lunedì 14 agosto 2017

Killary Fjord





La natura disegna se stessa.
L'uomo racconta della natura.

L'anima si ribella alla muta natura.
La ragione non sa darsi conto.

Atendiamo di sapere di piu' quando faremo parte consapevole della natura.


venerdì 21 luglio 2017

Clandestino


 

Percorro strade inusuali.

Nel lento procedere
stormi di parole affollano la bocca chiusa.

Piccoli pezzi di pensieri raccontano di un passato pesante.

Rivedo un'immagine logorata dal rammarico.
 
Attendo di cadere per tornare a vivere.
 
Sono clandestino in me stesso.



 


lunedì 3 luglio 2017

Oltre confine




 

Guardar vorrei oltre quel confine che i miei occhi impongono; non per scrutar misteri dell’universo ma per buttar oltre la mia anima e dimenticare le miserie del mondo che mi circonda.

Vorrei sentir parole già dette, godere di abbracci conosciuti, pendere da bocche amiche.

Vorrei dimenticare il mio peso per spiccare il volo verso quel lontano orizzonte, cattivo per i miei occhi, ma dolce per la speranza di trovare ciò di cui non so cercare.

Se trovassi il Paradiso e vi prego non datemi dubbio, perché ritroverei la vibrazione continua della mia anima.

Troverei qualcuno che non mi spiega solo a parole che cos’è l’amore.
 

sabato 17 giugno 2017

Mondo illusorio


 
Il pensiero si muove lungo strade abbandonate dalle risposte.
In quei momenti, capisci il significato della solitudine.
Essere soli non è semplicemente una mancanza di compagnia, significa non aver risposte e neanche il modo per procurarle.
Si scava in una mente occupata dai bisogni.
Dopo ogni tentativo di incidere sul fondo dell’anima per giungere all’impensabile, la disillusione ti coglie e ti spiega il nulla.
Quanto risibile è il tuo valore  se non sei tu ad assegnarlo!
Allora, continuo a dimenarmi, riducendomi a  strisciare per i sentieri della consapevolezza. Non trovo nulla per cui cingermi d’alloro; soltanto umili idee per riempire una vita tracciata dalla biologia.
Ma, io dove sono? Sei lì, solo!  
Attendo che mi spuntino le ali per abbandonare questo corpo, prigione e castello incantato, dove ovunque regna l’illusione. 
 

lunedì 3 aprile 2017

Educa la tua mente





La vita di ognuno di noi si compie allo stesso modo. 

Si nasce con l’esigenza di sopravvivere, si cresce cercando risposte e infine, si rimane soli con la propria coscienza. 

In questo percorso, gioie e dolori costruiscono muri nel labirinto di un’esistenza illusoriamente libera di esprimersi. 

Capita, quindi, di volersi immaginare in un mondo completamente diverso, che vada oltre la ragione, dove tutto è veramente straordinario. 

È inevitabile, allora, pensare a un’esistenza non umana che ci garantisca l’assenza di qualsiasi limitazione e ci liberi dai falsi modelli di pensiero. 

Non ci bastano più le promesse della tecnologia come proiezioni dei nostri desideri realizzati nel futuro. Questo stato di latente insoddisfazione ci predispone a cogliere idee non propriamente razionali. 

Sarà, il mio caro ETT (ExTraTerrestre) a riportarci nella realtà. 

Egli ci consiglierà di rimanere nel nostro mondo e di viverlo in pieno, indicandoci la strada. 

Egli ci conforterà dicendoci che siamo unici nell’universo; siamo dotati di un’infinita gratuita potenzialità la quale va ben oltre quella che potremo immaginare. 

ETT non insegna, stimola il lettore nell’intraprendere un percorso di consapevolezza che infallibilmente conduce a una vita di straordinaria, di successo.       

