domenica 29 luglio 2012

Accarezzo il tuo cuore



Accarezzo il tuo cuore
perché essere soli è come rimaner sospesi nel vuoto.

Ti donerei emozioni 
in modo che tu potessi trattener respiro 
e alimentare la speranza per  sconfiggere il vile dolore.

Inventerò qualcosa 
per spingere il tuo equilibrio verso la serenità.

Fisserò sulle ali della generosità le mie parole 
perché possano volare su in cielo 
e appenderle alle stelle.

Vorrei che da lassù
tu possa guardarle nelle notti tristi.

Vorrei che esse brillassero,
rubando fulgida luce
a guardia della tua tenerezza.

Sono sicuro che tutte le stelle del firmamento 
si allineerebbero
per intercedere in favore del tuo sorriso,
sincero
dolce
ampio come tutto l’universo.

Quando il tuo animo si sarà rasserenato,
ritirerò dolcemente la mia mano.
La poserò sul mio cuore,
per rubarti ciò che ti rende
meravigliosamente donna. 

Quanto posso essere felice?



Ci si chiede spesso se la felicità sia possibile per tutti gli esseri viventi. 

Si ha l’impressione che il destino distribuisca gioie e dolori  come se volesse misurarne la quantità.

Indipendentemente dal credo personale, io suppongo che ogni presenza vivente sul globo terrestre sia destinata ad occupare un posto nell’ordine della catena alimentare, della scala sociale, della dimensione dell’anima. 

Mi riferisco ad una sorta di gradualità che assegna precisi valori di sensibilità e felicità ad ogni essere vivente. 

In questa fantasiosa scala di valori, l’essere umano occupa il posto più alto mentre il singolo individuo si colloca in un preciso punto in questo sotto universo espanso. 

In questo senso, ognuno di noi nasce con una potenza d’amore mediante la quale ha il compito di esprimersi nella propria vita. 

Il fatto straordinario consiste nell’idea che la graduazione non è limitativa, né esprimibile attraverso il confronto.

Per offrirti un esempio figurato, immagina un’infinità di scatole, ognuna con un proprio volume. 

Tutte le scatole vorranno riempirsi al massimo delle loro possibilità, ma nessuna crederà di poter contenere di più di quanto potrebbe, solo perché ha la coscienza della presenza di altre scatole più voluminose. 

Nel caso degli esseri umani, essi nascono come puntini in una sfera di possibilità. 

Ogni uomo, condizionato dal luogo punto sfera delle possibilità, esprime il massimo delle sue potenzialità, pur disponendo in termini di misura, risorse illimitate.

Prendendo in considerazione l’esempio precedente, ognuno di noi è una scatola con un volume determinato dal luogo delle possibilità; non ci sono limiti al volume, ma per quel volume egli si esprimerà attraverso i valori dell’umanità. 

La sfera delle possibilità ha una sola direzione ed è quella per cui essa deve continuare ad espandersi in devozione ad una logica che sovrasta le nostre possibilità di razionalizzare.

In termini più semplici, tutti possiamo essere felici e non esiste nessun limite che si possa opporre alla quantità di felicità raggiungibile. La sfera delle possibilità è composta da infiniti punti ed è pronta ad espandersi all’infinito. 

Siamo noi stessi gli unici responsabili della quantità di felicità esprimibile; noi stessi decidiamo del volume della scatola.   

venerdì 27 luglio 2012

Il seme della volontà


L’animo sereno concilia con l’oblio del dolore vissuto e, come un grande incendio boschivo, prepara il terreno per una nuova e rigogliosa vegetazione. 

La vita, con lo scorrere del tempo, è ricca di sorprese; essa riesce a investire nel dubbio qualsiasi certezza per ridipingerla con colori diversi.

Le certezze guidano determinati atti senza esitazione o involvono una perizia rivelatrice di abilità, destrezza. 

Esse nascono dalla convinzione intima di un’idea, un concetto eletto a verità assoluta personale. 

Si tratta di un assioma che si dimentica nella propria coscienza, ma che emerge attraverso i nostri atti senza indugi, perplessità e timori di errore.

