sabato 31 maggio 2014

Parlare in una lingua straniera


 
 
ETT: Amico mio, non credi di affannarti un po’ troppo nel seguire quel tuo corso di inglese?

LUIGI: Probabilmente, questo è ciò che appare all’attenzione di molti dei miei simili. Anzi, ti dirò di più. 
Qualcuno è convinto che io abbia una fissazione per la lingua straniera.

ETT: Non è così?

LUIGI: Ett, ciò che mi muove si chiama passione!

ETT: Ecco un’altra delle vostre stranezze.
Particolari attività a qualcuno procurano fatica, ad altri generano piacere. 
È una contraddizione tipica di voi umani!

LUIGI: Questo tipo di contraddizione permette agli esseri umani di non rincorrere le stesse cose. 

Siamo oltre sette miliardi, immagina che cosa succederebbe se tutti inseguissero le stesse cose! 

Oltretutto, la passione è il miglior generatore di energia fra gli individui che tendono alla stagnazione o che si ritrovano a ripetere sempre le stesse azioni.

ETT: Infatti, io sono ancora in riflessione per cercare spiegazioni ai tuoi modi di fare proiettati nel seguire il corso di inglese.

Dimmi che cosa ti spinge ad imparare una lingua che non userai mai se non per capire qualche testo di canzone oppure per far bella figura con i tuoi ragazzi di scuola?

LUIGI: Evidentemente c’è molto di più di quanto si potrebbe rilevare attraverso una osservazione superficiale o quantomeno esterna alla psicologia dell’appassionato.

ETT: Sono pronto ad ascoltare le tue motivazioni.

LUIGI: Intanto, devo precisarti che per i nuovi docenti, conoscere una lingua straniera è già una necessità didattica, ma a presindere da questa motivazione, personalmente credo che si aggiunge qualcosa di speciale al carattere professionale di un professore. Nel mio caso, sotto forma di passione si maschera una voglia di sentirsi diverso.

Pertanto, in relazione a ciò che la passione produce, un noto proverbio umano recita: 
Chi sa dove andare anche le montagne si spostano per fargli strada”.

La passione è un cavallo furioso che sa dove andare e mentre galoppa, la convinzione sulla necessità di raggiungere la meta aumenta al crescere della velocità della corsa stessa. 
In questo contesto, la fatica è solo un intermezzo al piacere della prospettiva che attende.

La passione nasce per un voler bene a se stessi e si giustifica nel colmare un’assenza o nel riempire un vuoto insostenibile.

Si tratta di inseguire qualcosa di cui non si ha a sufficienza ma che è indispensabile a soddisfare un bisogno psicologico irrinunciabile.

ETT: Allora, nel tuo caso quale sarebbe questo bisogno?

LUIGI: Parlare usando un’altra lingua è anche un modo di uscire dal proprio mondo e, in un certo senso, è avere la possibilità di giocare con la propria esistenza.

ETT: Mi pare di capire che il tuo mondo “italiano” non ti piace?

LUIGI: Inconsapevolmente, forse è così! 
Parlando nel mio linguaggio nativo, credo che emerga nel mio animo un senso di incompletezza, di grigia consuetudine; ho la sensazione di vivere un habitat limitato in cui tutto è stato già deciso senza tener conto della mia volontà. 

In questo mondo non scelto da me, verso tutto ciò che non mi piace, racchiudendo dispiaceri, incomprensioni, cattiverie, qualsiasi altra cosa non confacente ad un animo buono.

Uscendo, quindi, da questo contesto, lascio anche ciò che mi ha fatto soffrire, mentre allo stesso modo, entro in un altro; buffo, misterioso, da vivere con lo spirito della consapevolezza e della scoperta. 

L’autodeterminazione, la razionalità, il cambiamento, la rinascita, sono i sentimenti che si muovono nel mio immaginario, verso il quale la lingua nuova crea la premessa di una fuga emotiva.

venerdì 23 maggio 2014

Gita a Praga(Fine)

LUIGI: Raccontando delle vicende di vita, è quasi impossibile non sconfinare in riflessioni sulla natura umana.

A questo punto, temo che annoierei ad insistere su tutti gli episodi accaduti durante la gita scolastica.

Allora, mi accingo a ripiegare ogni piccola emozione vissuta in un piccolo cofanetto di memoria con su scritto: 

“Viaggio di istruzione a Praga 4/8 maggio 2014”. 

Conserverò questo piccolo dono della vita in un angolo del cuore insieme con molti altri simili.