lunedì 20 marzo 2017

Viaggio di Istruzione Ravenna-Bologna


 
La vita è un otre di sorprese. 
Servono occhi particolari per prenderne consapevolezza: gli occhi del cuore.
Sono proprio questi gli occhi con cui un insegnante guarda quando va in gita scolastica.
Immaginate che nessun lavoratore si alza la mattina alle quattro per accompagnare ex-docili minorenni in un viaggio fuori dei confini paesani. 
Non tocco l’aspetto economico poiché con una disamina si rischia di apparire anche stupidi. 
Tornando a raccontare una parentesi di vita durata quattro giorni, la maggior parte della gente non crede come sia possibile dare a ragazzi sedicenni tanti buoni sentimenti in così breve tempo.
Gli insegnanti accompagnatori sono selezionati naturalmente per la loro generosità nel donare un tempo vita prezioso, specialmente per chi, come me, che non può più contare su tanti decenni da consumare ancora.
I superficiali pensano che i docenti “approfittino” della gita per concedersi una vacanza.
Poveretti! Non sanno che cosa sia una vacanza. 
Vivere pochi giorni con giovani in crescita è una esperienza sempre eccezionale. Si colgono opportunità di capire come il mondo cambia e la soddisfazione che, in fondo, i sentimenti rimangono gli stessi.
Oltre che insegnanti, gli accompagnatori sono genitori e il loro ruolo nel viaggio d’istruzione si miscela tra il rigore e la formalità scolastica e la necessità di essere buoni e sensibili educatori.
Vi confesso che per me è piacevole avere gli occhi addosso di teneri giovani che tentano di dimostrarsi “grandi”, di essere di riferimento e attenzione per coloro che vivono nuove esperienze.
L’allegria è la merce in abbondanza in queste occasioni. 
Tutti siamo disponibili al sorriso e a gareggiare con le buone maniere. 
Ovviamente, a volte, l’esuberanza prende il sopravvento ma fa parte del gioco, perché l’accompagnatore deve pur tirar fuori l’autorevolezza che qualsiasi studente si aspetta.
L’aspetto gioviale è tipico per ragazzi che si affacciano alla vita. Basta una pernacchia o una parola un po’ grossa per sollevare polvere di euforia e rumori imbarazzanti. 
Le visite guidate, le lunghe passeggiate, snodavano il serpentone di 50 anime tra strade sconosciute. 
Ogni particolare, diverso dai nostri costumi, era oggetto di furiosa aggettivazione.   
Quando le parole non bastavano applausi liberatori risuonavano nelle strade affollate. 
In quelle occasioni era facile che anche il più timido della carovana si trasformasse in un incontrollabile cavallo pazzo. 
I residenti, sorpresi per il clamore che il gruppone sollevava, mostravano il loro umore oscillando tra l’idea di un gruppo di predoni del sud o quella di un allegro gruppo folcloristico. 
Il loro assunto si intuiva dai borbottii o dai larghi sorrisi che rilanciavano.
I momenti di libertà erano considerati fughe dall’ambiente protetto, usati per sentirsi “grandi” e indipendenti. 
Per fortuna il loro inconscio lavorava a favore degli accompagnatori. Magicamente si muovevano a gruppi come branchi di licaoni a caccia di prede facili. 
In quei momenti, la protezione degli insegnanti si sostituiva con quella del gruppo. 
Il tempo è vigliacco. Quando ci si diverte, passa velocemente. In gita il tempo corre e far tardi agli appuntamenti di rientro è un fatto ricorrente che aggiunge quel pizzico d’ansia a chi ha la loro responsabilità.
Il soggiorno in albergo, fortunatamente, è stato più che piacevole. Agli ambienti nuovi e ordinati si aggiungeva un servizio gentile ed efficiente. 
Non si è riscontrata nessuna avarizia in termini di qualità e quantità del cibo, nonostante la tendenza giovanile ad approvvigionarsi di cibo spazzatura. 
Se non si considera qualche furto di asciugamano, erroneamente scambiato per souvenir, il comportamento dei gitanti può considerarsi accettabile.
L’ingenuità dei più vivaci si scontrava spesso con il ciglio dell’autista che in certe situazioni vestiva le sembianze di Rocky Balboa. 
La bontà del prof Matiritorna annegava nella placidità del suo carattere e come un condottiero di poche parole, riportava nei ranghi i cavalli più agitati. 
Nella marea di maschietti, la dolce figura della prof.ssa Roselli emergeva come la sirena di Rotterdam, tenendo il controllo della rotta e mantenendo costantemente i contatti con la stazione centrale di comando a Molfetta. 
Onore al suo spirito di sacrificio, dovendo accontentarsi di uno spazio risicato nel pullman, considerando extra la sua statura femminile.
In ogni avventura, un fatto straordinario deve succedere per incidere su fatti che diventeranno ricordi.
Per sopperire a questa necessità, ci siamo avvalsi di Giovanbattista, un tenero studente che ricadeva sotto la mia ala protettiva. 
Pensò bene di liberarsi della sua spalla sinistra per qualche ora. In questo modo, mi ha fatto conoscere uno dei migliori punti di pronto soccorso dell’Emilia-Romagna. 
Devo confessare che mi ha fatto trascorrere ore di straordinaria novità. 
Mi sono sentito “Babbo” e osservatore attento di medici e infermieri tutto al femminile. 
Non nascondo la sorpresa di relazionarmi con un ortopedico dalla gentile, esile figura femminile che con approcci fiabeschi ha rimesso a posto la spalla ribelle del dolorante studente.
Va fatto un encomio agli amici di classe di Giovanbattista. Solidali e premurosi con lui nel momento del dolore. Solo per questo meriterebbero la promozione alla quarta classe senza dei voti.
L’ultimo giorno, come nelle ultime scene di un bel film, la comitiva visse l’esperienza del ritorno.
Ormai si erano conosciuti fino in fondo. Pensieri e sentimenti condivisi avevano seminato amicizie più profonde e una maggiore consapevolezza per la quale amare, qualche volta, riesce a uscire dai confini di casa.