Per questo motivo, dichiararsi convinti che l’amore non esista o che non ci siano persone per le quali si possano vivere momenti di tenerezza, rivela la propria sudditanza al dolore e l’elevazione assiomatica dell’isolamento come unica, possibile e certa soluzione dei problemi nell’ambito sociale.  

La degenerazione di questa anomala certezza conduce inevitabilmente alla morte dell’anima, al suo affogamento in atti ripetitivi, insulsi, i quali hanno l’unico scopo che è quello di far trascorrere il tempo e di far coincidere la morte dell’anima con quella fisica mediante il sopraggiungere della vecchiaia. 

Nei casi di caratteri deboli, invece, si assiste a un lento procedere verso la pazzia, cioè, l’abbandono della logica comune, oppure, si entra in un conflitto dichiarato con la società. 

In quest’ultima evenienza, le diverse sortite sono la cattiva educazione, il mancato rispetto per il prossimo e per finire, nei casi estremi, alla pratica della delinquenza.

Nella convinzione, quindi, cresce il seme della volontà, come il cafone all’interno dell'albicocca; essa indurisce la volontà perché si possa portare a termine l’obietto stabilito dalla convinzione.

La ferrea volontà è garanzia di successo totale. 

Non a caso, Dante, nella divina commedia, ha scritto:

 “Amor, ch'a nullo amato amar perdona”. 

La convinzione del sentimento d’amore, piantato come assioma, sgretola qualsiasi muro. 

La persona oggetto di vero amore non può resistere. 

La giustificazione sta proprio nel tipo di valore da cui nasce il moto dell’anima. 

L’amore, essendo uno strumento che implica il bene della persona a cui è rivolto, non può essere assolutamente rigettato in nessun modo, poiché l’obiettivo primario dell’uomo, inteso come sistema corpo-anima, rappresenta proprio la sopravvivenza. 
  

giovedì 26 luglio 2012

Ricchezza invisibile



Quanto offrirebbe in denaro, un cieco per guardare il viso di una persona cara o ammirare il sorgere del sole?

Quanto offrirebbe in denaro, un sordo per ascoltare la voce di chi ama o ascoltare la musica preferita?

Quanto offrirebbe in denaro, chi è inchiodato su una carrozzella per poter correre  tra i prati o girare in bicicletta?

Quanto offrirebbe in denaro, chi ha mal di denti, mal di schiena, mal di pancia, mal di testa,  per potersene liberare immediatamente?

Quanto offrirebbe in denaro, un orfano per poter sorridere e abbracciare la propria mamma o papà?

Quanta tristezza mostrerebbe chi ha fame e non può mangiare, chi ha bisogno d’aiuto e vede indifferenza.

Quanta rabbia mostrerebbe chi ama la propria donna, i bambini, gli animali,  e vede violenza?

Se la tua salute è buona e disponi di risorse sufficienti per alimentarti, sei un miliardario. Allora, puoi godere alla vista del sole accecante, all'ascolto di una voce stridula, alla corsa forsennata dietro un cane.

Se sei circondato da persone che ti vogliono bene, sei il più ricco della terra.
Allora, non perdere tempo, corri dai tuoi genitori, dai tuoi amati e abbracciali in eterni secondi.

Se in più, hai la fortuna di amare non ti serve nulla, poiché hai bisogno soltanto di donare.

Ringrazia chi vuoi, la vita ti ha donato tutto! 



mercoledì 25 luglio 2012

Pensare positivo



Un altro atteggiamento tipico per la maggioranza della gente, è quello che temendo le negatività, spera di evitarle, invece di sperare nelle positività e non pensare alle negatività.

Per esempio, per molti è più facile affermare:
“Sono debole, spero di farcela”, anziché, 
“Spero si essere forte abbastanza, ci riuscirò”.

Il concetto presente nelle due frasi e simile non considerando, però, che la prima porta con sé una giustificazione per la prevedibile sconfitta, mentre la seconda, un incoraggiamento per una concreta possibilità di vittoria.

Il corpo, stupido, traduce letteralmente ciò che la mente gli propone e comanda la biologia ad attenersi alle istruzioni ricevute. 

Qualora si trattasse di una corsa, nel primo caso il motore biologico rimarrebbe acceso al minimo, esattamente per il tempo necessario per concretizzare la sconfitta. 

