reagisce con atti esteriori formali di solidarietà.

Questa interpretazione “cattiva” delle reazioni del prossimo, la riscontriamo in modo palese (assenza di coscienza) anche tra gli animali, i quali addirittura minacciano l’esemplare menomato che chiede sostegno dal gruppo.

Se ci fate caso, le occhiate che vogliono apparire fugaci o casuali, le pause di colloquio che si notano alla vista di una persona menomata, sono momenti intensi di comunicazione senza parole.

I contenuti del colloquio nascosto sono chiarissimi e fanno molto male a chi, oltre al danno, riceve la beffa.

sabato 22 novembre 2025

Una tenera storia d'amore



Valeria, una ragazza di città introversa e timida, concentrata sullo studio. Per Valeria, l'amore non era nei suoi piani. Eppure il destino, la tenacia e una cerchia di amici avevano altri piani per lei. Il mondo universitario di Valeria ruotava attorno ad Anna, la sua migliore amica giocosa e schietta; Rosa, silenziosa e riflessiva come lei; e Carlo, il suo confidente protettivo le cui battute spesso mascheravano sentimenti più profondi.

Andrea, il suo amico più grande, era costante, attento e completamente ignaro di quanto avesse già catturato l'attenzione di Valeria.

Poi c'era Aldo, carismatico e civettuolo, le cui buffonate giocose suscitavano sentimenti che lui a malapena capiva.

Arrivò un evento universitario. L'auditorium dell'università pulsava di energia. Valeria aveva accettato con riluttanza di partecipare all'evento universitario, trascinata da Anna e Carlo. Musica, luci, risate, tanti concorsi e premi. Era travolgente, ma seguì le sue amiche, nascondendosi dietro il nervosismo.

Quando fu annunciato il Premio per il Miglior Sorriso, fu il nome di Valeria a emergere tra le chiacchiere. Lei si bloccò a metà respiro mentre la sala esplodeva, con applausi che si gonfiavano, mani che battevano, sedie che strisciavano mentre la gente si alzava ad applaudire.

Ma tutto quel rumore si dissolse nel momento in cui i suoi occhi incontrarono Andrea. Non stava semplicemente applaudendo educatamente come tutti gli altri. Aveva la macchina fotografica alzata, ferma e decisa, catturando l'esatto momento in cui il suo shock le balenò sul viso. La sua attenzione non vacillò; il suo sguardo era quasi troppo intimo per una stanza così affollata.

Qualcosa dentro di lei si irrigidì. Il suo respiro si fece affannoso. Il suo battito cardiaco si fermò. Per un attimo, sospeso, la festa intorno a lei si offuscò, come se l'intero evento si fosse ridotto allo spazio tra il suo obiettivo e il suo sorriso tremante.

Rosa, in piedi in silenzio lì vicino, osservava Andrea. La sua ammirazione per lui rimaneva inespressa, nascosta agli angoli dei suoi occhi attenti. Carlo, sorridendo al rossore di Valeria, provò una fitta di desiderio. L'aveva sempre protetta, e ora temeva che l'attenzione che riceveva potesse condurla altrove.

Nei giorni seguenti, Valeria si ritrovò a volte a gravitare verso Andrea, a volte a ritirarsi da lui, senza capirne il motivo. Negli angoli delle biblioteche, nei corridoi silenziosi, nei gruppi di studio o alle feste di compleanno, faceva "domande" solo per sentire la sua voce, ascoltare le sue spiegazioni o stare con lui. E in altre occasioni, lo ignorava completamente, come se fosse invisibile. Le piaceva la sua compagnia, ma non ne capiva il motivo, e questo era uno dei motivi principali per cui voleva evitarlo.

Le prese in giro giocose di Aldo continuavano incessanti, rivolte sia a Valeria che ad Anna. Valeria non prendeva mai sul serio Aldo e lo tollerava solo per via di Anna. Tentò molte volte di impedire ad Anna di stare con Aldo. Ma niente funzionò per lei. Aldo spinse Valeria a unirsi ai circoli di studio e sussurrò qualche battuta ad Anna. Valeria si sentì agitata ma curiosa; Anna rise ma in segreto si sentì addolorata.

