martedì 19 febbraio 2013

Parapallo


 
Con il peccato originale speso sull’umanità, Dio rimprovera se stesso e si offre la possibilità di misurarsi con rivali e alternative che non esistono.

Per dare un’immagine al mio pensiero, raffiguratevi il giocattolo di un tempo che io conosco con il nome di “parapallo”.

Vi confesso che da bambino, Il possesso di questo oggetto fu un miracolo per la mia gioia. 

Intanto non lo avevo acquistato ma recuperato davanti ad un portone, forse abbandonato da qualche mio coetaneo per il quale il povero e sporco oggetto era diventato noioso.  

Il funzionamento del gioco mi sembrava alquanto curioso.

Per chi è troppo giovane perché capisca di che cosa parlo, tento una descrizione. Si tratta di una palla in stoffa ricucita intorno ad un nucleo pesante e morbido. Nei casi più poveri, si trattava di segatura altrimenti plastica morbida o altre stoffe.
(L'immagine in testa al post raffigura un moderno parapallo)

La palla, così imbottita, era legata a un filo elastico facilmente estendibile.
Bastava legarsi l’estremo del filo opposto alla palla, al dito medio della mano per disporre di un’arma e un gioco incredibile.

Lanciando la palla in direzione di un nemico, questa lo colpiva e ti ritornava sulla mano, pronta per essere nascosta, lasciando inebetita la vittima.

Ovviamente, le vittime erano o i compagni di giochi o oggetti rumorosi o in equilibrio instabile.

Tornando al discorso sul peccato originale, Dio lo ha usato come parapallo per trasmetterci l’idea della separazione.

Il parapallo è l’oggetto che ti fa capire la “presenza” di una separazione tra due corpi.

Se vi chiedessi di figurarvi la separazione, suppongo che il vostro pensiero si organizzi con due oggetti attraverso cui passa luce.

Inconsapevolmente, però, ammettete una relazione tra i due oggetti in modo da dar senso alla separazione.

Questa è la magia usata dal Creatore!

Egli ci ha creati diversi e liberi di interagire con il peccato originale.

In definitiva, ci ha lasciato in balia del concetto di separazione.

Dalla separazione l’umanità ha coniato gli egoismi, la sopraffazione, il potere, il ricco e il povero, il buono e il cattivo.

Insomma, nominate due opposti e lì troverete la separazione che, come un parapallo, ci prende in giro in continuazione!

lunedì 18 febbraio 2013

Capirsi






Ritrovo me stesso col fiato caldo a convincerti per le mie verità.

Illuso quanto ingenuo, spendo furor per il mondo sordo.

Onde d’eco solitario si perdono,
 spezzate sulle pareti di un cuore indurito.

Mesto, m’avvio per strade solitarie,
ove attendere nuove leve, conviene.

Rigirar per pensieri insoliti,
la ragion vaga.

Cotanto fiume, nuotar è d’obbligo.

Bagnar di saggezza, l’anima s’accheta.

Ribelle il cor per solitudine avversa,
muove battiti a corto passo.  

Cantar soprano, d’emozion s’impegna.

Increspar pelle che di vita parla, s’adatta.

Speranza vana di rinfrescar aria di antichi sospiri.

Ma son perle e non lacrime, che giran pel viso.

Da occhi celesti, fuggir s’allietano.

Cascar umide per spalle alleate,
è morir d’Amor.

venerdì 15 febbraio 2013

Inconsapevolmente Buoni




Vorrei patrocinare una causa persa!
Non è vero che essere troppo buoni ci si rimette!!
Potrei concedere al massimo, che ..... si prendono posizioni scomode!!!
Essere buoni non è una scelta. 
Quando si mostra tale, allora, si vorrebbe diventare buoni!
Quando si è buoni, ci si mostra drogati in positivo, drogati di bontà.
Buoni inconsapevoli sono i Santi e che per sfortuna, non sanno di esserlo.
Un Santo, per quale motivo dovrebbe far miracoli se, per farli deve scegliere di volerlo? 

