domenica 5 maggio 2013

Mezze verità


opera di Silla Campanini

Forte il desio di albergare nel cuor tuo.
Raffermo l'ardore al vibrar di tutte le membra.

Contemplar bellezza spezza il fiato.

Nulla di massimo soave udir non so.
Tenerezza infinita dipinge l'anima.

Ragionar di causa è cosa sciocca.

L'apparir di riso è guardar il mezzo viso.

Cancellar l'occhio, conviene.
Giudicar suona buffo.

Altro son io,
non per causa mia 
ma per il lesinar quel po' d'amor.

Colorar di vivo o di dolce è opera tua.

Siamo spiriti che di forma irridono 
e di sostanza gioiscono.


Esistono gli ETT? - di Fabio Squeo


 
Aprite gli occhi e guardatevi intorno: se vedete un mondo che cresce, che si agita, che vi parla, che vi stimola, dovete ammettere che c’è stato qualcuno che gli ha dato il via affermava Giovanni Scoto Eriugena. 
L’essere umano, da millenni, è sempre stato un sognatore, affascinato dall'idea “stravagante” di ricercare i segreti insiti nel regno della natura umana e stabilire, eventualmente, contatti con altre civiltà (rispetto alla nostra). 
Egli ha “rinchiuso nei cassetti della propria stanza, la ragione prevaricatrice” e ha deciso di recuperare in extremis il proprio diritto al “volo che porta nella direzione teistica di Dio, Cristo, Buddha, Allah e chi ne ha più ne metta”.
Questa facoltà, tipicamente umana, ha invogliato l’uomo a non demordere, nel pieno di un progresso cognitivo-immaginario sempre più in espansione, e continuare ad osservare il cielo dalla finestrella della propria casa”  sino ad abbracciare quel tutto, chiamato simpaticamente universo.
La prima domanda sorge spontanea:  siamo soli in questo universo? 
La sua ricerca sistematica prende di mira l’indagine filosofica – storica e sperimentale. Essa serve su piatto d’argento forme di ricerca sempre nuove, gravide di fondazioni specifiche, che puntano, nel tempo del dio progresso, a superare ogni realtà attendibile col righello umano, dove essenze evanescenti di nature umane e aliene, rispetto alla nostra specie, si confondono nell'oltre del cosmo.
Qual è l’origine del genere umano? 
La domanda è innocua, ma risalta i tratti tipici di un concetto complesso nelle sue implicazioni teologiche e filosofiche. Esse rivelano il legame con una prospettiva tipicamente universale, in fatto di ricettacoli, di ideologie, di visoni onnipotenti e intuizione geniali da parte di uomini, piccoli, minuti e limitati, ma per determinazione molto curiosi. 
Uno degli esponenti di massimo livello, che ha speso la sua vita (nell'interesse archeologico-sperimentale) per avvicinare mondi lontani, è sicuramente ZECHARIA SITCHIN.  Egli è uno dei massimi rappresentanti della cosiddetta archeologia eretica. 
Egli attribuisce la creazione dell’antica cultura dei Sumeri ad una presunta razza aliena, detta Neflim (in Ebraico) o Anunnaki (in Sumero) proveniente dal pianeta Nibiru, un ipotetico 9° pianeta del sistema solare dal periodo di rivoluzione di circa 3600 anni presente nella mitologica babilonese.
Quando gli Annunaki (termine che significa letteralmente “coloro che dal cielo scesero sulla terra”) scesero sulla terra dettero vita alla prima colonia extra-terrestre.”  
“Quando parlo degli Extraterrestri, dobbiamo pensare ad esseri come noi – più probabilmente, ad esseri più avanzati di noi, per i quali la loro natura è il risultato di contatto fra una parte materiale ed una parte spirituale, un corpo ed un’anima, sebbene in proporzioni diverse rispetto agli esseri umani sulla Terra.
Secondo Sitchin, l’essere umano è figlio della materia aliena. Una commistione di Spirito e materia. La sua denominazione, cioè quella di “uomo” è legata nella prospettiva “della terra o terrestrità” L’uomo è impregnato di terrestrità; esso è condito di essenze e sapori terreni, ciclici, divenienti, misurati col metro della morte [Platone].  L’uomo è un incrocio di esseri perfetti (rispetto a noi) e una imperfezione legata al tenore o sostanza mondana.
I testi sumerici, nonché la Bibbia e altri testi del medio Oriente, rivelano realtà legate all’evoluzione degli Anunnaki o “dei dell’universo”(come li definisce Sitchin).  
“Che la vita possa esistere su altri pianeti è certamente possibile… La Bibbia non scarta quella possibilità. 
Sulla base della Scrittura e sulla base della nostra conoscenza dell’onnipotenza di Dio, essendo illimitata la Sua saggezza, dobbiamo affermare che la vita su altri pianeti è possibile”.
Essi sono responsabili della creazione, stando alle interpretazioni dello storico, e mi permetto di aggiungere: saranno anche la causa di una possibile distruzione o momento di una ennesima rivelazione apocalittica.” 
Lo studio rivela che,  in ebraico Adamo è la configurazione di una realtà umana caricata di senso terrestre. Il termine Adamo significa letteralmente “Colui che è della terra, creato per la terra, appositamente”. 
Questo significa, evidentemente, che l’uomo non fu creato dal niente, quando Dio (precisano le scritture) soffiò nel corpo dell’uomo”: la vita ha preso inizio non dalla ruggine, né dal ferro, dalle montagne o dai mari, ma semplicemente da una “natura superiore o proviene dall'alto, quindi in ultima analisi da qualcosa di sicuramente PRE-ESISTENTE E PRE-COSTITUITO.
L’uomo di Adamo non esisteva ancora, fino a quando giunsero gli extra-terrestri o pre-uomini (con le navicelle degli Annunaki) che conferirono forma e sostanza alle specie viventi sulla terra. Una terra, fertile, dove l’uomo nasce, si sviluppa e perisce. Dove la storia dell’uomo prosegue nella direzione della verità della propria origine affinché un giorno possa fare luce sul sentiero del proprio ritorno.