Nel secondo caso, il motore si preparerebbe per stabilire un nouvo record da consegnare alla mente.       

Per dirla in termini chiari, quasi tutti pensiamo a ciò che non voliamo perché temiamo le conseguenze prevedibili e tenendole presente in mente, usiamo un modo scaramantico per allontanarle. 

Non immaginiamo, invece, che tenendole in primo piano, offriamo l’obiettivo chiaro al corpo stupido per organizzarsi a ottenerle. Il corpo sa che tutto ciò che è nella nostra mente ci fa piacere, e di conseguenza, aiuta se stesso a sopravvivere.

Dovremmo abituarci a pensare in positivo, sforzandoci di cercare la luce anche quando tutto intorno è buio.

Se riuscissimo ad abituarci in questo modo di pensare, il nostro atteggiamento nei confronti della vita interiore e della società, cambierebbe radicalmente. 

Saremmo sempre meno predisposti ad arrabbiarci, selezioneremmo inconsapevolmente le compagnie riscontrando affinità con persone buone e propositive, e rallenteremo il tempo facendoci apparire sempre giovani.

Una piccola nozione scolastica ti aiuterebbe a capire il concetto nascosto tra le mie parole.  La prima legge della dinamica, in fisica, afferma che 

Un corpo rimane fermo o in moto rettilineo uniforme fino a quando una causa esterna (forza) non interviene per modificare il suo stato”. 

Lo stato di fermo di un corpo lo potremmo ricondurre per analogia alla morte e in questo caso, non serve nessuna energia. Lo stato di moto rettilineo uniforme è la vita che si sviluppa felice eternamente, senza soluzione di continuità e senza sforzo. 

La causa esterna perturbatrice è il pensiero che, se fosse negativo rallenterebbe la corsa del corpo fino a fermarlo, ma se fosse positivo accelererebbe la sua corsa costantemente fino a portare il corpo a una velocità costante corrispondente a un livello superiore. 

Per chi crede nell’universo organizzato a livelli di perfezione crescente, sarà lieto di far coincidere l’ultimo livello con il Creatore.   

martedì 24 luglio 2012

Comunicazioni silenziose


 

Le esperienze di vita sono intrinsecamente non comunicabili. 

Possono certamente essere scritte e raccontate, ma non trasmettono il profondo vero senso. Arrivano al lettore o all’ascoltatore con parole ordinate in frasi che hanno un accurato senso logico, ma prive di peso.

Il protagonista potrebbe infuocarle con la sua foga, il suo calore e il tono di voce, ma otterrebbe solo attenzione e vaga interpretazione di un vissuto non suo.

Alcuni rimangono impressionati dall’enfasi, dallo stato di agitazione, dalle reazioni straordinarie del comunicatore, ma difficilmente, il senso dei contenuti tocca l’anima nella direzione giusta.

Una situazione simile è riscontrabile vedendo un film. Dimenticando se stessi nel buio della sala cinematografica, entriamo nella trama, nella sensibilità degli attori e siamo condizionati dalle loro esternazioni, ma è necessario attendere la fine del film, per ricomporre a freddo tutti gli elementi psicologici che danno il contenuto alla trama.

Nel momento in cui si vuol comunicare un’esperienza vissuta, l’ascoltatore promette e non manterrà la promessa, che comprenderà il senso dopo, mentre subito offre la sua solidarietà e consolazione.

Non intendo dichiarare un’ipocrisia diffusa, che in alcuni casi potrebbe anche esserci, ma di un modo di rispondere all’esperienza del prossimo, “naturale”.

Ho sperimentato l’impossibilità di camminare e di manifestare in pubblico l’handicap. 

Vi assicuro che si è protagonisti di una comunicazione silenziosa molto articolata e presente nella maggioranza delle persone, indipendentemente se si è conosciuti o no.

La malattia o l’handicap, è “visto” inconsciamente come un male che si vuole esorcizzare e si tenta un’emarginazione sotterranea della persona colpita.

A livello di coscienza, poiché l’emarginazione non è una virtù, si reagisce con atti esteriori formali di solidarietà.

Questa interpretazione “cattiva” delle reazioni del prossimo, le riscontriamo in modo palese (assenza di coscienza) anche tra gli animali, i quali addirittura, minacciano l’esemplare menomato che chiede sostegno dal gruppo.