  

mercoledì 14 dicembre 2016

Anima sola


È dolce sentir di tuono nel cor solo.
L'amor bussa all'uscio or chiuso.
Ricorda ancora l'aria allegra....
e  l'ora lunga al sorriso mai stanco.

Mani ferme stringono emozioni mai dome.
Il pensier caldo ancor amore infonde.

Attendo il dì ....
'sì che lontano i miei occhi corron
che più luce non sia
e allor dormir nel tuo abbraccio
sarà il dono più alto del Dio del ciel. 

   

lunedì 12 dicembre 2016

Non ci sei più.


Non ci sei più.

Sospesa sul filo del ricordo, la tua immagine oscilla.
Lontana ormai dai tuoi giovani sorrisi.

Non furono parole a sollevare mute emozioni....
soltanto piccoli e brevi sguardi raccontavano di te.

Semplicità e sincerità si muovevano nei tuoi occhi.
La gioia abitava nell'aria che respiravi.
 
Raccolgo nella mia mano 
quella piccola piuma perduta dal tuo cuore.
La custodirò per riportarla da te.

Per pochi attimi il mio cuore alzerà i suoi ritmi..
come un applauso...
 a te che dignitosamente hai vissuto. 
 

lunedì 31 ottobre 2016

Padroni della propria felicità


 
Mi deprimo quando nuvole di grigio si addensano sul mio orizzonte.

Poi, penso alle cose accadute ieri.

Non intendo il giorno prima!

Nemmeno quelli di un mese fa.

Intendo tutti i giorni passati in cui ho avuto la possibilità di imparare e crescere.

Penso alle fatalità che potevano uccidermi.

Penso alle occasioni di cui ho approfittato.

Ricordo le tante situazioni difficili che il passato mi ha presentato, 
ma che in qualche modo ho sopportato e superato.

Da sempre, il futuro mi sembrava promettente.

Tutto questo, ora, mi ricorda 
che sono un uomo capace e libero.

Il successo e la felicità sono dipesi soltanto da me stesso.


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I get discouraged now when there are clouds of gray,
until I think about the things that happened Yesterday.

I do not mean the day before or those of month ago, 
but all the yesterdays in which I had the chance to grow.

I think of opportunities that I allowed to die, 
and those I took advantage of before they passed me by.

And I remember that the past presented quite a plight 
but somehow I endure it and the future seemed all right.

And I remind myself that I am capable and free, 
and my success and happiness are really up to me.

lunedì 24 ottobre 2016

L'equilibrista (di Giovanna Sgherza)


 
Racconto scritto da Giovanna Sgherza.

Non avevo pianto.

Nulla. Nemmeno una lacrima. 

Solo tanto sgomento quando il medico di guardia dell’ospedale mi aveva comunicato la morte di mio fratello.

Lo avrei odiato, se non fossi stato un medico anche io e quindi quasi abituato a convivere con la tragedia della morte.

Ma quando ci si trova “dall’altra parte” è completamente diverso: non vuoi crederci e ti interroghi se quell’uomo che indossa la divisa verde, con ancora la mascherina attaccata al collo, sia soltanto un folle e accanito incubo della tua vita o un guerriero che ha lottato infelicemente contro i mulini a vento..

Avevo guardato il collega e rivolto subito tristemente gli occhi verso l’assistente che mi avrebbe accompagnato a fare il riconoscimento ufficiale della salma.


Il vero dolore è arrivato dopo, quando ho dovuto raccogliere i suoi effetti personali, i suoi indumenti e i suoi libri e metterli via per cercare di cancellare la sua presenza in casa mia.

Ingenuità infantile la mia, o forse tentativo inconscio di nascondere e aggirare la dura verità….

Jenny mi era stata vicina in quei giorni terribili, pur sapendo che avevo bisogno di stare solo con me stesso e di metabolizzare il mio dolore.

Non avevamo quasi mai gli stessi turni in ospedale e, la mia attività di ricerca universitaria mi impegnava spesso nei pomeriggi quando lei invece non lavorava.