sabato 4 maggio 2013

Non sapevamo


opera di Silla Campanini

Non sapevo che amare costasse un pezzo di cuore
e che la mia anima scapestrata tradisse il mio sorriso.
credevo che l'amore fosse buono come il pane con la cioccolata. 
Ho confuso sapori ed emozioni.
Ho imbrogliato amore con passione.
Ho barattato un cuore invano. 
Ora
portami un giglio vergine da bramare
sfianca la mia amarezza con impavidi baci
il tuo sorriso sfrontato
scioglierà forse una statua di sale.
Dammi quel brivido che il mio corpo ignora
un letto caldo non basta a farmi innamorare
anche la notte è stanca di ascoltare. 
Un cuore
un pezzo del mio cuore svenduto per un falso amore. 
Ora
portami la luna come mia ultima dimora
e regalami la mia bambola preferita. 
Ho confuso sapori ed emozioni
ho amato un uomo di cartone senza coglioni.
©paola bosca/registrata


Rivedo quel fascio di luce
fuggir per amor ingrato.

Ardori e dolcezze cadono a fiocchi sul cuor gentile.
Brama, ancor coglie per consueta forma.

Risuonar  è d’obbligo all’infinito incanto.

Attonito, soggiaccio a cotanta tristezza.
Dolor vivo s’espande che il verbo non dice.

Troppi tramonti l’amor spense.

Lontana,
la timorosa carezza, il tuo viso sfiora.
Porta con sé un pugno che la viltà stringe.

Vorrebbe trasformar in cenere la speranza tradita.
Vorrebbe  dar forza all’ingenuità del tempo giovane.
Vorrebbe ritrovar il ciel sereno.

E al calar della sera,
quando la tenerezza ormeggia,
ripassar la silenziosa mano a ritrovar il letto caldo, accende il cuore.

Scoprir  è dolce che d'amor si vive.

venerdì 3 maggio 2013

Un dono di Dio


opera di Silla Campanini




Il pensiero è un dono di Dio.