Tali tesori non avranno un valore in moneta; non daranno fama e lustro, ma saranno perle da usare a ornamento di una vita semplice di un anonimo insegnante.

ETT: Luigi, inevitabilmente ricadi nel tuo romanticismo.

LUIGI: Perdonami, ETT, ma credo di non poterlo evitare!
Probabilmente, qualcosa è rimasto bloccato o incompiuto in me.

Continuo ad emozionarmi, continuo ad avere grande fiducia nei miei ragazzi; continuo a vedere il mondo e la vita come una opportunità unica e meravigliosa.

Come posso rinunciare ad essere contaminato dal “sentimento” per qualsiasi cosa che mi succede?

Senza questa essenza, permettimi Ett, potrei chiudere in una valigia il sole, la luna, il mare, le stelle e tutto ciò che allo sguardo mi emoziona e venire con te, lasciando questa terra alla fredda indifferenza.

ETT: Continua pure ad emozionarti, Luigi! 
Vivendo con te, prima poi, renderai anche me meno extraterrestre.

LUIGI: Noi umani siamo troppo impegnati a cercare la felicità che spesso pur avendola sotto gli occhi, come i miopi, non riusciamo a scorgerla.

Chissà quante volte resto stupito dai modi di fare dei nostri animali. 

La devozione di un cane per il proprio padrone, per esempio, sarebbe stupefacente se fosse riportata nelle relazioni umane sotto il segno del rispetto e della comprensione reciproca.

Purtroppo si dice che siamo “intelligenti” e per questo motivo c’è un prezzo da pagare.

ETT: Presumete di esserlo! 
Nel mondo dei ciechi chi vede pochissimo è colui che vede meglio.

LUIGI: Certamente è così!

L’ultima mia attenzione la voglio riporre nei cuori di ognuno dei ragazzi partecipanti alla gita. 

Ti giuro, ETT, ho visto ragazzi diversi ma uguali nella bellezza della loro età. 

Ho visto semplicità, spontaneità e tanta bellezza d’animo. 

Ho visto usare parole che volevano dire altro. 

Ho ascoltato silenzi che mi raccontavano delle loro ansie e perplessità. 

Sono convinto che non può esserci cattiveria quando ci si cerca per stare insieme. 

Sento di ringraziare ognuno di loro per esserci passati attraverso il mio esistere. 

Un ringraziamento doveroso devo estenderlo ai miei due generosi colleghi. 

Per quei pochi giorni siamo stati costretti a vivere insieme, a conoscerci più a fondo e a vederci oltre quel sipario della formalità che nella vita quotidiana scolastica ci obbliga a vestire inconsapevolmente. 

Ciao ragazzi!!

lunedì 19 maggio 2014

Gita a Praga(7)

(continua dall'art. precedente)
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Spostarsi in 45 e utilizzando la metropolitana, non è il modo tranquillo di condurre una visita nelle grandi città.


Praga dispone di tre linee metropolitane che coprono l’area abitativa, ognuna di queste, identificate da colori diversi, hanno punti d’accesso sotterranei a più livelli.

I ragazzi erano diventati pratici nell’individuare colori e direzioni, anzi, sembravano divertirsi un mondo nei saliscendi di quelle ripide scale mobili.

 Lo stazionamento sulle scale mobili, in una virtuale linea obliqua, era lo spunto per commentare le posture e le facce dei viaggiatori in direzione opposta.

La certezza di parlare una lingua sconosciuta, consentiva ai ragazzi più vivaci di osare pericolosi sfottò verbali ai quali i poveri residenti rispondevano con disorientati sorrisi.

In quei tre giorni di turbinio metropolitano, si sono provati anche canti corali che, come onde lunghe in un mare calmo, diffondevano lo spirito italiano. 

Questo era il clima di allegria che l’intera comitiva portava in giro.

ETT: Non ti dispiaceva, vero?

LUIGI: La fatica delle lunghe passeggiate si dimentica al piacere di vivere e condividere i problemi più banali con coloro che solitamente si “vedono” come nomi in un registro.

Nonostante noi insegnanti, ci sforziamo di “vedere” i ragazzi nella loro psicologia, ci scopriamo sempre in ritardo con le loro vere attitudini. La differenza d’anni, di esperienza e di sapere, non favorisce la nostra piena consapevolezza per il loro momento di vita. 

Travolti da voler dar il meglio di noi stessi, non curiamo abbastanza il metodo per trasmetterlo. 

Per usare una metafora, siamo come dei vinai che volendo riempire bottiglie a collo stretto, senza usare l’imbuto adeguato e senza rispettare i tempi di travaso, finiamo per far rovesciare gran parte del vino fuori dalle bottiglie. 