Egli è così beato in se stesso che non vede altro se non bontà negl’altri.
Daresti da bere a chi credi che abbia bevuto tanto?
Verseresti acqua in un bicchiere, se credi di vederlo pieno fino all’orlo?

Il problema di chi è buono è che non sa di esserlo, né prova fatica per esserlo
e quindi non sceglierà mai di essere buono.
  

giovedì 14 febbraio 2013

Il bacio dell'Innamorato







Innamorato son di tè, viso dolce.
 
Ameno è il tuo mirar supplichevole,
 arma letale per il cuore senza difese.

Acceso è il tuo sorriso,
brucia gioia per fugar mestizia.

Anche a voi, mute parole,
che timore vi coglie,
l’udir s’arrende.

Scintille  o lampi, non più distinguo,
son cieco del piacer satollo.

Pensier felice,
sfugge al labbro.

Sfrontato osa  copiar l’anima.

Lasciar traccia, vorrebbe,
e adagio, posa passione,
qual timbro di eterno amore.
    

La cima della montagna




 
  La vita di una persona è un continuo risalire.

Si nasce in un’area molto depressa, anche parecchi metri sotto il livello del mare. 

Non si ha nessuna consapevolezza di esistere e si procede per tentativi per autenticarsi e impossessarsi di un’identità.

Crescendo, si esplorano le aree limitrofe e non si ha nessuna cognizione sull’estensione del territorio; ci si trova in una sconfinata vallata.

S’immagina di poter andare ovunque.

Ad ogni progetto di vita, ad ogni scelta, sottende la convinzione di un mondo senza confini.

Procedendo con gli anni e con l’esperienza delle sconfitte, si conosce l’amico dubbio.

La fatica ci fa notare i primi pendii e lo sguardo non ha la sua consueta traiettoria orizzontale.

Abbiamo l’impressione di sollevarci lentamente dalla terra.

Accusiamo un distacco crescente dagli altri.

Non ancora si capisce da che cosa dipende; se siamo noi che procediamo in una direzione diversa dal solito o se sono gli altri, rimasti fermi nella vallata.

Mentre l’incertezza rallenta il nostro passo, ci sentiamo più saggi e la parola responsabilità assume un significato più serio.

Gli anni cominciano ad apparirci più corti e allora che ci rendiamo conto che stiamo sulle falde di una montagna.

Percorrere il suo sentiero è più arduo!

Il corpo sembra accorgersene tutto ad un tratto!

Le pause diventano necessarie e ci ritroviamo spesso seduti ad ammirare l’orizzonte che ora appare chiaro e vicino.

Gli amici li sentiamo un po’ più lontani e chi amiamo, vorremmo legarli a noi.

Il tempo comincia a misurarsi in “quanto manca per” e intanto la cima della montagna si avvicina.

Solitari, e con tanto freddo nel cuore, siamo sollevati migliaia di metri dal suolo.

Siamo in un altro mondo, completamente diverso da quello dei figli e dei giovani.

La comunicazione, per l’aria rarefatta della montagna e per via della distanza notevole, ci sembra impossibile.

Portiamo molto oro con noi, ma non sappiamo a chi darlo. I giovani dimorano molto lontano da noi e non sanno riconoscerlo.

Per qualcuno di noi, i sensi si sono raffinati; riescono a farci uscire temporaneamente dal corpo e a farci sognare ad occhi aperti.

No! Non vi confondete con i sogni ad occhi aperti provati in gioventù! 

Quando ci si trova in prossimità della cima della montagna, si sogna ad occhi aperti perché non è possibile dormire. 

Sprecare il tempo per il sonno è uno sperpero incredibile del tempo vita.

Manca una manciata d’anni o forse giorni ma il momento di ritrovarsi in cima prima o poi arriva.

Lì, ci si sta veramente soli; è un punto irraggiungibile per la comunità.

Perché di lì, si sale in Paradiso uno per volta!

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