Rosa osservava in silenzio, senza mai entrare nella mischia, mentre Carlo rimaneva vicino a Valeria, protettivo e vigile, consapevole del fascino di Aldo e della silenziosa pazienza di Andrea.

Un pomeriggio piovoso, il gruppo si riunì sotto una tettoia semidiroccata dopo le lezioni. Andrea rimase a pochi passi di distanza, osservando in silenzio le sottili reazioni di Valeria, in attesa del momento giusto per entrare in sintonia.

Il caos giocoso finalmente terminò quando tutti corsero avanti a prendere qualcosa da mangiare. Valeria e Andrea rimasero soli.

"Valeria," iniziò Andrea dolcemente, "non sono qui per distrarti. Mi... importa solo."

Valeria sentì un calore che la fece esitare, poi si sporse leggermente in avanti. "Lo so... Ma non credo che funzionerà", sussurrò, una confessione semplice ma carica di significato e confusione.

Nel frattempo, Carlo osservava da lontano, con il cuore stretto. Gli era sempre piaciuta Valeria, ma si rese conto che lei era attratta da Andrea. Anna, con il cuore che batteva forte, notò le occhiate casuali di Aldo a Valeria, suscitando un misto di confusione e gelosia. E Rosa, silenziosa come sempre, osservava semplicemente Andrea e Valeria, con emozioni stratificate ma inespresse.

Le dinamiche rendevano ogni incontro un delicato equilibrio: risate mescolate a tensione, amicizia intrecciata a sentimenti inespressi, amore che sbocciava nel silenzio.

Una settimana dopo, durante una sessione di studio pomeridiana in biblioteca, Valeria finalmente si concesse di soffermarsi vicino a Andrea. La loro discussione sugli orari delle lezioni e sugli insegnanti fluì senza sforzo. Lui la guardò dall'altra parte del tavolo e disse, dolcemente: "Voglio saperne di più su di te".

Il cuore di Valeria batteva all'impazzata. Voleva negarlo, ma la verità era innegabile. "E tu sei un mistero per me", ammise.

Fuori, Carlo chiuse silenziosamente il suo portatile, fingendo di controllare i messaggi, mentre Anna si allontanava per prendere dell'acqua, fingendo indifferenza. Aldo era distratto da un altro progetto nell'angolo, ignaro della sottile tempesta di sentimenti che lo circondava.

La loro storia non è esplosa da un giorno all'altro. È cresciuta attraverso piccoli gesti, come bigliettini ed email condivisi, tranquille sessioni di studio, passeggiate sotto gli alberi del campus e incontri discreti. La timidezza di Valeria ha lentamente lasciato il posto alla fiducia; la presenza costante di Andrea è diventata la sua ancora.

Nel frattempo, le amicizie sono durate: la lealtà di Carlo, l'amore segreto di Anna, la silenziosa ammirazione di Rosa, l'energia giocosa di Aldo, creando una delicata rete emotiva che ha incorniciato le loro vite nel campus.

Alcune storie d'amore sono forti e veloci. Altre, come quelle di Valeria e Andrea, si sviluppano in silenzio e sono persistenti, pazienti e, in definitiva, indimenticabili.

venerdì 21 novembre 2025

Nuova intervista a Fabio Squeo per la recente pubblicazione

 

È appena uscito il nuovo libro del saggista e poeta, di origini molfettesi, Fabio Squeo.

Da alcuni giorni è disponibile sulla piattaforma Amazon il suo ultimo lavoro, “Lo sguardo nel tempo della filosofia” – Secondo Volume.

In esclusiva per la nostra testata, Fabio Squeo presenta il suo ultimo lavoro.

Essendo questo il Secondo Volume viene spontaneo pensare che questo rappresenta l’inizio di un progetto che mira a formare una collana. Perché e quanti volumi sono previsti in totale?