Se ci fate caso, le occhiate che vogliono apparire fugaci o casuali, le pause di colloquio che si notano alla vista di una persona menomata, sono momenti intensi di comunicazione senza parole.

I contenuti del colloquio nascosto sono chiarissimi e fanno molto male a chi, oltre al danno, riceve la beffa. 

lunedì 23 luglio 2012

Premio per una vita d'amore


Non posso sapere a quanti di voi è successo di rimanere immobili e impotenti davanti a un genitore sofferente, debole e arreso alle offese di un corpo invecchiato. 

Il gigante morale, il binario che ti guidava, in quel momento sembra appartenere alla storia. 

Effettivamente, si ha l’impressione di aprire un libro antico e attraverso i ricordi rivedere le scene dei bei momenti affettivi, le temute reazioni educative, le dolcissime premure di una mamma. 

Non riesco a evitare di inumidirmi gli occhi, quando il pensiero, come un ologramma, mi stampa la sua foto davanti e con un meccanismo automatico inizia a girare scene di un film che conosco molto bene.

So benissimo che tutti attraverseremo quella coda scomoda della vita, ora però, sono convinto che qualunque realtà che il destino potrà riservare, si ricorderà che il silenzio di chi vuol bene o la stretta di una mano giovane, è il premio per una vita consumata nell’amore. 

Verità camaleontiche




Si racconta di una donna che era convinta di avere un angelo custode che l’accompagnava ovunque e le dava conforto e protezione. 

In ogni occasione di incertezza o di paura, il suo pensiero si rivolgeva al suo angelo e miracolosamente tutto sembrava semplificarsi con la massima serenità. 

Con il procedere degli anni, nuove idee scaturite da una filosofia di vita mutata, minarono la fede in questo angelo. 

Gli atteggiamenti della donna cambiarono radicalmente e la presunzione unita con l’arroganza costituiva il tratto più evidente di questo suo nuovo profilo. 

Il tempo, che passa per tutti, le pose davanti alla sua consapevolezza i primi problemi legati all’età matura e capitò quindi che si ammalasse. 

La nuova filosofia di vita che aveva adottato non le dava nessun riferimento per ricavar conforto mentre la malattia che la colse si aggravava. 

La povera donna finì in coma e nel tempo dell’abbandono momentaneo della nostra vita, rivide l’angelo. 

Piangendo, si rivolse a lui chiedendo perdono per la volubilità della sua fede. 

Nella frenesia della supplica gli chiese: 

“Perché ti sei adeguato alla mia meschinità?” –
“Sei stato sempre presente nei miei momenti difficili!” –
“Perché mi hai abbandonata?” -

L’angelo, irradiando serenità, rassicurò la donna rispondendo:

“Non ti ho mai abbandonata.” -
“Nei momenti in cui non mi vedevi, io ero dentro di te mentre tu guardavi fuori”.

La storia di questa donna è molto comune e mette in risalto che la vita è sempre un processo di consapevolezza che passa attraverso innumerevoli verità fortemente condizionate dall’esperienza del dolore.  

 

sabato 21 luglio 2012

Non posso ignorarti



Bimbo mio, non posso ignorarti.

Il tuo tenero cuoricino rende morbido anche quel rude, polveroso giaciglio.

Ignaro della cattiveria degli uomini, trovi pace solo nel sonno.

Schivo all’indifferenza dei grandi uomini della terra, li rendi ridicoli, svuoti le loro parole e smascheri la loro ipocrisia.

Sebbene tu sia nato sullo stesso mio pianeta, la logica divina non ha trovato un miglior posto per accoglierti.

Non ti occorre molto per dormir sereno,
se non un cencio che ti ripara da mosche e zanzare,
se non la tua pelle nera che ti ripara dal sole africano.

Dormi bambino mio e lascia che il mio cuore pianga in silenzio.
Non vorrei svegliarti per ricordarti di avere fame.

Il mio letto questa sera sarà più duro.

venerdì 20 luglio 2012

Tristezza, malattia contagiosa




Vorrei soffermarmi con te su un particolare atteggiamento dell’essere umano in generale. 