Regalandolo moltiplica se stesso e fa piacere a chi lo riceve. Esso è un bene magico che si regala senza perderlo. 

Forse Dio ha voluto donarci qualcosa di sé, per darci un segno della sua onnipotenza?

Il pensiero è una risorsa a molteplicità infinita, rinnovabile, disponibile in larga scala, a costo zero e a valore indefinibile.

Di Dio si dice di tutto... però, ammettetelo, è originale!

Il pensiero anticipa la realtà, caratterizza l’azione, produce un risultato. 

Dimostriamo il nostro carattere dalle azioni che intraprendiamo. 

Le azioni sono spinte dagli stimoli dettati dal pensiero. 

L’atto rivela ciò in cui veramente crediamo. 

Riveliamo quindi il nostro credo dalle azioni sviluppate. 

Quest’ultime smentiscono il pensiero diverso da quello che ha ispirato l’azione. Il corpo con le sue posture fa da testimone.

La chiarezza del pensiero guida infallibilmente il pensante verso la meta; come un treno in corsa sui binari.

Un pensiero felice ti porta in luoghi gioiosi, espande l’anima, porta fiducia e gioia ovunque.
Il corpo che porta un pensiero felice assume posture di legame e fiducia nel prossimo. 

Difficilmente si ammala e, se dovesse succedere, non lo farebbe sembrare, poiché sarebbe già in ripresa.

Il pensiero positivo cancella dalla memoria il male subito, non concede rimpianti, lamentele, nostalgie. 

Esso riempie di energia il corpo e lo stimola all’azione.

Il pensiero è il frutto dell’albero del sapere. 

Brano tratto dal libro "Il meraviglioso mondo dell'anima" - edito Zedda

giovedì 2 maggio 2013

A spasso nei sogni


Opera di Silla Campanini

Muoversi laddove non si tocca, rende vano il dire.

Chiudo gli occhi per attraversar il vuoto.

Mille rivoli si scompigliano nella schiuma del pensare.

Dondolano ricordi appesi ad oggetti morti.

Riportano l'animo nella culla dell'essere,
 dove echeggiano sensazioni libere dalle forme.

E' inutile inseguire la logica se il cuore comanda.

Il possibile e l'irreale passeggiano insieme per le sfere dei sogni.

Non importa l'utile o il valore.

Non importa il significato.

Tutto è immerso nel piacere di viverle.

Elevo il tuo viso a pretesa di sentir l'amore.

Colgo, impaurite, le emozioni di una vita che la raccontano.




mercoledì 1 maggio 2013

Dolore massimo


Giangrande


Il dolore, il ciglio mostra
incapace a trattener la lacrima 
che adombrar la vista s'affanna.

L'amor tuo,
battuto, piange.

Ancor la forza comandar non vuole,
e la speranza fugge.

Attonito, il pensiero si ferma.

Teme di volare sui cuori infranti di madri e figli. 

Mille altri battiti attendono la pena già massima.


Chino il capo 
e lascio scorrere il rivolo.

Dono il mio pensiero d'amore 
al figlio di Dio.

Muova la pietà, 
sì che i suoi occhi si riaprano.

Accarezzi l'anima della dolce figlia
in attesa del dono più bello che esista.... il sorriso di un padre


  

Il leone e l’orsetta

Nel paradiso una folla di anime si accalcava per iscriversi alle liste delle nuove nascite, purtroppo, quella degli umani era completa, mentre quelle degli animali avevano ancora dei posti liberi.

Due anime Stilla e Goccia, volendo ritornare subito sulla Terra, decisero di accettare di rinascere nella forma animale.

Prima di decidere si scambiarono alcune riflessioni che riporto di seguito.

Goccia: Mi piacerebbe nascere leone così sarei in cima sulla catena alimentare e non avrei da preoccuparmi di nessuno, a parte l’uomo. 

Stilla: Vorrei farlo anch'io, ma mi dispiace tantissimo per il terrore che procurerei alle indifese predi.

Goccia: No, non devi preoccupartene! Non avrai coscienza del tuo operato; dovrai rispondere soltanto all'istinto.