A conclusione del lavoro, poche bottiglie saranno piene, mentre qualcuna avrà soltanto pochi sorsi sul fondo.

I ragazzi sono nel nostro mondo ma non apparteniamo al loro. 

Sebbene comunichiamo e vogliamo il loro bene, non riusciremo mai ad entrare pienamente nei loro pensieri e interpretare la loro realtà. 

I giovani sono punti proiettati nel futuro a cui gli occhi degli adulti non possono arrivare.

ETT: La barriera generazionale rende meravigliosa la vostra umanità. Voi umani non vi rendete conto della magia dell’universo che realizza l’eternità attraverso voi.

LUIGI: Cioè?

ETT: Il vostro mondo è fatto di materia e questa, in un'altra dimensione, è semplicemente un modo rudimentale di esistere.

Il decadimento, la vecchiaia, sono segni di un divenire che l’intelligenza umana traduce in transitorietà mentre la natura attraverso la riproduzione formula l’eternità.

(continua)

domenica 18 maggio 2014

Gita a Praga(6)

Forse non tutti sanno che una gita scolastica solitamente prevede lunghe passeggiate a piedi tra vie e viottoli piene di negozietti traboccanti di souvenir. 

Una colonna di 45 persone non passa inosservata, specialmente se accompagnata da allegria o da vocii vivaci, frutto di scambi di punti di vista. 

La guida, solitamente affiancata dalla instancabile professoressa, era alla testa del serpentone che si snodava nel traffico praghese, mentre io e il collega ci accontentavamo di stare in coda.
ETT: Luigi, come al solito, sei stato il lumacone del gruppo.
LUIGI: Ti confesso che, nonostante il mio spirito giovanile, un po’ di stanchezza l’accusavo. 

Non volendo però mostrarla pubblicamente, coglievo in qualche precario sostegno l’idea della sedia e, simulando una riflessione o una pausa di ammirazione per le bellezze artistiche della città, ne approfittavo per bere il nettare del riposo. 

Il mio collega si chiedeva perché non si usassero i mezzi pubblici di trasporto, bus o metrò che fossero. 

Probabilmente, chi era in testa al gruppo aveva deciso per tutti che una sana e salutare attività fisica fosse ideale per miscelare il risparmio economico e l’abbraccio alla città di Praga.



Nel perdurare del passeggio, la mia immaginazione si soffermava su comode poltrone e rilassanti divani. 

Non ascoltavo più nemmeno il brontolio del mio collega che non aveva modo di gustarsi la sigaretta di rito. 

Niente caffè, poco cibo e poco sonno, non potevano indurre discorsi di alto contenuto scientifico. 


Cercando di dimenticare questa condizione di insoddisfazione, ci consolavamo in un umorismo di bassa leva, commentando e valutando le automobili di lusso parcheggiate come se fossero le nostre gloriose Fiat Cinquecento.


La collega di religione, abituata dai suoi lunghi pellegrinaggi, non dava nessun segno di cedimento.

Io e l’altro collega, ormai stabili in coda al serpente, cercavamo di rimanere attaccati al gruppo grazie a sguardi continui che ci legavano alla testa. 

Capitò che chiacchierando e ironizzando sulla nostra condizione di docenti accompagnatori stanchi, lo sguardo si spostò erroneamente su una persona che indossava abiti con gli stessi colori della nostra collega. 

Di lì a poco, non ci volle molto per capire che avevamo perso il gruppo.

 I tempi stretti per il rientro non ci permisero di esitare e immediatamente ci orientammo per il primo punto d’accesso alla metropolitana che ci avrebbe condotto al nostro albergo.
Sapemmo dopo che nessuna remora sopravvenne alla coscienza della collega rimasta sola alla guida del gruppo.


Si disse dopo che due docenti grandi e vaccinati non potevano perdersi in una qualunque capitale europea.

(continua)


giovedì 15 maggio 2014

Gita a Praga(sul battello)

File:PragueCityscape.JPG



Il pomeriggio ci attendeva per l’escursione in battello sul fiume Moldava. 
Anche in questa occasione c’era spazio per essere romantici.

ETT: Scusami Luigi, ma è necessario che si presenti l’occasione perché un essere umano diventi romantico?

LUIGI: Noi esseri umani tendiamo a modificare il nostro stato d’animo in relazione agli eventi che accadono fuori dalla nostra intimità. 
Siamo dipendenti addirittura da ciò che i nostri simili crediamo che pensino di noi stessi. 
Abbiamo bisogno di essere sostenuti dalle intenzioni e dai giudizi del gruppo.