Si, l’intenzione è proprio quella di realizzare una collana articolata in dieci volumi” – esordisce Fabio Squeo – “Il motivo è quello di offrire una visione vasta, ampia fino a sembrare sterminata, quasi infinita, degli autori che popolano la scena filosofica. L’obiettivo non è solo quello di presentare i pensatori più noti, ma far emergere anche quelle voci meno celebrate, meno conosciute, ma non per questo meno importati. Si tratta di autori che, pur rimanendo spesso ai margini dei manuali tradizionali, hanno apportato contributi importanti e decisivi alla costruzione del pensiero filosofico e meritano, a mio avviso, di essere riscoperti e valorizzati. Probabilmente avrò elevato al rango di “filosofo” anche qualche autore che, in fondo, sapeva di rimanere confinato nel quadro di una produzione più propriamente letteraria. Tuttavia, l’audacia di certe pagine, la profondità delle intuizioni o la capacità di toccare temi concreti e universali mi hanno spinto a considerarli, almeno in parte, come autentici protagonisti del pensiero”.

La Filosofia sempre protagonista dei tuoi libri. La tua sembra quasi una scommessa... Far innamorare i lettori del pensiero filosofico espresso da nomi noti ma anche da nomi poco conosciuti.


Più che una scommessa - magari lo è, in parte - mi sembra una promessa che faccio prima a me stesso” – sottolinea Fabio Squeo – “quella di provare a far innamorare, o quanto meno a suscitare curiosità dei lettori, verso il pensiero filosofico, anche quando si tratta di nomi poco conosciuti e spesso mai sentiti prima. Il mio intento è mostrare che la filosofia, indipendentemente dai manuali o dal grado di istruzione, può sorprendere chiunque, rivelando il suo fascino anche dove meno ce lo si aspetterebbe”.

Ricordiamo che nel primo volume, tra i nomi noti, c’è anche l’amato Vescovo don Tonino Bello con un riferimento all’attualità della filosofia del grembiule. Un’anticipazione del secondo volume ... qualche nome del nostro territorio, a noi conosciuto?


Nel secondo volume ho semplicemente proseguito l’analisi degli autori, ampliando ulteriormente lo sguardo” – rivela Fabio Squeo – “E tra le figure legate alla nostra Puglia, compare Giovanni Bovio, nato a Trani, una personalità di straordinaria forza intellettuale: colto, rigoroso, filosofo e politico insieme. La sua coerenza morale e conoscitiva lo rende un esempio raro nel panorama italiano. A volte mi chiedo perché la politica attuale non riesca a esprimere personalità di questa statura, in grado di unire profondità di pensiero e impegno politico. Bovio dimostra che è possibile”.

Per concludere, oggi si parla tanto di pace, per quello che sta succedendo nel mondo, con le varie guerre in atto. Ma il concetto di pace come si lega col pensiero filosofico?


La pace, in natura, non esiste come la intendiamo noi. Due animali che si scontrano non fanno ‘pace’: seguono semplicemente i loro istinti, senza rancore né cattiveria consapevole” – conclude Fabio Squeo – “La pace diventa necessaria proprio perché l’uomo è capace di cattiveria consapevole: non agisce solo d’istinto, ma può scegliere di fare del male. In questo senso, la pace è l’antidoto alla violenza e alla malvagità umana. L’uomo, a differenza dell’animale, si trova al vertice della natura, con la capacità di riflettere su se stesso e sulle proprie azioni. È questa consapevolezza che ci insegna quanto la pace sia non solo importante, ma essenziale: non solo per il vivere insieme, ma per mantenere l’equilibrio interiore e sociale, per garantire che la nostra coscienza e la nostra umanità non vengano sopraffatte dalla violenza”.

Ricordiamo che il libro è già disponibile sulla piattaforma Amazon al seguente link: https://www.amazon.it/dp/B0G2MGJJ69


di Sabino Pisani

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