A volte compariva radiosa nel mio studio cercando di distrarmi e farmi sorridere, ma puntualmente si sedeva accanto a me e con la sua innata curiosità mi rivolgeva domande sulle mie ricerche, arricciando il naso quando le immagini erano disgustose.

Poi, quando il tramonto si presentava alla piccola finestra del mio studio, rimettevo in ordine i fogli che avevo sparso sulla mia scrivania, controllavo diligentemente che non ci fossero ancora download in corso sul mio computer e, sotto lo sguardo attento e sereno di Jenny indossavo la giacca per uscire e dedicarmi finalmente a lei.

Spesso dopo una breve passeggiata cenavamo fuori, in qualche trattoria lungo il fiume; ma nelle serate più fredde preferivamo rientrare in casa per starcene al calduccio dopo aver cucinato qualcosa insieme.

La mia vita scorreva così: un po’ noiosa, ripetitiva, senza slanci e senza sorrisi, come se qualcosa, dopo la morte di mio fratello, mi avesse trasformato in un automa con un cuore di diodi e metallo privo di qualsiasi sentimento.

Mi rendevo perfettamente conto che la mia resilienza poteva raggiungere a malapena il 10-15% di quanto un uomo possa possedere, e cercavo perciò di reagire positivamente solo nell’ambito lavorativo e professionale partecipando attivamente e proficuamente ai diversi ed interessanti convegni organizzati dalla fondazione di ricerca oncologica di cui ero, da diversi anni, consigliere ricercatore.

Forse un modo per riscattarmi e per pensare meno alla perdita di mio fratello? O forse un modo come un altro per evitare di affrontare i problemi quotidiani e la vita di coppia ormai stanca? 

In ogni caso stare lontani per qualche giorno ci dava beneficio, perché al mio ritorno il nostro abbracciarci e respirarci era più intenso e sentito rispetto a quando ero partito.

Una notte ho fatto un sogno molto strano ma significativo.

Ho sognato mio fratello.

Non mi era mai capitato dal giorno dell’incidente ed ormai era trascorso quasi un anno.

Indossava giacca e pantaloni di colore nero, bellissimo ed elegante nella sua camicia bianca ma era scalzo e camminava su un cavo di metallo tra due dirupi non vicini tenendosi in equilibrio con un’asta flessibile.
Sotto di lui un baratro scuro e indecifrabile.
 
Io ero spaventatissimo, lo guardavo dal bordo della montagna e gli supplicavo di tornare indietro al sicuro, ma lui sorridendo continuava il suo percorso pericolosissimo con una tranquillità angelica che sembrava dirmi: “ non aver paura di camminare sul filo della vita, io sono tranquillo… Vedi? 

Tu invece sei fermo lì che mi aspetti immobile e non hai il coraggio di cambiare e provare a vivere le tue emozioni….”

Mi svegliai di soprassalto, un po’ impaurito e un po’ meravigliato.

Jenny quella notte non era accanto a me perché aveva dormito a casa di una sua amica gravemente ammalata per restarle vicino.

Allora, sentendomi solo come non mai, mi alzai e mi avvicinai alla finestra da cui entrava la flebile luce della notte.

Istintivamente spostai la tenda e guardai fuori.

Un gatto bianco e nero era lì, di fronte a me, in perfetto equilibrio sul bordo della recinzione metallica del giardino e mi fissava ammutolito con i suoi occhi giallo-grano senza muoversi di un solo centimetro.

Non so quanto durò quello sguardo reciproco…certamente mi attraversò senza che me ne accorgessi.

Dopo, quando il gatto mi vide sorridere rincuorato, con un balzo lieve ed elegante fuggì via e in pochi attimi raggiunse il muretto dell’isolato adiacente al mio, scomparendo dalla mia vista.

Indossai il primo pullover che trovai in camera, presi le chiavi e uscii di corsa facendo le scale di corsa. 

Il gatto probabilmente aveva attraversato il cortile adiacente  e poi era tornato sulla strada dove c’era più luce ed era raggomitolato in un cantuccio accanto al contenitore della raccolta differenziata. 

Mi avvicinai con cautela e lo accarezzai teneramente…

Soltanto allora sono riuscito a piangere.

E in quel momento avrei voluto abbracciare mio fratello  e parlargli.

Avevo ritrovato  l’amico a cui parlare e raccontare le mie paure e i miei progetti, con cui guardare le partite in tv, a cui dedicare un pomeriggio fuori dagli schemi in giro con la sua moto, a cui raccontare l’amore per la mia donna…

La sua assenza era rientrata nella mia vita diventando presenza costante  e silente che mi fortificava in ogni momento della giornata e della mia esistenza, anche perché, il figlio che dopo quella notte io e Jenny abbiamo fortemente voluto, ora porta il suo nome.

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