ETT: Una prigione psicologica, allora!

LUIGI: Esatto! 


Se osservi attentamente due umani che discutono, capirai facilmente come l’humor dei colloquianti cambia in conseguenza a ciò che si dicono.



Qualunque notizia che viene fornita, falsa o vera che sia, provoca una reazione proporzionale alla ferita accusata da chi ascolta.

Il nostro stato d’animo è comandabile dall’esterno ed è difficile da gestire quando l’equilibrio si perde.

ETT: Insomma, siete delle marionette mosse da fili che voi stessi a posteriori riuscite a vedere.

LUIGI: Non ti stupire per questo! Le stranezze dell’essere umano sono innumerevoli.

Riprendendo il discorso sull’escursione fluviale, l’occasione romantica si prestava benissimo agli incantesimi raccontati nelle favole. 

La vista della città mentre il battello scivolava dolcemente tra le calme e lente acque di un fiume silenzioso, affascinava chi è innamorato della natura. 

I miei ragazzi, però, nel consueto spirito goliardico, erano attratti da ben altro: bellezze femminili sedute ai margini del fiume stimolavano sfoghi ancestrali. 

Urla e qualche parola non troppo elegante espressa in uno stretto dialetto molfettese, mostravano vivacità e insensibilità al romanticismo.

Il passaggio del battello sotto le arcate dei ponti, dava loro l’opportunità di sperimentare l’eco, in devozione a cuori di bambini allegri ancora non soffocati dalle regole dell’età matura.

Anche la guida dovette cedere le armi a questa vivacità capricciosa. 

Vani furono i tentativi di raccontare la storia e le tradizioni evocate dal panorama che si spostava davanti ai nostri occhi. 

La serenità e l’insistenza della nostra “cicerone” permise che almeno qualche informazione giungesse alle orecchie dei pochi curiosi. 

L’ora sul battello trascorse nel tempo di una carezza del fresco vento praghese sui visi dei suoi visitatori.   

(continua)

mercoledì 14 maggio 2014

Gita a Praga(4)

Tra le visite più toccanti si inserisce quella fatta all’interno cimitero ebraico. 

Non posso non menzionare quella leggenda ebraica che la guida ci raccontò. 

Fermandoci davanti alla tomba di uno degli illustri padri ebraici, ci fece notare alcune monetine lasciate lì, a testimonianza dei desideri espressi da visitatori di passaggio. 

Ognuna di quelle monete era un obolo simbolico, lasciato sulla pietra tombale con l’intento di richiamare il potere del nobile defunto e catturarne i suoi benefici.

Colpito da questa inusuale usanza, scelsi la monetina più lucente che avevo in tasca e posandola delicatamente tra le altre, parlando con me stesso, 
dissi:

 “Deve essere stata molto importante la persona a cui è dedicata questa pietra tombale. 

Non voglio chiedergli fortuna per me, perché chissà quante richieste di questo tipo avrà già avuto. 

Questa mia monetina vuole aggiungere un pensiero buono a quelli di tanti altri visitatori che mi hanno preceduto.

Mi piacerebbe pensarti, caro defunto, come uno spirito ancora tutto occupato a rendere buone le persone. 

Sai anche tu che ogni persona nasce buona e poi sfortunatamente qualcuna diventa cattiva, come se fosse contagiata da un virus. 

Allora, illustre rabbino, fa in modo che la tua saggezza si consumi nel far credere che il mondo appartiene al bene e che questo va oltre le religioni.  

Dicono che per ogni azione buona compiuta o per ogni pensiero buono espresso, si annullano centinaia di azioni brutte e un angelo scende sulla terra. 

Chissà se un giorno il paradiso si potrà chiudere per mancanza d’angeli”.       

Mentre pensavo tutto questo, mi accorsi di essere rimasto staccato dal gruppo e allora, immediatamente guadagnai l’uscita.

La pausa pranzo che seguì, spinse nel “non pensarci più” quei momenti tristi appena vissuti nel cimitero ebraico. 

Fu allora, che io ripresi a parlare di fatti leggeri con i miei colleghi e a pianificare dove e che cosa mangiare.

I precedenti pasti in albergo ci avevano quasi rassegnanti agli arrangiamenti per cui lo stomaco non aspettandosi nulla di buono aveva smesso di brontolare. 

I ragazzi, invece, erano di altro avviso. 

L’età della fame non va molto per il sottile e i punti “MacDonald” sono ovunque nelle grandi città.