Stilla: Bene! Allora, iscriviamoci a patto che potremmo riconoscerci quando saremo sulla terra. Io chiederò di nascere orso, così mi farò rispettare e potremmo cacciare insieme.

Al momento dell’iscrizione nella lista degli animali, Goccia riuscì a completare la procedura, mentre Stilla, ancora presa dalle sue incertezze, tardò fino al momento in cui la lista si completò e le iscrizioni furono chiuse.

Stilla dovette iscriversi nella lista delle nascite successive per ritrovare il suo amico.

Venne il momento in cui Stilla si ritrovò cucciolo d’orso libera e gioiosa di perdersi nei suoi giochi. 

Nonostante i continui ammonimenti di mamma orsa, ella spesso si allontanava dalla tana, vagabondando per il territorio circostante.

Su una sporgente rupe, fiero e minaccioso, girava lo sguardo di Goccia che da troppi giorni non mangiava. 

La vista panoramica gli fece scorgere da lontano l'orsetta Stilla e senza dar spazio alle esitazioni si lanciò in un forsennato inseguimento.

Stilla, vedendo la minaccia della sua vita venirgli incontro, cominciò a correre a perdifiato per raggiungere quanto prima possibile la sua tana.

La gracilità della piccola orsa e la considerevole distanza della tana, le suggerirono di raggiungere un luogo in cui potesse infilarsi ed evitare l’aggressione.

Pensò di muoversi in direzione di un torrente dove avrebbe avuto qualche possibilità in più di scovare un rifugio adatto.

La corsa ansimante era sostenuta dalla paura di essere raggiunta e questa, lentamente si stava trasformando in terrore poiché non vedeva nulla che la potesse nascondere o riparare.

Ormai il leone si trovava a pochi metri e l'unica via di fuga possibile che gli si presentava al cucciolo d'orso era un lungo tronco d’albero che si affacciava sul fiume come una canna da pesca.

Stilla, all'estremo delle sue forze, pensò: 

“Se mi spostassi fino alla punta di questo tronco, il leone non potrebbe seguirmi, poiché il suo peso lo farebbe cascare in acqua”.

Stilla sembrava che avesse ragione, ma non fece bene i conti con il suo peso che, sebbene fosse apparentemente sostenibile dal tronco, non era nei limiti per evitare la rottura e farla cascare disotto.

Caduto in acqua, Stilla fu travolta dalla corrente e trasportata verso le rapide.

Il leone con eleganti salti tra le rocce che emergevano dalle acque del torrente, si appostò in un punto di confluenza dei rivoli.

Di lì, l'orsetta sarebbe passato per forza.

La sfortuna volle che la corrente trasportasse Stilla proprio davanti all'affamato leone e mentre la poverina si avvicinava al suo destino, ricordò quel colloquio avuto in Paradiso con Goccia e gridò forte:

“Gocciaaaa...... Gocciaaaa....Gocciaaaa..., io sono Stilla! Ti ricordi di me?”.

Il leone s'irrigidì per un attimo dando segni di riconoscerla, quindi rispose:

“Stilla ti ho riconosciuta, ma non posso fare a meno di vederti come un pasto succulento, d'altronde dovevamo saperlo che siamo guidati dall'istinto. 
Dimentica chi eravamo nella vita precedente e se intendi sopravvivere, smettila di impietosirmi e segui l’istinto!”.

Detto ciò, il leone allungò una zampata che irrorò di sangue il viso di Stilla. 

Le strazianti urla di dolore che seguirono richiamarono l’attenzione di mamma orsa che casualmente si trovava lì, celata da un cespuglio mentre dormiva oziosamente riparata dal sole cocente.

La grossa mole dell’orso divenne fuscello al vento quando comprese il pericolo incombente sul suo piccolo e con inaudita rabbia, si diresse verso il leone, che dovette allontanarsi in tutta fretta prima di decidere dove cercare un'altra preda.

La natura non conosce cattiveria, pietà, comprensione, vendetta, cupidigia; 
essa esiste e diviene nell'armonia di un creato di cui noi umani cerchiamo ancora il costruttore.


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