Le nostre limitazioni, le nostre paure intervengono pesantemente sulla qualità della vita a causa di un dettame insito nell’istinto che va oltre l’uomo stesso e lo rende molto simile ad ogni essere vivente sul nostro pianeta. 

Si tratta dell’istinto di sopravvivenza che prescinde da qualunque legge “umana” regolatrice delle relazioni sociali. 

Qualora una minaccia dovesse presentarsi alla consapevolezza, qualunque essere vivente utilizza tutti i sistemi a sua disposizione per proteggersi e  scongiurare il pericolo. 

Le tecniche di “sopravvivenza” sono diverse e commisurate con la specie. 

Nel caso di umani, si deve tener conto di una doppia consapevolezza. 

La prima è riferibile al corpo come componente fisico, staccato dalla psicologia ed estraneo alla razionalità. 

Il corpo quando si sente minacciato mette in opera l’esperienza accumulata nella vita corrente e, forse, anche in quelle precedenti. 

Esso, essendo privo di razionalità, applica la tecnica con la sola condizione che in passato una modalità simile di reagire ha prodotto ottimi risultati, a prescindere della precisione mediante la quale esso decide la similitudine degli eventi.

Per esempio, immagina di ferirti ad una mano. Il processo di guarigione scatta con una serie di attività che interessano la biologia. 

Queste attività assumono una grinta funzionale legata al contenuto di una guida operativa che il corpo ha formato con gli anni trascorsi.

Nella giovane età la guida attinge dal carattere ereditario della persona, mentre con l’età adulta, tale guida è contaminata dall’esperienza individuale. 

Ovviamente, il processo di guarigione è più veloce ed efficiente se meno notizie disturbatrici e cause di inefficienza ci sono nella guida. 

La guida, utilizzata dal corpo, è in continuo aggiornamento fino dal primo istante di vita. Essa registra anche le convinzioni provenienti dal secondo livello di consapevolezza. 

Frasi come “Ormai sono diventata vecchia”, vengono codificate in simboli che rallentano il processo di guarigione. 

Altri esempi sono: “Sono abituata al dolore”, “Ho perso la speranza”, “E’ impossibile che possa verificarsi!”, “Mi sono rassegnata”, “Non ho più vent’anni”, e così l'elenco potrebbe continuare.

Il corpo memorizza questi segnali provenienti dal livello superiore e si adegua per tenerne conto come verità assolute da attendere.     

Ripetere continuamente nel dirsi “vecchio” significa far partire quel processo di convincimento che giungerà al corpo sotto forma di dettame. 

In questo caso, esso produrrà stimoli per cui i movimenti si rallenteranno, la pelle tenderà ad aggrinzirsi, i dolori reumatici si instaureranno, la vista si accorcerà, l’udito diminuirà, l’appetito scomparirà e, per effetto cascata, tutto procederà verso la definizione del “vecchio”, come era stato anticipato dal desiderio di livello superiore.

Naturalmente, il processo è favorito dalla psicologia che ordina alle parti del corpo a disporsi in accordo con il significato e l’idea che esterniamo.

Se ci lamentiamo, è impossibile non manifestare posizioni corporali di disappunto e di tristezza. 

La testa china e il tono di voce basso si accorda benissimo con la tristezza e la sconfitta. Addirittura la depressione suggerisce l’immobilità tipica del corpo morto. 

Mentre la corsa, il canto, il sorriso sono caratteri del corpo vivo, appartenente a chi mostra gioia, felicità, entusiasmo per la vita. 

Il fatto importante da capire a fondo, è che questi stati sono comandati da convinzioni che non hanno nessun legame col giudizio oggettivo di “vero” o “falso”. 

In altre parole, indipendentemente se il merito della convinzione è vero o è falso, il corpo agisce in relazione al suo contenuto. 

Se tentassimo di mentire sul giudizio della nostra convinzione, daremmo segnali contrastanti al corpo che, per nostra fortuna, insistendo con questa incongruenza, lo faremmo propendere a favore dei segnali mentitori provenienti dal secondo livello. 

In questo senso, essere tristi per abitudine è una maledizione, poiché oltre a far danni a noi stessi, si epande per imitazione su chi ci sta vicino, esattamente come una malattia contagiosa.

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