Dopo aver stabilito luogo e ora di ritrovo, i tre docenti liberano il gruppo. 

Travolti dalle incertezze del ristorante da scegliere e accettando senza discussioni il consiglio della guida, come naufraghi, i tre professori finirono in una birreria a menù fisso.

Un gruppo di ragazzi, fidando sul nostro buon senso (in quel momento assente), si unirono con noi per consumare il pranzo.

Che cosa si disse di quel pranzo è ancora oggi un mistero.

 (continua nel prossimo articolo)

martedì 13 maggio 2014

La gita a Praga(3)

(continuazione dell'art. precedente)

I tre giorni successivi a quello di partenza trascorsero molto velocemente, spesi nel girovagare nella terra di Jan Palach, intenti a provare le emozioni legate al vivere una città con tradizioni diverse. 

La lingua inglese, grande scoglio scolastico, mostrava ora la sua reale utilità e coloro che per anni avevano lesinato sforzi nel tentare di impararla, in quei giorni si aggiravano tra bar e negozi come sordomuti, costretti ad usare la mimica per ottenere una informazione o comprare un oggetto.

La città di Praga, come definita dalla collega di religione, nel suo centro storico si presenta come una bomboniera; bella di notte e intensamente vissuta di giorno. 

Passeggiando tra le vie ricolme di richiami d’ogni tipo, si nota la presenza di malaffare e di trappole per turisti sprovveduti. 

Giovani di colore, mani in tasca pronte a estrarre qualcosa, si aggirano come ombre minacciose. Più volte è capitato che questi si sono proposti agli ingenui ragazzi come venditori di merce pregiata o consiglieri disinteressati.

L’obiettivo dei miei ragazzi era catturare le attenzioni delle bellissime giovani praghesi. Purtroppo, l’approccio risultava quasi sempre viziato dalla fretta di andare oltre i convenevoli.

Personalmente, ho trascorso il cuore di una notte in discoteca con i ragazzi e mi sono divertito a osservarli nel loro ambiente preferito. 
Ho notato tanta energia venir fuori, tanta voglia di buttar via l’adeguamento ad una vita fatta di regole e di routine.

La mia mente correva indietro nel tempo quando alla loro età anch’io combattevo con me stesso per essere insieme con gli altri.

Il volersi divertire non emergeva spontaneamente, sembrava che lo si comandasse a venir fuori, a dispetto di una silente abitudine a vivere in un certo modo, lontani dalla eccentricità e dalle emozioni forti.   

Sono rimasto incantato per parecchi minuti, mentre il mio pensiero vagava sull’arco del tempo costellato di ricordi. 

I visi ridenti, sudati, erano i miei marchi della gioventù; erano i segni di un mondo allora diverso da quello attuale ma con gli stessi sentimenti e la stessa voglia di vedere tutto con gli occhi del cuore e della gioia.

Sono sempre convito che fare l’insegnante è un privilegio. 
Vivere e relazionarsi con i ragazzi è anche un modo per invecchiare piacevolmente. 

Sicuramente concorderete con me affermando che lavorare in una birreria è impossibile non assaggiare la birra e i ragazzi hanno molta birra in corpo.

ETT: Luigi, ti stai allontanando dal tuo racconto.

LUIGI: E’ vero! Ormai, mi è impossibile staccarmi completamente dalle mie riflessioni. Cercherò di rimettermi subito in tema.

Per il secondo giorno era in programma la visita al quartiere ebraico dove era richiesta una pausa alla leggerezza dell’essere in quanto incombeva una riflessione sulla triste memoria storica del popolo ebraico, vittima di una cattiveria epocale.

La maggior parte dei ragazzi, seri ma non troppo, hanno condotto la visita nelle sinagoghe forse in modo un po’ passivo. Non avevano un supporto storico-culturale adeguato per indurre riflessioni ed essere contagiati dal quel clima di tristezza che aleggiava intorno ai disegni dei bambini ebrei vissuti prima nei diversi ghetti e poi trasferiti negli odiosi campi di concentramento. 

Se trascuriamo le reazioni e i commenti fatti nel momento di indossare la kippah, tutta la loro visita mi è apparsa formale (dovuta perché era nel programma).

Per conto mio, ho girato per quei luoghi con in mente le scene raccontate da Primo Levi in “Se questo è un uomo”. Vi giuro che nonostante i miei quasi sessanta anni, ancora non trovo plausibili spiegazioni a ciò che in quel momento storico è successo.    

(continua nel prossimo articolo).

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